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Mir, 140 tonnellate di cazzutaggine russa in orbita intorno alla terra

Brutta che pare un carciofo, disegnata come nemmeno una scimmia monca saprebbe fare, non sfigurerebbe in un sequel di balle spaziali. I film (tutti americani ovviamente) spesso ce l’hanno raccontata come un accrocco costruito alla classica maniera sovietica (e non hanno tutti i torti) che cade a pezzi, piena di pezze e rattoppi e i cui inquilini tiravano avanti a Vodka distillata dagli esperimenti fatti sul grano spaziale… ma in verità a lei dobbiamo molto. Primo fra tutto la stazione spaziale internazionale ISS, costruita sulla falsariga della Mir, ma un tantino meglio. Non ci credete? Beh, pensate che il DOS-8, detto anche Zveda e che non è l’evoluzione dell’MS Dos 5.1 bensì un modulo pensato per quella che doveva essere la MIR II (progetto andato a babuske causa liti di condominio tra le repubbliche dell’URSS), oggi fa parte della sezione Russa della ISS, tanto per dire che non era proprio uno scaldabagno.

Ma vediamo come tutto ebbe inizio.

Once upon a time..

Una delle più grandi sfide dell’uomo, oltre a cercare di capire le donne oppure autoconvincersi che un’auto elettrica con guida autonoma non è un elettrodomestico, è di certo la conquista dello spazio.

Tutto cominciò nell’immediato dopoguerra, quando U.S.A. e U.R.S.S. per imporre il proprio predominio, non potendo scatenare una terza guerra mondiale cominciarono la corsa a chi ce l’ha più duro allo spazio. Fu l’inizio della guerra fredda e con la scusa di mandare l’uomo a rompere le balle ad altre civiltà aliene, si svilupparono nuove tecnologie per colpire il nemico prima che se ne accorgesse o carpirne i segreti spiandolo dall’alto. Fortunatamente “War games” e “The day after” sono rimasti solo dei bei film e noi ci siamo potuti godere il meglio di tutto ciò che ne è derivato (TURBOPOMPE e SR-71 inclusi)

Inizialmente fu un po’ un testa a testa, ma poi gli americani si sono rotti il cazzo e al grido di “Spacchiamo il culo al compagno Breznev!!!” “Push the pedal to the metal!!!” hanno deciso di menare pesante e con le TURBOPOMPE (l’ho già detto vero?) del programma Apollo e la conquista della luna misero la parola fine ai sogni di gloria sovietici.

Dato che all’epoca era ancora impensabile mettere piede (o qualunque altra cosa) su un pianeta che non fosse il nostro satellite e che la luna ormai non era più vergine, ci si concentrò su come far vivere degli uomini in orbita. Fu così che nacquero le missioni USA Skylab e URSS Saljut, ovvero dei piccoli monolocali orbitanti dove 3 o 4 astronauti potevano stazionare qualche giorno girando intorno alla terra. Erano poca roba (si fa per dire), piccoli, scomodi e poco sicuri e di certo limitati nelle possibilità. Però il seme era lanciato.

Mentre gli americani si puntarono sullo sviluppo dello Shuttle, dalle parti del Cremlino decisero di intraprendere un’altra direzione e ritornare ai fasti dello Sputnik, della cagnetta Laika, di Yuri Gagarin e Valentina Tereshkova: era il 17 febbraio 1976 e l’URSS se ne uscì con un decreto che chiedeva di progettare una stazione spaziale migliore delle Saljut. Fu così avviato il Programma MIR.

Mir in russo vuole dire pace o mondo (perché stazione spaziale avanzata per poter spiare gli americani era brutto come nome) e rispetto alle precedenti Saljut implementa una caratteristica costruttiva innovativa (che sarà alla base anche della ISS): la modularità.

In parole povere avete presente Mr Potato (qui raffigurato in versione soviet)?

Ecco, il concetto è lo stesso: costruire una patata stazione spaziale partendo da un modulo principale ed espanderla successivamente con altri moduli aggiuntivi disponibili in comodi fascicoli settimanali. Questa stazione fu l’ottava delle stazioni orbitali sovietiche a lungo termine ” Salyut “, che svolgevano sia missioni di ricerca che di difesa, ma in realtà fu una cosa tutta nuova. Il progetto prevedeva:

Il modulo MIR principale (lanciato il 20 febbraio 1986) a cui seguirono i moduli

  • Kvant 1 (marzo 1987)
  • Kvant 2 (novembre 1989)
  • Kristall (maggio 1990)
  • Spektr (maggio 1995)
  • Docking Module (1995)
  • Priroda (aprile 1996)
  • Sadfdaghio*
  • Tsapidda*
  • Frrranco*

*  Moduli previsti ma non sviluppati a causa della caduta dell’Uniove Sovietica ahiòòò

Monta anche tu la tua stazione spaziale, la prima uscita a soli 5 rubli

Il primo problema da affrontare fu come mandare in orbita i vari pezzi del puzzle moduli. I russi si ravanarono nelle tasche e trovarono che i simpatici missili Proton (nome ufficiale UR-500 o anche D-1) potevano fare al caso loro.

Il Proton venne inizialmente progettato per mandare un paio di cosmonauti in gita intorno alla luna, ma con la soppressione del programma lunare sovietico vennero inizialmente riciclati come “super ICBM” ovvero un missile balistico intercontinentale capace di trasportare una testata nucleare di 10 o più Megatoni a una distanza di 12000 km. Comodo.

Dato che comunque questi missili rimanevano nei loro siti a fare la muffa, i nostri scienziatoni col colbacco pensarono bene di riciclarli nuovamente come razzi vettori, infatti erano capaci di portare un carico di ben 20 tonnellate in orbita (bassa).

In più il carburante del razzo è una miscela di 1:1 di dimetilidrazina e perossido di azoto. Questi liquidi ipergolici sono molto tossici (e GRETA MUTA) ma bruciano a contatto, eliminando la necessità di un sistema di ignizione. Inoltre hanno dalla loro che possono essere mantenuti a temperatura ambiente, eliminando così il bisogno di studiare materiali che reagiscano correttamente a basse temperature e permettendo al razzo di restare in rampa per un tempo indefinito e senza quindi doversi preoccupare dell’evaporazione dei carburanti criogenici. Fu il più grande missile vettore russo prima dell’avvento del progetto Energia (quello che doveva portare il BURAN). Era spinto da 6 prepotenti RD275 da 162 tonnellate di spinta a livello del mare cadauno!

– ТУРБОНАМП* – *TURBOPOMPA
il Proton dal suo lato più bello
Chi ce l’ha più grosso?

Dalla sua aveva anche che era a buon mercato, ogni lancio veniva a costare optional e mazzette escluse sui 100.000.000 di dollari, calcolando che per un razzo vettore USA Delta IV ci volevano almeno 265 milioncini di biglietti verdi, il risparmio era evidente (anche se l’affidabilità stava al livello di una Lada Samara…)

Chiusa la parentesi TURBOPOMPA torniamo al carciofo protagonista della storia.

La costruzione della MIR durò ben 10 anni (alla faccia delle collane DeAgostini) e cominciò il 20 Febbraio 1986 quando venne messo in orbita il CORE ovvero Il modulo base chiamato DOS-7

  • Lunghezza: 13.13 m
  • Diametro: 4.15 m
  • Volume abitabile: 90 m³
  • Massa: 20,400 kg
  • Ampiezza ali: 20.73 m

Aveva sei porte di attracco destinate alle future espansioni e due motori da 300kg di spinta per le manovre orbitali. Lo scopo principale del Modulo base durante la vita della stazione fu come area di soggiorno. Fu equipaggiato con un bagno, due cabine per il riposo, la privacy, l’intrattenimento con musica e film, equipaggiamento per l’esercizio fisico e per le cure mediche, termoautonomo, infissi ultima generazione, videocitofono e vista panoramica.

Il modulo Kvant-1 (11 tonnellate, 5,8 m x 4,15 m) fu la prima aggiunta al modulo principale. Conteneva strumenti per osservazioni di tipo astrofisico ed esperimenti di scienza dei materiali e fu lanciato il 30 marzo del 1987.

La sua specializzazione era lo studio delle sorgenti a raggi X, ma a causa di una progettazione cinofallica lo si sfruttò pochissimo: infatti era rigidamente fissato alla stazione e per orientare il visore bisognava spostare tutta la stazione, che però spostandosi comprometteva la funzionalità dei pannelli solari facendo calare l’energia a tutta la baracca. Inoltre, come se non bastasse, per ben due volte durante la sua orbita la stazione passava per delle fasce di radiazioni che accecavano il sistema… in pratica quindi l’utilizzo fu praticamente nullo.

Michail Gorbačëv si congratula con gli ingegneri

Seguì il 26 Novembre 1989 il Kvant-2 (18,5 tonnellate, 13,73 m x 4,35 m), la seconda aggiunta al modulo principale. Il suo scopo primario era quello di fornire alla Mir un laboratorio per nuovi esperimenti scientifici, un miglior sistema di supporto vitale e un airlock per consentire, nel caso il compagno astronauta soffrisse di potente aerofagia, le cosiddette EVA ovvero le passeggiate nello spazio.

Il 31 maggio 1990 dalla base avvisarono che un razzo Proton era in arrivo con 19 tonnellate di Kristall, al che immaginate la delusione degli astronauti, già pronti a inciuccate siderali e trenini nello spazio che Galaxy 9999 scansati proprio, quando il 10 giugno attraccò invece di una megamagnum di champagne, il 4° modulo, appunto chiamato Kristall (19,6 tonnellate, 13,7 m x 4,35 m). C’è da dire che il primo attracco causa guasto ai motori non fu possibile e ci si riuscì solo ad un secondo tentativo.

Questo modulo divenne anche famoso perché protagonista del primo tamponamento spaziale della storia. Nel gennaio 1994, mentre lasciava la Mir, la Soyuz TM-17 era così sovraccarica di “souvenir” spaziali che a causa della ridotta controllabilità entrò in collisione con il Kristall un paio di volte. L’equipaggio a bordo della Soyuz cominciò a tirare fuori icone e rosari dato che la navetta era controllata da apparecchiature automatiche, a quanto pare non proprio affidabilissime.  Per evitare il peggio, gli astronauti dovettero passare urgentemente al controllo manuale. Fortunatamente l’impatto fu lieve, non ci furono danni rilevanti e i cosmonauti tornarono sani e salvi a terra dove li aspettava un cambio fresco di biancheria.

Il Kristall Inizialmente era destinato, grazie al modulo successivo chiamato Docking Module arrivato il 12 Novembre 1995, a far attraccare la navetta russa Buran. Purtroppo il programma della copia carbone “cugina” dello shuttle era andato a puttane a causa del crollo dell’Unione Sovietica lasciando un piccolo debito di 16,4 miliardi di rubli. Si pensò bene quindi di usarlo per gli esperimenti del programma unificato “Shuttle – Mir”. Infatti grazie a questo modulo, lo Shuttle Atlantis potè attraccare alla stazione orbitante e i due equipaggi russo e americano potevano finalmente spiarsi a vicenda visitando chi la Mir, chi lo Shuttle.

Acqua e olio tutto a posto?

Il 20 maggio del 1995 fu la volta del modulo Spektr (19,6 tonnellate, 13 m x 4,35 m), originariamente sviluppato per essere utilizzato in un programma militare sovietico top-secret denominato “Oktant”. Era stato pianificato che trasportasse strumenti per la sorveglianza e per testare sistemi di difesa antimissilistica. Il cuore dei sistemi di Spektr consisteva in un telescopio ottico denominato “Pion”, portò in dote 4 grossi pannelli solari che da soli fornivano almeno metà dell’energia elettrica necessaria alla stazione  e un bel binocolo Zenith 10×42, buttalo via…

Anche questo però è durato poco: nel giugno 1997 la navetta di rifornimenti senza pilota Progress M-34 è andata fuori rotta e ha danneggiato il modulo. Come nel più classico disaster movie di Hollywood si è verificata una depressurizzazione, i pannelli solari sono parzialmente crollati e il modulo è stato disattivato. Fortunatamente l’equipaggio della stazione è riuscito a chiudere rapidamente il portello che porta dal modulo base allo Spektr e quindi a salvare sia le loro vite che il funzionamento della stazione nel suo insieme.

L’ultimo modulo, il PRIRODA (19,7 tonnellate), attraccò il 23 aprile 1996, ed era destinato come scannatoio laboratorio per esperimenti sulla terra.

Con l’attracco dell’ultimo modulo la stazione era finalmente completa. Il suo peso totale, a secco sgocciolato era di 124.340 kg (mezzo Boeing 747) e misurava 19×27,5×31 metri (altezza lunghezza e larghezza decidete a piacere, tanto state nello spazio e potete metterla come vi pare). Posta in orbita terrestre bassa, la sua altitudine variava da 296 km a 421 km, la sua velocità media era di 27.700 km/h che le permetteva di completare 15,7 orbite al giorno. Alla fine della sua vita si è fatta ben 3.638.470.307 km

La MIR divenne il primo avamposto per la vita umana nello spazio. Anche se la superficie abitabile totale era di circa 360mq, non è che all’interno si stesse proprio comodi. Era un labirinto angusto, pieno di tubi, cavi e strumenti scientifici così come delle attrezzature per la vita quotidiana, come foto, disegni, bambole gonfiabili libri e una chitarra (mi sarei aspettato una balalaika). La stazione normalmente ospitava tre membri dell’equipaggio, ma era in grado di supportarne fino a sei per un massimo di un mese.

Il fuso orario utilizzato a bordo della Mir era quello di Mosca. Le finestre venivano coperte durante le ore notturne per dare l’impressione del buio poiché la stazione sperimentava 16 albe e tramonti al giorno. La giornata tipo per l’equipaggio iniziava con la sveglia alle 8:00, seguita da due ore di igiene personale (cazzo avete le croste?) e prima colazione. Il lavoro veniva programmato dalle 10:00 alle 13:00, seguito da un’ora di esercizio fisico e pausa pranzo di un’ora. Successivamente vi erano altre tre ore di lavoro e un’altra ora di esercizio fisico. Verso le 19:00 gli equipaggi iniziavano a preparare il loro pasto serale. Alla sera i cosmonauti disponevano del tempo libero. Immaginatevi il dialogo “Dai ragazzi stasera tutti al PRIRODA che c’è DJ IVANENKO!!” Oppure “Compagna questa sera allo SPEKTR danno per la 35esima volta 2001 Odissea nello spazio, ci andiamo?”.

Nel loro tempo libero, gli equipaggi osservavano la Terra sotto di loro, giocavano al barile del marinaio, distillavano vodka, rispondevano alle lettere, ai disegni e altri oggetti inviati dalla Terra (erano soliti timbrare la corrispondenza con un timbro ufficiale) o utilizzare gli apparecchi radioamatoriali della stazione. Due segnali di chiamata radio non ufficiali, U1MIR e U2MIR, erano stati assegnati alla Mir a partire dalla fine del 1980, consentendo ai radioamatori sulla Terra di comunicare con i cosmonauti La stazione era stata dotata anche di una grande quantità di libri e film porno

In tutta la MIR c’erano due cessi toilette, ed erano alquanto particolari. Poste nei moduli Core e Kvant-2 utilizzavano un sistema di aspirazione simile a quello dello Space Shuttle per la raccolta dei rifiuti. Per prima cosa i cosmonauti si fissavano al sedile del WC, dotato di maniglie per garantire una buona tenuta. Una leva metteva in moto un potente ventilatore che portava via i rifiuti. I rifiuti solidi erano raccolti in singoli sacchetti. I contenitori pieni venivano trasferiti sulla navicella Progress per lo smaltimento. I rifiuti liquidi venivano invece evacuati da un tubo collegato alla parte anteriore del WC, con adattatori anatomici ad “imbuto” in modo che sia gli uomini che le donne potessero usarlo.

Nell’immaginario comune la MIR è sempre stata paragonata ad un trabiccolo che cadeva a pezzi e che si aggiustava con pinze e fil di ferro, ma non era così. Tanto è vero che funzionò sempre tutto abbastanza bene, e che qualche guasto grave cominciò a manifestarsi solo a fine vita.

Il 24 febbraio 1997, secondo la versione ufficiale, si sviluppò un incendio da un generatore chimico di ossigeno (in verità l’americano stava insegnando a grigliare duro la bistecca liofilizzata ai russi). Immediatamente si sviluppò del fumo altamente tossico che costrinse i due cosmonauti russi e l’astronauta statunitense presenti a bordo della stazione spaziale ad indossare per un periodo prolungato delle maschere antigas e d’ossigeno.

Grazie alla reazione immediata e corretta dell’equipaggio, poté essere evitata un’interruzione della missione con conseguente ed immediato rientro a terra dell’equipaggio. Infatti i tre riuscirono a ripulire l’aria entro il brevissimo tempo di un solo giorno.

Solo due settimane più tardi comunque smise di funzionare correttamente l’apparato primario di alimentazione d’ossigeno della stazione spaziale e si dovette provvedere ad attivare l’alimentazione secondaria.

Pedala compagno!

Inoltre, a causa di un difetto del controllo di posizionamento della stazione spaziale, vi fu esclusivamente la possibilità di eseguire delle manovre orbitali volando manualmente.

Un ulteriore problema non meno grave fu il fatto che i sistemi di collegamento via radio tramite satelliti artificiali di comunicazione ormai più che obsoleti, consentivano un contatto via radio con il centro di controllo di volo di Mosca di soli 10 minuti per orbita terrestre, che dura mediamente 89,1 minuti. Pertanto per un’ora e quasi venti minuti gli equipaggi si trovavano del tutto impossibilitati a comunicare con il centro di controllo, seguiti da 10 minuti spesso non sufficienti per effettuare le comunicazioni necessarie prima che il tutto fosse seguito da un’ulteriore ora e venti minuti di silenzio radio. In pratica dicevano tre o quattro parole alla volta…

Gli astronauti della Mir che hanno appena perso la finestra per il collegamento

Ma erano difetti che potevano anche starci, d’altronde la MIR era progettata per rimanere nello spazio per 5 anni, ma dato che era tosta e grezza come una UAZ 462 ce ne rimase ben 15 e ce ne sarebbe rimasta di più se non avessero deciso di farla precipitare. Quando nel 1998 fu messo in orbita il primo pezzo della ISS, molti governi fecero pressione sui Russi per far rottamare la MIR. Un po’ perché ormai perdeva colpi, un po’ perché non era più conveniente tenerla in orbita e poi volevano appunto concentrarsi sulla ISS.

Dal Cremlino dissero serafici “Manco per il cazzo!”

I Russi per tutta risposta nel 1999 formarono addirittura un’apposita organizzazione, atta a garantire il mantenimento in volo della MIR, grazie a finanziamenti di privati. Durò infatti fino al 4 aprile 2000, quando l’ultimo equipaggio della MIR verrà lanciato a bordo della Sojuz TM-30. Al momento del lancio i responsabili dei programmi spaziali russi non avevano abbandonato la speranza di mantenere attiva la MIR per ulteriori due anni grazie a denaro investito da imprenditori del mondo occidentale. Questa speranza si dimostrò ben presto irrealizzabile a causa degli enormi costi che dovettero già in quel momento essere sostenuti dal governo russo solo per garantire il mantenimento attivo della stazione spaziale, cioè senza mettere in bilancio eventuali missioni verso e dalla stazione spaziale. Il 23 ottobre 2000 venne annunciato ufficialmente l’addio e la messa in disfunzione della MIR. Nelle prime ore del mattino del 23 marzo 2001 venne avviata la manovra controllata di rientro in atmosfera, grazie a tre accensioni dei retrorazzi frenanti dell’ultima navicella di trasporto del tipo Progress che era rimasta agganciata alla stazione spaziale. Le ultime parti e componenti metalliche che non si erano consumate man mano mentre rientravano in atmosfera, precipitarono alle ore 6:57 UTC nella zona precedentemente calcolata nelle acque del sud dell’Oceano Pacifico. Dalle isole Figi fu ben visibile lo spettacolo che ricordava i fuochi d’artificio e gli spettacoli pirotecnici di Capodanno.

Dasvidania Tovarish!

Tra tutti gli astronauti che hanno soggiornato sulla Mir, ben 96 di cui 19 più di due volte, la vicenda più singolare è quella di Sergei. Tornò sulla terra il 25 marzo 1992, reduce da ben 311 giorni trascorsi suo malgrado nello spazio a bordo della stazione spaziale Mir. La leggenda narra che era rimasto intrappolato a bordo della stazione per diversi mesi in più del previsto perché il paese che l’aveva lanciato in orbita non esisteva più. Infatti l’Unione Sovietica che lo mandò in orbita, al suo rientro non esisteva più, e al suo posto c’era la Federazione Russa.

Il rientro previsto quindi slittò di qualche mese perché la neonata Federazione Russa, a corto di quattrini, cercava disperatamente qualche pollo nazione che volesse mandare in orbita un astronauta e si accollasse le spese del viaggio per poter far tornare giù il proprio cosmonauta. In realtà egli rimase volontariamente sulla stazione spaziale Mir nell’ambito di un programma di studi volto a raccogliere dati sull’adattamento dell’organismo umano durante voli spaziali di lunga durata.

Abbiamo anche un filmato esclusivo sul suo rientro

Grazie alla MIR oggi abbiamo la ISS e tutto ciò che ne verrà, niente male per un accrocco russo.

Articolo del 12 Aprile 2021 / a cura di Roberto Orsini

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  • Alessandro

    Capolavoro di articolo e immagini, meglio di molti pezzi presenti in rete e su riviste.

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