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L’affare del giorno: Footwork V12 Porsche ex Alboreto

Ogni tanto, per passare il tempo, mi diverto a navigare tra i vari siti di annunci. Uno dei miei preferiti è la sezione motori di Subito.it. Essendo un network market per lo più destinato ai privati ci si può imbattere in perle memorabili. Gente che vende la sua auto e non sa nemmeno copiarne il nome dalla targhetta posteriore, chi vende rottami spacciandoli per oro o chi al contrario ha un bel pezzo e non ne conosce il reale valore. Le descrizioni poi a volte sono davvero esilaranti, per non dire di alcune richieste economiche a dir poco imbarazzanti:

– poteva mancare la Golf sportiva? –

 

Ma su questo sito può anche capitare di trovare roba, sempre in ambito di ferramenta, veramente interessante: tantissime Ferrari tra cui addirittura una F40 (in vendita a due milioni), Lamborghini come se piovesse, una Jaguar XJ-220, Porsche e tanto altro ben di Dio. Ogni tanto poi, potreste imbattervi in annunci molto particolari come ad esempio quello di una F1!

Esattamente, avete capito bene. Non stiamo parlando ovviamente di una F1 dell’era moderna, di quelle zeppe di elettronica che dovete accendere un mutuo per affittare una squadra di ingegneri solo per metterla in moto. Stiamo parlando di un’auto che prese parte al campionato del 1991 con al volante il compianto Michele Alboreto: la Footwork A-11c*.

*NOTA: l’annuncio è stato rimosso poche ore dopo la sua pubblicazione, ma i potentissimi mezzi informatici di cui RS è in possesso ci ha permesso di risalire alle schermate prima che andassero perse per sempre.

eh si proprio lei

Il prezzo? “Appena” 750.000 euro, tanti? Si! Troppi? Pure. Con 100-150 mila euro potete tranquillamente portarvi a casa una F1 showcar ufficiale (quelle delle presentazioni che sono praticamente gusci vuoti ma che in salotto fanno tanto figo) basta vedere ad esempio qui. Se ne volete una funzionante preventivate qualche spiccio in più, ma si trovano, basta vedere i siti specializzati e una Footwork ve la portate a casa con molto meno. Siamo lontani dalle coetanee Ferrari 641 e Williams Fw14-5 che sono state vendute recentemente per qualche milione di euro ma sono comunque di auto di ben altro lignaggio. E sono sicuro che a voi, per quanto magari siate bravi a guidare, che sia una Williams campione del mondo o una Leyton House cambierà ben poco.

Certo, con 750mila euro ve ce potreste calzà meglio bucione da Roma a New York passando per Bombay (e non avreste tutti i torti), o più prosaicamente potreste prendere uno o più ferri per soddisfare i vostri sogni più osceni, ad esempio la XJ-220 in vendita allo stesso prezzo (e con cui riceverete una copi a di DI BRUTTO Volume Uno in omaggio) o una Aventador SVJ e vi avanzerebbero pure i soldi per qualche pieno e un paio di treni di gomme e nessuno avrebbe da ridire.

Però questa Footwork è praticamente un pezzo unico, non so se avete notato la scritta sul cofano, il motore non è il solito V8 Cosworth DFV ma un ben più blasonato V12 dai nobili natali, per la precisione il Porsche 3512 mica pizza e fichi. Della A11c ne sono stati costruiti solo due esemplari e quello (apparentemente) in vendita pare sia l’unico arrivato integro e completo fino a noi.

Se già siete corsi in banca per un prestito o avete contattato qualche losco figuro per impegnarvi la suocera, vi dico subito di fermarvi. Con molta probabilità si trattava di un annuncio fake, già il prezzo sproporzionato ne era un indicatore e poi è durato online meno di un pieno di una F40 lanciata a palla sull’anello di Nardò. O forse l’hanno venduta in un batter d’occhio? O si sono resi conto di aver pubblicato una bufala? Io comunque, prima che sparisse, avevo chiesto se era ancora disponibile e mi hanno risposto di si quindi chissà. Poi magari è vero e riapparirà ad un prezzo più consono, per cui non perdete le speranze e state con le antenne dritte.

Scoprire questo annuncio però mi ha lasciato la curiosità di saperne di più su questo mezzo, avevo vaghi ricordi della Footwork, ma che fosse motorizzata Porsche ne ero proprio all’oscuro. Allora mi sono fatto le mie belle ricerchine e ho scoperto un bel pò di cose croccanti, sentite che storia: nel Novembre del 1977 fu fondata in Inghilterra una delle più longeve scuderie di F1: la Arrows. Finanziata dall’imprenditore Italiano Franco Ambrosio, aveva come principali fondatori molti membri “rubati” al team Shadow. Fu protagonista da subito di una eclatante spy story in quanto oltre a ingegneri, pilota e progettisti si erano portati dietro come souvenir pure i disegni della nuova Shadow di F1.

La Arrows fu condannata, ma comunque sopravvisse e corse (sempre con scarsi risultati) fino al 2002. Sempre abbastanza a corto di soldi come ogni buon team di medio-bassa qualifica che si rispetti, riuscì comunque a tirare fuori per il 1979 una delle F1 più belle e particolari che abbiano mai calcato le piste: la Arrows A2

chissà perché fu soprannominata “la supposta”

Era l’era dell’effetto suolo e l’auto progettata da Dave Wass e Tony Southgate, fu una delle rare rappresentanti del concetto di auto “wingless” ovvero progettate per funzionare senza appendici aereodinamiche. Se le altre auto facevano sfoggio di alettoni e spoiler più o meno esagerati, la Arrows A2 invece ne era priva (almeno nelle prime versioni). I vari profili aerodinamici infatti erano integrati nella carrozzeria, estremizzando i concetti della Lotus 79 dell’anno prima. Le sospensioni , l’abitacolo, il posizionamento degli organi meccanici tutto è studiato in funzione dei flussi aerodinanici.

Lo studio dell’aerodinamica della A2 in un disegno di Giorgio Piola

I bracci delle sospensioni anteriori sono carenati e per lasciare più spazio al flusso del sottoscocca, il motore (il solito Cosworth DFV) viene inclinato in avanti di 3,5°/4° a beneficio della sezione d’uscita del condotto Venturi. Una soluzione ripresa successivamente da altri costruttori, Ferrari compresa. L’ala posteriore è monoprofilo e integrata nella carrozzeria.

Il mitico Patrese al volante della Arrows A2, fapfapfap

Purtroppo però l’auto non mantiene nulla di ciò che promette. Le prestazioni sono scarse e soprattutto in rettilineo soffre di fastidiosi ondeggiamenti (oggi li chiamano porpoising) che ne rendono difficile la guida. Bella si ma in pista un carrettone. Ora premiamo il tasto FFW ed arriviamo agli anni 90.

Nel lontano Giappone, che stava vivendo un nuovo boom economico, c’era un tale Wataru Ohashi diventato straricco grazie alla sua compagnia di trasporti, la Footwork Express Co. Ltd. Dovendo diversificare i suoi investimenti, Ohashi decise di sputtanare investire il suo denaro in qualcos’altro e cominciò a finanziare il team Arrows. Jackie Oliver, ex pilota Shadow, fondatore della Arrows e negli affari furbo come una faina, fiutò il pollo e dopo un annetto di contributi incassati, decide di rifilare una bella sòla al giapponese vendendogli le quote di maggioranza della scuderia con l’accordo che lui però rimanesse al comando della baracca.

Nacque così nel 1991 la Footwork-Arrows, Ohashi versava fior di quattrini e aveva un team di F1 che portava il suo nome, ma il tutto veniva gestito e amministrato da Jackie Oliver e i suoi compari.

Oliver al centro insieme a Follmer e Don Nichols ai tempi della Shadow

Occupiamoci ora della parte più succulenta. Abbiamo accennato che l’auto dell’annuncio monta un V12 Porsche, che alla fin fine dovrebbe essere il pezzo forte. Però calm your enthusiasm, mi spiace deludere le vostre aspettative ma il Porsche 3512 è stata una delle cagate delle delusioni più colossali che si siano mai viste a Zuffenhausen.

Vediamo come sono andate le cose. Nel 1990 l’era del turbo in F1 era tramontata, e la Porsche detentrice di ben tre titoli (1984-1985-1986) con i suoi motori TAG-Porsche si era ritirata da un pezzo. Ma la nuova formula del motore aspirato da 3.5 litri, come il canto delle sirene, fece breccia tra le mura teutoniche e quindi si decise di tornare ufficialmente in pista.

Per la precisione l’idea del 3512 nacque nel 1987, quando furono deliberate le regole per la nuova F1. All’epoca il capo motorista era Hans Mezger, un ingegnere coi controcazzi, capo motorista e tra i padri dei pluri-vittoriosi Tag-Porsche e non solo. Il buon Hans un giorno entrò in ufficio tutto contento dicendo di avere un’idea rivoluzionaria per il nuovo motore, data la sua fama nessuno ebbe nulla da obiettare. Fu così che dopo un po’ una delegazione della casa tedesca prese un aereo e si recò in Inghilterra presso la sede della McLaren.

il 3512, si nota chiaramente la separazione dei due blocchi

Dopo i convenevoli di rito, l’ingegnere tedesco, nel silenzio generale, prese la sua valigetta, la aprì e ne estrasse un foglio, lo dispiegò e iniziò a parlare. Steve Nichols, all’epoca chief designer della McLaren, osservò il progetto e notò che era un po’ (troppo) fuori dagli schemi. Sembrava che avessero preso due V6 e li avessero accoppiati insieme. Non si sbagliava affatto. Il motore era in effetti l’unione di due 6 cilindri TAG che dava origine ad un V12 con angolazione di 80°, cilindrata ovviamente 3500 cc, 4 alberi a camme in testa e 4 valvole per cilindro. Spiccava una caratteristica unica: la presa di forza e la cascata di ingranaggi che comandava la distribuzione, non era davanti come di consueto, ma si trovava al centro del motore. Questa soluzione era la stessa adottata da Mezger per il 12 cilindri flat Typ 912 che equipaggiava le mitiche 917-30

Un Typ 912 sezionato, si notano gli ingranaggi centrali della distribuzione e che muovono pure la ventolona

Nelle intenzioni del progettista questa soluzione serviva a ridurre le vibrazioni e in più poteva permettere regimi fino a 14000 giri/min (un motore Ferrari arrivava a stento a 13000). Fatto sta che a fine riunione Steve Nichols prese da parte Ron Dennis e gli disse chiaro e tondo che il progetto faceva acqua da tutte le parti, di mollare Porsche e firmare con Honda. E così fu.

Alla Porsche masticarono amaro, soprattutto perché a quei tempi la casa tedesca non godeva di una situazione economica molto favorevole e quindi era necessario far fruttare al massimo l’investimento. Fu così che Ulrich Bez vicepresidente esecutivo si mise alla caccia di qualcuno intenzionato a finanziare il nuovo motore.

Purtroppo i grandi nomi avevano già siglato i loro contratti e quindi non gli rimase che cercare tra le piccole scuderie. Provò prima alla Onyx ma l’accordo saltò ad un passo dalla firma. A quel punto gli giunse voce che Jackie Oliver, ex pilota Porsche ai tempi delle 917, aveva trovato la gallina dalle uova d’oro in un ricco imprenditore giapponese.

Bez si mise in contatto subito con Oliver che andò da Ohashi (pare fosse vestito con un cappotto in pelle e portasse strani occhialini) e gli disse: “Abbiamo due opzioni per il motore: Ford, affidabile economico scelto anche da altri o Porsche, lo fanno solo per noi, molto più costoso, un vero salto nel buio”

Allora sig. Ohashi cosa scegli?

Ohashi che già aveva dato prova del suo fiuto per gli affari quando rilevò (per modo di dire) la Arrows, non se lo fece ripetere due volte e scelse ovviamente l’offerta della Porsche. Bez volò di corsa in Giappone e strappò un contratto che prevedeva per la prima stagione 20 milioni di dollari in quattro rate, a partire dal giugno 1990, poi 23 milioni per il 1992 e 25 milioni per il 1993. Facile come rubare le caramelle ad un bambino.

Con la valigia piena di soldi Bez torna in officina per vedere come vanno i lavori e scopre che sono ancora a carissimo amico. Per poco non gli prende un colpo. Non solo il motore non è pronto, ma nemmeno è stato mai testato al banco. Tra l’altro quel furbone di Oliver aveva fatto inserire nel contratto delle clausole che stabilivano la potenza (750 cv circa), le curve di coppia, dimensioni e  peso che doveva essere entro i 150 kg e loro a malapena lo avevano abbozzato.

cazzo cazzo cazzo

Non si sa bene come, seppur con un ritardo apocalittico, ad Ottobre il motore fu finalmente pronto. Già da subito però era chiaro che qualcosa non andava. Montati i vari accessori, la frizione e il volano, la bilancia dichiarava ben 189.6 kg! Trenta kg più del motore Honda e addirittura 50 kg più di quello Ferrari. Ma il peso eccessivo non era l’unico problema. Oltre ad essere pesante come un programma di Marzullo, era pure troppo ingombrante e non entrava nella macchina sviluppata per il campionato 1991, la FA12. Per questo si dovette prendere il telaio della stagione precedente ed adattarci il nuovo motore. Vide così la luce la Footwork-Arrows A11c .

I piloti del team erano Alboreto e Caffi, che la portarono in pista nelle prime tre gare della stagione finché la FA12 modificata per il nuovo motore non fu pronta. Fu un disastro totale: solo Alboreto riuscì una volta a qualificarsi 25esimo (ve li ricordate i campionati dove c’erano le prequalifiche perché non c’era posto per tutti?) ma poi si ritirò per noie meccaniche.

Alboreto a bordo della A11c

Il 3512 infatti non solo era pesante e grosso, ma era pure tremendamente inaffidabile. La particolare soluzione adottata per la distribuzione provocò da subito problemi irrisolvibili di pressione dell’olio e poi mancava di potenza e coppia in maniera imbarazzante. Anche sulla nuova FA12 il motore continuò a dare noie, l’auto venne schierata per i GP di San Marino, Monaco e Canada ma con scarsissimi risultati.  Alla Footwork cercarono di salvare il salvabile montando fino a fine stagione un Ford DFR. Con questo motore la FA12 risultò ben più veloce che con il Porsche e soprattutto ogni tanto arrivava pure a vede la bandiera a scacchi.

Olivier quindi rescisse il contratto per mancato rispetto dei vincoli e la Porsche fu costretta a restituire al team tutti i soldi versati. Pare che il motore a fronte dei 670 cv dichiarati non ne abbia mai sviluppato più di 510. A Weissach buttarono il 3512 nei sotterranei e per non perdere la faccia si ventilò l’idea di riprovare l’avventura nella massima formula magari sviluppando il nuovo motore V10 che era stato messo in cantiere per le gare di endurance (lo stesso V10 che andrà a finire poi sulla Carrera GT). Si fecero due conti in tasca e si trovarono a decidere se salvare la reputazione in F1 o salvare l’azienda puntando tutto sulla nuova 993… beh sappiamo bene come è andata.

è uscita quasi 20 anni fa ci credete?

La Footwork sopravvisse fino al 1996, poi Ohashi fu travolto da guai finanziari (ma dai!) e il team tornò completamente nelle mani di Oliver riprendendo il vecchio nome di Arrows. La Porsche non mise più piede in F1 (almeno fino ad oggi) e risollevatisi commercialmente, si dedicò principalmente alle gare di Endurance dove raccolse allori su allori.

Articolo del 1 Settembre 2022 / a cura di Roberto Orsini

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