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I dominatori della neve: i battipista, alias gatti delle nevi

Se stai leggendo questo articolo su Rollingsteel allora significa che forse puoi capire.

Puoi capire quella sottile soddisfazione che si prova nel trovare la trazione giusta sulla neve, quel senso di superpotere che ti danno gli pneumatici M+S, quella inconfessata speranza di trovare un meteo avverso in montagna.

Forse sono malato io, ma non credo di essere il solo. O per lo meno non qui.

Come vi ho raccontato a proposito dell’Aktiv Fischer, sin da bambino sono stato affascinato dalla sfida che neve e ghiaccio rappresentano per un veicolo. La vedo un po’ come la prova che, quando l’uomo si ostina, con ingegno e caparbietà può fare grandi cose.

Sarà per questo che da vent’anni, quando prendo la seggiovia Leissé di Pila, l’occhio mi cade sulla rimessa dei gatti battipista lì a sinistra. Le larghe tracce dentellate lasciate dai cingoli mi fanno pensare alla tana di gigantesce bestie feroci che di giorno si rintanano e di notte escono per cacciare. Volendo fare un paragone con gli occhi degli animali selvaggi, se al buio guardi bene, puoi vedere le loro luci aggirarsi sulla cima della montagna. Qualche volta, se sei fortunato, li vedi scendere a valle e puoi anche contemplarli mentre fanno le loro evoluzioni in gruppo. Il fatto che ci sia qualcuno a guidarli si finisce per dimenticarlo: come quando guardi le scie degli aerei pensi solo all’oggetto, non alle persone a bordo.

Alla fine, guarda e riguarda, stagione dopo stagione, ho deciso che non potevo più aspettare. Ho estratto il potentissimo “badge Rollingsteel” e ho chiamato la società degli impianti di Pila: “Ragazzi, scrivo per una banda di matti adoratori del ferro, non è che posso incontrare chi lavora coi gatti?

Detto fatto e qualche giorno dopo ho il numero di Maurizio, il responsabile della squadra. Il tempo di incastrare le date e finalmente varco la serranda dell’agognato sacrario.

Ma prima di iniziare, una piccola precisazione: il gatto delle nevi può essere utilizzato anche per il trasporto di materiali e persone, quindi il “battipista” è una tipologia specifica di gatto delle nevi.

L’odore di ferro, grasso e gasolio mi dà subito alla testa e faccio domande sconclusionate: sono troppi anni che aspetto questo momento.

Maurizio capisce, qui sono tutti fissati così. Sorride e inizia a parlarmi di come questi mezzi si siano evoluti in modo esagerato nei decenni. Nel lontano ’63, fu suo padre a inventarsi il primo battipista della località. Un mezzo a dir poco artigianale, grande come una motoslitta e dotato di un elementare rullo che, insieme ai cingoli, dava una parvenza di regolarità al tracciato.

Ragazzi, la foto parla da sola. C’è più ferro negli attribuiti di chi lo guida che nel macchinario.

Passa il tempo e negli anni ’80 i “gatti”, li chiamano tutti così, iniziano a prendere la forma che conosciamo.

Sono ancora analogici, con le due levone in mezzo, ma iniziano ad assomigliare a quelli moderni

Piano piano arriva la tecnologia, crescono le dimensioni, aumenta l’efficacia e soprattutto le potenze. Sotto il cofano ci sono ormai dei mostri da oltre 600 CV, necessari per soddisfare le esigenze di gigantesche pompe idrauliche.

Sono macchine complesse e costose: si parla di 400.000-500.000 euro che salgono di altri 150.000 euro se si aggiunge l’optional del verricello, utile per le pendenze più estreme.

Maurizio e il capofficina Stefano mi spiegano che a dividersi il mercato ci sono fondamentalmente due marchi: l’italiana Prinoth e la tedesca Pistenbully (Kässbohrer). Entrambi sono presenti nella flotta che ho visitato e i concetti di base, per un non addetto ai lavori, sono simili. Nelle descrizioni tecniche che seguiranno non specificherò di quale marchio sto parlando.

Entrambi sono spinti da un 6 in linea turbodiesel MTU Mercedes con cilindrate variabili da 12 a 13.000 cc e potenze di 500-530 CV. Ma, soprattutto, la coppia è mostruosa: 2500-2600 Nm espressi tra i 1.300 e i 1.500 rpm.

Il motore è collegato a tutto il resto tramite un accoppiatore e delle pompe oleodinamiche. In pratica, ce n’è una per qualsiasi cosa a bordo, i due cingoli, la lama anteriore, la fresa, i servizi e il verricello, dove presente. Per quanto riguarda la trazione, c’è un altro motore idraulico radiale a pistoni a geometria variabile che aziona la ruota dentata collegata ai cingoli e infatti le pompe di trazione sono due, una per cingolo. Infine, per regolare la velocità dei cingoli c’è anche un riduttore.

I “ragazzi” (e nelle virgolette ci metto anche me) mi spiegano che è utile soprattutto come freno motore sulle pendenze più estreme. Il resto dei servizi è attuato da elettrovalvole che attivano invece i movimenti idraulici.

L’intero circuito lavora con 60-80 litri di olio che è relativamente poco, ma il fatto di lavorare in climi freddi (un gatto delle nevi tollera fino a -40 °C) agevola l’uso di poco liquido; qui in cima a dissipare calore si fa in fretta. L’impianto inoltre raggiunge pressioni di 500 bar che sono davvero tanti, anche per un mezzo da lavoro.

Nonostante siano macchine generalmente molto affidabili, Stefano (il capo officina) mi segnala che sono proprio le tubazioni idrauliche la componente più delicata dei gatti.

Stefano con i suoi mezzi

Sul modello che stiamo guardando tutto il sistema è raffreddato da tre impianti diversi: uno per l’acqua motore, uno per il circuito idraulico e uno per l’aria (intercooler).

Per quanto la tecnologia sia evoluta, queste macchine bevono parecchio. Si parla indicativamente di 30 l/h, ma c’è spazio per salire con grande disinvoltura. Con una velocità media tra i 15 e i 20km/h (massima 23 km/h), il consumo si traduce facilmente in 2-3 l/km. E infatti mi spiegano che le nottate più impegnative i 200 litri di carburante non bastano e bisogna fermarsi per un pit stop.

Mentre parliamo arrivano anche gli altri “gattisti” e molti degli aspetti di questo lavoro mi diventano chiari in pochi minuti. La sera è particolare, sta nevicando DI BRUTTO, e ci sarà un bel da fare. Maurizio fa un briefing alla lavagna dando le istruzioni di dettaglio. Nonostante lì in mezzo ci sia gente che ha quasi 30 anni di esperienza, sono tutti attenti.

Un elemento chiave che salta subito all’occhio è la passione che serve per fare questo mestiere. A un primo sguardo tutti (noi, con tracce di sangue nel ferro) immaginiamo sia una figata, ma quando si fa sul serio le cose vanno viste nel loro complesso. Salvo i turni di riposo, si finisce per saltare la cena a casa per mesi e si fanno orari difficili da conciliare con una famiglia. E poi, come sto per scoprire, non è mica facile: non è questione di andare avanti e indietro: ci vuole precisione, affiatamento e attenzione.

Maurizio e la squadra di colleghi-amici al completo

Ammetto che speravo di salire un attimo e fare un giretto, ma quando Massimo mi offre di accompagnarlo per il suo giro col Prinoth Leitwolf (trad. “lupo dominante”) ammetto che sono colto da un importante problema di salivazione.

Sta per succedere davvero.

Mi arrampico sui cingoli usati come scaletta e poi, stando attento a camminarci sopra per il lungo, mi siedo accanto a Massimo sul sedile Recaro. Ci dirigiamo verso le piste affiancati da un cane che ci rincorre e subito le domande ingolfano il mio cervello.

La prima è inevitabile: cos’è quello schermo in basso che mostra il gatto dall’alto? Massimo mi spiega che si tratta di un sistema GPS collegato a un rilevamento satellitare. Grazie a questo dispositivo, confrontando il rilevamento delle quote attuali con quelle estive, è possibile stabilire al centimetro la profondità della neve sottostante. Un accessorio fondamentale per capire come intervenire, soprattutto a inizio stagione quando la neve non è compattata e il gatto può fare disastri portandosela via in un battibaleno. Mi spiegano che per essere efficaci alla prima passata servono quasi 50 cm di neve.

Sistema GPS per la profondità della neve

Poi passiamo alle cose serie: come si guida quest’affare? Ci sono varie opzioni, ma in questo modello i comandi principali sono due. Un grosso pedale del gas e due semplici levette comandate con la sinistra. Il gas fa quello che vi aspettate, cioè regola i giri motore, mentre le levette fondamentalmente agiscono da sterzo variando la velocità relativa dei cingoli.

Sembra scomodo gestire due leve con la sinistra, ma Massimo mi rassicura che la cosa è fattibilissima, serve solo un po’ di pratica.

In crociera il motore sta sui 1300 giri, circa 200 giri meno dei vecchi modelli e gran parte del risparmio di carburante arriva proprio dai giri ridotti. Massimo mi spiega che andare troppo forte non paga e non solo economicamente: la fresa lavora male e le piste non vengono perfette. Perché, anche se me lo dimentico continuamente, lo scopo ultimo di questo lavoro è offrire la migliore superficie possibile per lo sci. Non a caso durante la stagione escono tutte le sere.

È arrivato il momento di calare la fresa posteriore, un discreto mostro al cui interno girano delle lame (in gergo “tamburi”) che rompono il ghiaccio e rimestano la neve, mentre il finisher subito dopo la ricompatta e le dà le caratteristiche righine che tanto piacciono agli sciatori. Ci sono n-mila modalità di gestione della fresa, ma io ne capisco solo due: superficiale e profonda. Noto più che altro che Massimo si ricorda sempre di alzarla per le curve strette in modo da non sforzarla e scavare strane buche sulla pista.

Mi fermo a fare qualche foto prima che faccia buio. All’aperto assaporo per la prima volta la meraviglia di trovarsi da soli in mezzo alle piste, con la sicurezza che infonde un mezzo del genere. Sembra di potere andare ovunque, ti senti padrone della montagna.

Risaliamo e poco dopo incontriamo gli altri, a quel punto mi va a massa il cervello. Con una sincronia sorprendente sono arrivati tutti da direzioni diverse per ricongiungersi nello stesso momento in un incrocio. In modo naturale si dispongono in una formazione diagonale che consente di battere una a fianco all’altro massimizzando la qualità del lavoro fatto.

I gattisti si chiamano tra loro “amici” e non “colleghi” e la cosa è evidente soprattutto quando li vedo lavorare in formazione.

Per la sincronia perfetta delle evoluzioni mi ricordano un po’ le Frecce Tricolori. Ma lassù, sulle piste nere in cima alla montagna ci sono anche i solisti : sono i “verricellisti”, come li chiamano loro. Le piste più pendenti richiedono di aiutarsi con un verricello idraulico da cui viene rilasciato/recuperato un cavo di un paio di chilometri collegato a dei paletti conficcati nel terreno. Lo strumento è indispensabile per non essere costretti a battere solo in discesa o, peggio ancora, a saltare la pista (boomers come me, ve le ricordate le gobbe sui muri?). Per evitare usure, il cavo viene periodicamente tagliato in modo da non sfregare sui cambi di pendenza sempre negli stessi punti. Ogni 3/4 anni si accorcia troppo e allora va cambiato per intero.

Nonostante i cingoli siano dotati di enormi lame, su pendenze importanti si finisce per girare a vuoto, soprattutto su neve molle. Anche la discesa non è facile, talvolta le 12 tonnellate del gatto perdono aderenza e ci si  intraversa fino al primo spiazzo. Il tutto sperando di non scingolare, altrimenti è un lavoraccio da fare al buio e al freddo. Nei casi più complessi aiutano un po’ le lame in alluminio (optional) che consentono di togliere quasi 500 chilogrammi dai 1500 che pesa ciascuno cingolo.

Scopro così che anche sui battipista il peso è importante: Colin Chapman avrebbe sicuramente avvallato l’opzione “lame in alluminio”.

Per agevolare la presa sui terreni più duri le lame stesse sono dotate di speroni, grosse punte d’acciaio che si conficcano nei terreni più duri e che devono essere periodicamente sostituite.

Speroni su cingoli con lame in alluminio.

Alla ricerca dell’aderenza ottimale, su questo modello si può anche lavorare con le tre ruote centrali che possono essere alzate o abbassate. Nella configurazione a livello con le altre si ha più presa, in quella abbassata (con le tre centrali a formare un trapezio) si galleggia un po’ di più.

Intanto io sono così preso bene che non mi accorgo che Massimo continua ad intervenire sull’enorme lama lì davanti. Non esagero: almeno ogni due secondi dà un colpo di cloche, un trim alla fresa, e non so cos’altro. I suoi 25 anni di servizio gli consentono di fare in automatico qualcosa che invece sembra molto complesso: là davanti la gigantesca lama deve essere continuamente corretta per rispettare i cambi di pendenza e livellare la pista senza “piantarci dentro dei buchi”.

Il tempo nel frattempo è volato, si è fatto buio, nevica che Dio la manda e l’autoradio ci fa compagnia. Per fortuna sia il vetro che i tergi sono riscaldati e quindi, nonostante tutta la neve sollevata dai cingoli, la visibilità è quasi perfetta.

Non posso non pensare che questa professione è anni luce dalla mia: vivo inchiodato davati a uno schermo dove arriva una mail ogni 20 secondi e sono in interazione perenne con altre persone. Tuttavia non è un mestiere del tutto solitario. Non si è veramente soli, gli altri sono là fuori e bastano poche parole in dialetto patois via radio per eseguire una coreografia perfetta a 2500 metri di altitudine. Peccato che i testimoni di questo spettacolo siano solo cervi, lepri e (mi dicono) un lupo solitario.

A fine stagione ogni gatto totalizza circa 1.000 ore di lavoro ed ettolitri di gasolio consumato (e di AdBlue, i tempi cambiano anche per i battipista). A quel punto le sapienti mani di Stefano lo smontano e lo rimontano per una nuova stagione, in uno degli ambienti di lavoro più insoliti che io abbia mai sperimentato.

Alle 20.00 Massimo mi lascia a bordo pista, loro vanno a cena tutti insieme, un po’ amici e un po’ colleghi. Lo guardo andarsene affascinato, questa volta non solo dalla macchina meravigliosa, ma anche dalle capacità e dalla cortesia che ho trovato in chi fa questo mestiere unico.

Si ringrazia Pila S.p.a. per la cortesia e tutto il team gattisti per straordinaria disponibilità.

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Articolo del 9 Dicembre 2024 / a cura di Paolo Broccolino

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  • buon giorno Paolo, faccio i miei complimenti per il bellissimo articolo ben dettagliato e fatto di passione per questi veicolo Battipista. Tutto il mondo della neve è un grande team come accennavi nel tuo articolo è fatto di uomini capaci che ” ci credono” facendo sacrifici perché li soprae notti sono lunghe. Un saluto. Vanni.

    • Paolo Broccolino

      Grazie Vanni. E ho il sospetto che tu sappia bene di cosa parli. E’ stata un’esperienza meravigliosa per me. Buona neve!

  • Pedro

    Bel servizio, molto affascinante. Te lo dice un 70enne in pensione, gattista dal lontano 1975. Ho iniziato con i primi Ratrac completamente meccanici, niente di idraulica, per finire con i moderni gatti. Un lavoro tutto sommato molto affascinante, paesaggi meravigliosi, esperienza a volte al limite. Sono rimasto anche sotto una valanga, cabina strappata via dalla neve, brutta esperienza. Sinceramente rifarei tutto. Complimenti ancora per l articolo.

    • Paolo Broccolino

      Detto da uno come lei i complimenti me li porto a casa molto volentieri. Immagino servisse grande capacità di stare con se stessi.

      • Pedro

        Devi avere passione per la montagna è capacità di risolvere al volo problemi e guasti improvvisi. Una volta poi, 30/ 40 anni fa non si viaggiava in gruppo, eri solo nella notte con la neve e la bufera. Emozionante, da provare. Un caro saluto.

  • Nicola

    Ma MTU non edi fatto Rolls-Royce?

    • Paolo Broccolino

      E’ come dici, eppure sono convinto che mi sia stato riferito che il progetto sia Mercedes. Investigherò e nel caso correggo.

    • Paolo Broccolino

      Verificato… sono importatori di Daimler

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