La Velocità. A prescindere dal tipo di macchine e motori che ci fanno battere il cuore (navali, terrestri, aeronautici o spaziali) c’è poco da girarci attorno, quello che ci accomuna come poche altre cose è lei: La Velocità. Fin da piccoli, ancora digiuni di nozioni tecniche, quale era la domanda che ci sorgeva spontanea se eravamo così fortunati da catturare l’attenzione del proprietario della moto grossa davanti al bar o della cabrio parcheggiata in piazzetta?
“Oh, quanto va!?”
Un desiderio innato, quello di andare più forte, più veloce, più degli altri.
Ma di cosa è fatta la Velocità? Mettiamo per un attimo da parte sentimenti, considerazioni filosofiche e nozioni tecnico-scientifiche approfondite, limitiamoci alla più semplice ed essenziale delle definizioni, quella che saprebbe citarvi anche uno che ha fatto il classico:
dV=dx/dT
(da leggersi come fanno i fisici, devu uguale deics su deti)
Alle interrogazioni di fisica: “viugualespaziofrattotempo“, nel mondo reale: una grandezza vettoriale definita come la variazione della posizione di un corpo in funzione del tempo.
Il Tempo: inesorabile quando aspettiamo che la tipa sia pronta per uscire di casa, inarrestabile e rapidissimo il giorno che il megadirettoregalattico passa in ufficio e la sveglia ha deciso di fare sciopero.
Sforziamoci per un attimo di mettere da parte la Velocità e dedichiamo un minimo di attenzione a quest’altra grandezza fisica fondamentale che è il Tempo.
La percezione del susseguirsi degli eventi è qualcosa di innato nella natura umana, e di conseguenza lo è stata la sua rappresentazione non appena il nostro cervello ha compiuto i giusti step evolutivi. Misuriamo il tempo di continuo, in mille modi diversi, in mille occasioni diverse.
A qualcuno però può capitare di dover sapere che ora è in situazioni un po’ particolari. Tipo sulla Luna. Magari proprio la prima volta che un uomo ci va sulla Luna, non si sa mai ti dovessero chiedere: scusi a che ora è arrivato sulla Luna? Non puoi mica rispondere: “erano quasi le 3”. Infatti erano le 02:56 UTC del 21 Luglio 1969.
In realtà il buon Armstrong una volta fatto “il piccolo passo” non avrebbe potuto posare lo sguardo sull’orologio allacciato sopra la sua tuta EVA (extra vehicular activity, attività extraveicolare, ovvero con le chiappe esposte al vuoto dello spazio) per vedere che ora era, dato che il suo segnatempo lo aveva lasciato sul LEM. Ma andiamo con calma, come ci finisce un orologio sulla Luna?
James Ragan per 36 anni è stato l’ingegnere NASA che si è occupato di selezionare e testare la tecnologia che non fosse prodotta internamente dalla NASA. Nel 1964 viene incaricato di individuare gli orologi che avrebbero accompagnato gli astronauti nelle EVA sempre più intense previste dal programma spaziale.
Il buon James era sicuramente un rollingsteeler, in un’intervista raccontò: “Usavamo la miglior elettronica realizzata con i migliori materiali, ma a dire il vero gli ingegneri come me sapevano benissimo che l’affidabilità raggiunta non era sufficiente […]. La meccanica, invece, aveva già raggiunto livelli di affidabilità tanto elevati”
Fu così che alcuni funzionari NASA in incognito iniziarono ad aggirarsi per orologerie e gioiellerie.
Avevano ben chiaro cosa cercare: un cronografo, che permettesse di cronometrare le attività in missione e fungere da back-up per la strumentazione di bordo. Inoltre doveva esser a carica manuale, non automatica, per due motivi fondamentali: si riteneva (erroneamente) che in assenza di gravità la carica automatica non funzionasse (dentro l’orologio c’è una massa oscillante che girando su se stessa carica l’orologio), oltre ad essere suscettibile a danneggiamenti se esposta a forti accelerazioni, che se sei seduto su un razzo come il SATURN V possono anche capitare.
Furono selezionati 10 cronografi di rispettivi 10 marchi: Benrus, Elgin, Hamilton, Mido, Flik Flak, Luchien Pichard, Omega, Bulova, Rolex, Longines e Gruen.
Non ci è dato sapere quali fossero i modelli specifici presi in esame, si sa solo che di tutto il gruppo solo 3 vennero effettivamente testati, : Rolex, Longines, Omega. Gli altri, scartati a priori
Gli orologi vengono quindi sottoposti a undici prove estenuanti, durante le quali i tecnici NASA sfogano tutte le loro frustrazioni e il loro sadismo. Gli orologi vengono sottoposti a sbalzi termici dai -18 ai 93°C, sbalzi di pressione, subiscono accelerazioni fino a 7,25G e vibrazioni dai 5 ai 2000 Hertz.
Per i feticisti dei numeri e gli amanti del BDSM di seguito la lista dettagliata delle sevizie dei test effettuati alla NASA:
- Alte temperature
48 ore alla temperatura di 71°C, seguite da 30 minuti a 93°C, il tutto a una pressione di 5,5 psi (pound per square inch o libbre per pollice quadrato, pari a 0,35 atmosfere) e con un’umidità relativa non superiore al 15%.
- Basse temperature
Quattro ore alla temperatura di -18°C.
- Temperatura-pressione
La camera viene sottoposta alla pressione massima di 1,47 x 10-5 psi (10-6 atmosfere) e alla temperatura di 71°C. La temperatura viene quindi abbassata a -18°C nel giro di 45 minuti e portata nuovamente a 71°C durante i 45 minuti successivi. Questa procedura viene ripetuta quindici volte.
- Umidità relativa
Un totale di 240 ore a temperature comprese fra 20 e 71°C, con un’umidità relativa pari a almeno il 95%. Il vapore acqueo utilizzato deve avere un pH compreso fra 6,5 e 7,5 (pH neutro).
- Atmosfera satura di ossigeno
L’orologio viene immesso per 48 ore in un’atmosfera costituita al 100% da ossigeno, alla pressione di 5,5 psi (0,35 atmosfere). Il test viene considerato non superato per valori al di fuori delle specifiche e dei limiti di tolleranza previsti, bruciature visibili, formazione di gas tossici, sprigionamento di odori acri, danneggiamento di giunti o lubrificanti. La temperatura ambientale viene mantenuta a 71°C.
- Prova d’urto
Sei urti da 40 G, della durata di 11 millisecondi ciascuno, in sei angolazioni diverse.
- Accelerazione
L’orologio viene sottoposto, nel giro di 333 secondi, ad accelerazioni lineari di entità compresa fra 1 e 7,25 G, lungo un’asse parallelo a quella longitudinale della navicella spaziale.
- Decompressione
Novanta minuti alla pressione massima di 1,47 x 10-5 psi (10-6 atmosfere) alla temperatura di 71°C e 30 minuti alla temperatura di 93°C.
- Sovrappressione
L’orologio viene sottoposto alla pressione di 23,5 psi (1,6 atmosfere) per un periodo minimo di un’ora.
- Vibrazioni
Tre cicli (laterale, orizzontale, verticale) di 30 minuti, a una frequenza di oscillazione variabile da 5 a 2.000 Hertz e di nuovo a 5 Hertz, il tutto nel giro di 15 minuti. L’accelerazione media per impulso non deve risultare inferiore a 8,8 G.
- Rumore
130 decibel in un range di frequenza compreso tra 40 e 10.000 Hertz, per una durata di 30 minuti
Bene, per dovere di cronaca (e paura di querele), succede che il Rolex si ferma durante il test di umidità e gli si squagliano le lancette durante il test ad alta temperatura mentre al Longines salta il vetro durante il test di decompressione e di alta temperatura.
AND THE WINNER IS: SPEEDMASTER OMEGA!
Che già solo solo per il nome gli toccava il primo posto.
Lo Speed, pur registrando qualche anomalia nella marcia ( “guadagna” 21 minuti durante il test di decompressione e ne “perde” 15 durante il test di accelerazione) e nonostante perda la luminescenza durante le prove viene promosso dalla NASA.
Omega era già stata nello spazio già nel 1962 al polso di Wally Schirra con lo Speedmaster ref. CK2998, ma non come equipaggiamento ufficiale, si trattava dell’orologio personale dell’astronauta. Nel 1965 lo Speedmaster è decretato orologio ufficiale per le missioni spaziali, e già lo stesso anno Ed White lo indossa nella prima EVA statunitense mai effettuata. Ed in Svizzera se la sentono talmente tanto che aggiungono la scritta PROFESSIONAL sul quadrante dello Speedmaster.
I test vengono svolti su orologi che montano il meccanismo o, più correttamente, il calibro 321, di derivazione Lemania 2310. Si tratta quindi di un cronografo a carica manuale che lavora ad una frequenza di 18.000 Alternanze/ora (2.5 HZ), 17 rubini, diametro 27mm, spessore 6,74 mm, smistamento cronografia tramite ruota a colonne, incabloc, riserva di carica di circa 44 ore.
A sbarcare sulla Luna al polso di Aldrin fu lo Speedmaster referenza ST 105.12, equipaggiato con cal.321, cassa in acciaio da 42mm leggermente modificata rispetto alle referenze precedenti in modo da offrire una maggior protezione ai pulsanti crono e alla corona, dando quella forma leggermente asimmetrica che lo Speedmaster conserva ancora oggi. Al posto del normale bracciale in acciaio viene creato un lungo strap in velcro per allacciare l’orologio sopra la tuta spaziale.
Nasce così quello che tutt’ora è per tutti gli appassionati di orologeria “Il Moonwatch” ad oggi ancora l’unico orologio certificato NASA per le attività extra-veicolari.
In Omega ci tengono a specificarlo per bene, sburoni.
Il destino beffardo ha voluto che proprio l’orologio di Buzz Aldrin, forse il più sacro dei sacri graal dell’orologeria si sia smarrito. Fu rubato/perso insieme ad altri oggetti della missione che venivano trasportati allo Smithsonian Institute per essere conservati. Nel 2004 era venuto fuori un tizio che sosteneva di esserne in possesso, ma approfondite analisi lo hanno smentito categoricamente
Comunque, torniamo ai tempi della Luna: nel 1972 i test vengono ripetuti, pare su pressioni del Senato U.S.A. in virtù del rispetto del Buy American Act. (una legge del ‘33 con l’obiettivo di limitare gli acquisti di prodotti stranieri per le commesse pubbliche) per cercare di far posto all’Americana Bulova.
In Svizzera la prendono sul personale, Omega incarica Pierre Chopard di sviluppare un’evoluzione del Mooonwatch del ‘65: caratteristica principale deve essere la resistenza a bassissime temperature e a estremi sbalzi di temperatura. Viene dato il via all’ Alaska Project (nome che non ha niente a che fare col 49° Stato USA se non il freddo )
Il primo prototipo è sostanzialmente un blocco di titanio con l’orologio incastonato dentro, con quadrante bianco e sfere “Apollo” arancioni, progetto rapidamente accantonato in favore dell’Alaska Project II. Quest’ultimo è quasi identico allo Speedmaster originale, la principale differenza è il quadrante bianco rifinito all’ossido di zinco per una maggiore resistenza ai raggi solari, sfere sempre in stile Apollo ma nere, ghiera tachimetrica o in alcuni esemplari graduata 0 – 60 per ricavare la funzione count-down. Il tutto mosso da un nuovo calibro, l’861, che perde il raffinato smistamento cronografico a ruota a colonne per un più semplice sistema a camme e guadagna 0,5 Hz di frequenza.
La vera particolarità sta nel sistema inventato per proteggere l’orologio dagli sbalzi di temperatura. Una controcassa, rinominata dagli appassionati “posacenere” o “ciambellone” dentro cui alloggiare l’orologio durante le EVA. Si tratta di un anello in alluminio anodizzato di 58mm di diametro per 26 di altezza. Una sveglia da polso in pratica.
L’Alaska 1 in titanio in alto e l’Alaska 2 (in basso) in una particolare versione con ghiera 0-60 e sub-dial radiali
Comodo e discreto
Bello, funzionale, innovativo, ma la risposta della NASA è lapidaria: no need to improve on the Speedmaster. L’Alaska Project rimarrà solo un prototipo, nel 2008 in Omega qualcuno rispolvera gli archivi e lo ritira fuori per creare l’ennesima Limited Edition, una tra le più belle:
Omega continua ancora a cavalcare il primato del Moonwatch, che viene ancora prodotto abbastanza simile a quello del 1969. Non contenti hanno tirato fuori una miriade di Limited Edition per ciascuna missione spaziale e pure per i relativi anniversari. Insomma se vi volete mettere al polso un pezzo di storia avete l’imbarazzo della scelta. L’importante è tenerlo lontano dall’acqua. Già, perché il caro Speedy ne avrà passate di ogni ma l’acqua non la tollera. D’altronde sulla Luna l’acqua non c’è.
– Lo Speedmaster L.E. per il 45° anniversario della missione Apollo13. Notare il riferimento tra le 12 e le 3 ai famosi 14 secondi vitali per quella missione (pelle d’oca) –
Articolo di Mariano Luciano, il nostro esperto in fatto di scorrere del tempo.
Ottimo articolo, al solito, ma stavolta mi permetto un appunto…
La prima EVA della storia fu quella di Aleksej Leonov durante la Voschod 2, il 18 marzo del 1965; Ed White (Gemini 4, 3 giugno dello stesso anno) compí la prima EVA a stelle e strisce.
I miei due cents!
Grazie della precisazione, abbiamo corretto!