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Mitsubishi GTO, dall’High Speed Ring con furore

NOTA: si lo so, si chiama Mitsubishi 3000 GT ma per me rimarrà sempre e solo GTO quindi nell’articolo troverete la macchina indicata o con questa o con quella dicitura.

NOTA 2: questo articolo uscì per la prima volta il 21 marzo 2016, subito dopo lo storico articolo dedicato allo Zip SP Malossi. Da allora è passato un sacco di tempo, ho quindi deciso di riprovare questa macchina e ringiovanire quello che a tutti gli effetti è una pietra miliare di RS.

Il giorno che la mia vita cambiò era un giorno come tutti gli altri: era il 1998 e davanti al posto di lavoro di mia mamma c’era un negozio di videogiochi (credo si chiamasse Game Start), uno di quelli indipendenti come andava di moda all’epoca, quando ancora quelle truffe legalizzate tipo GameStop non esistevano, uno di quei negozi che se gli lasciavi la PlayStation e 50 mila lire te la ridavano indietro con “la modifica”.

Comunque, capitava spesso che al pomeriggio, con la scusa di andare a trovare mia madre, mi piantavo per ore dentro al suddetto negozio a giocare sia con la PlayStation ma anche con il Sega DreamCast per cui era disponibile Daytona Usa, da sempre uno dei miei giochi preferiti.  Un giorno, conoscendo la mia passione per le auto, il ragazzo che lavorava nel negozio mi disse: “oh, guarda che gioco mi è arrivato oggi!” e tirò fuori questo:

A riguardare all’indietro cosa significò per me l’aver inserito quel dischetto nella Play, rivedo il tipo del negozio con le fattezze di Morpheus che mi dice:

Pillola azzurra, fine della storia: domani ti sveglierai in camera tua, e crederai a quello che vorrai. Pillola rossa, resti nel paese delle meraviglie, e vedrai quant’è profonda la tana del bianconiglio.

Io (come molti altri) scelsi la pillola rossa e non solo vidi quanto era profonda la tana del bianconiglio ma scoprii anche quanto profonda era la mia passione, quanto poco profondo era il portafogli della mia famiglia e, già che c’ero, scoprii che esisteva un intero mondo oltre a Ferrari, Porsche e Lamborghini.

Grazie a Gran Turismo un’intera generazione di ignari regazzini italiani si ritrovò a sgummare felice su auto che fino a quel momento non sospettavano nemmeno esistessero, ferri come la Toyota Supra, la Nissan Skyline, la Mitsubishi FTO (qualche anno fa in UK ne ho intravista una) e la Mazda RX-7 assieme alla lentissima Mazda Demio della patente B-1.

Fra tutte le auto che mi viene abbastanza naturale associare ai pomeriggi passati a demolirmi gli occhi guardando Selen giocando a Gran Turismo fino allo spasmo, un posto speciale è riservato alla Mitsubishi GTO. Questo sinuoso bisonte giapponese era infatti uno dei mezzi più facilmente elaborabili del gioco e, assieme alla Nissan Skyline, era una delle auto ammazza-gioco: una volta in possesso di questa, la si poteva portare facilmente fino a 930 cv (del gioco) e le gare si vincevano tutte a mani basse e sponde violente. Potendosi poi permettere le “modifiche da gara” le si poteva buttare addosso una livrea fighissima.

Il tempo va, passano le ore…

Da quel 1998 di tempo ne è passato fin troppo ma non mi sono mai scordato di lei, inseparabile amica di quei pomeriggi pre-internet. Non mi sono mai dimenticato di Feder della Mitsubishi GTO e proprio per questo ho insistito per trovarne e provarne una, per trasformare in realtà uno dei miti della mia gioventù e scoprire se c’è dell’altro oltre al videogioco e ai ricordi di un quindicenne che mi manca da morire.

Al primo impatto la macchina colpisce per le dimensioni: un po’ come spesso accade con le auto giapponesi di quegli anni,  spesso molto più grosse di quanto possa sembrare, la Mitsu non fa eccezione e, per quanto sia bassa, filante e sinuosa, è comunque lunga oltre 4,5 metri con un passo di quasi 2,5 metri, il tutto per fermare la bilancia a quota 1.760 kg. Se però non ci si lascia condizionare dalle dimensioni simili a quelle di un moderno suv di segmento D, la Mitsubishi 3000 GT/GTO è uno di quei ferri che, ancora oggi a oltre 30 anni dalla sua presentazione al Tokyo Auto Show del 1989, sa emozionare, grazie ad un perfetto mix di stile e design tipicamente da coupé che, anche se è passato di moda, non può non attrarre.

Comoda, veloce e degna di attenzioni almeno quanto le altre giapponesi dell’epoca come potrebbero essere la Supra, la RX-7 o la NSX, la Mitsubishi GTO è una delle auto più interessanti mai costruite nella terra del Sol Levante ma nonostante questo è finita un po’ nel dimenticatoio: nessuno là fuori sembra ricordarsi di lei e, sinceramente, faccio un po’ fatica a capirne il motivo. Nonostante infatti nessuno la prenda mai in considerazione, questa macchina all’epoca rappresentava il top di gamma™ del costruttore giapponese e, sia per le dotazioni tecnologiche che per quanto riguarda la potenza dura & bruta, non ha nulla da invidiare a nessuno, anzi, in buone mani (e, come vedremo dopo, con uno sterzo migliorato), questa macchina sa andare veramente, dannatamente, tremendamente forte.

Nata nel 1990 per sostituire la Starion – una coupé due posti che ebbe successo ma non era proprio l’emblema della tecnologia – la GTO venne anticipata da diversi concept denominati spavaldamente HSR (Highly Sofisticated-transport Research) che volevano dimostrare al mondo il livello raggiunto dai tecnici Mitsu nello sviluppo di complicati sistemi elettronici in grado ci controllare in maniera attiva trasmissione, sterzo, freni e sospensioni delle auto.

Spinta da un quattro cilindri turbo da 2 litri, 16 valvole e 295 cv, la HSR-I del 1987 venne presto seguita dalla HSR-II che invece puntava la propria attenzione sull’aerodinamica attiva, ottenuta con una serie di alette mobili e spoiler controllati elettronicamente che facevano variare il Cx della vettura da 0,20 a 0,40 a seconda della situazione, ottenendo così le esaltanti prestazioni in curva che fino a qualche tempo fa potevate provare senza scendere dal divano grazie a Gran Turismo 4 (questa macchina c’era anche in GT6, ma io sono vecchio e mi fermo al 4).

– Sì, Pagani Huayra, sto pensando a te –

Tutto quanto mostrato al mondo sulle prime due HSR (in futuro ne arriveranno altre, fino alla HSR-VI del 2007) divenne realtà sulla Mitsubishi HSX, la macchina che poi diventerà la GTO di serie e su cui la casa giappo cercò di integrare alcune delle soluzioni viste sui suoi concept tra cui un set di sospensioni a regolazione elettronica (su due livelli, tour e sport), un sistema a quattro ruote sterzanti, una trasmissione a quattro ruote motrici permanente con giunti viscosi (45% ant, 55% post e fino al 95% ad un solo asse a seconda del bisogno) e un sistema di aerodinamica attiva basato su uno spoiler anteriore sotto il paraurti (simile a quello della Giulia Quadrifoglio) e ad un alettone posteriore mobile che può inclinarsi di 15° ad una velocità superiore ai 70 km/h.

– active aero, può accompagnare solo –

Ora, per chiudere brevemente la presentazione della 3000 GT, vi interesserà sapere che questa macchina è stata prodotta in diverse versioni, le più povere con motore aspirato e trazione anteriore e le più ricche, le potenti VR-4, con motore biturbo e trazione integrale e che nel 1990 Mitsubishi importò in Europa solo 30 3000GT, non una di più, non una di meno. Denominate “Beckenbauer Edition”, queste auto sono piuttosto rare e riconoscibili da diversi dettagli specifici, come la colorazione giallo lucido, lo scarico sportivo Remus, i cerchi OZ Futura, il filtro dell’aria HKS, l’impianto telefonico di bordo per l’uomo d’affari stufo della solita Mercedes o Porsche e, infine, una potenza massima di ben 400 cv. Ah, e dalla firma di tale Franz Beckenbauer che non so chi sia apposta sulla carrozzeria.

– giù le mani Franz –

Degne di nota infine sono state le poche 3000 GT MR (Mitsubishi Racing), alleggerite e semplificate, dei ferri incredibili.

Nel corso della sua storia, la 3000 GT è stata infine sottoposta a diversi restyling, l’ultimo dei quali risale al 2000, poco prima che la macchina uscisse di produzione. In questi anni la GTO è rimasta sempre fedele a sé stessa e alle sue forme, andando solo a migliorare là dove necessario: scegliere quale è la più bella è completamente soggettivo, io direi la seconda… anche se la prima ha i fari a scomparsa. Ma anche la terza non è male… insomma, comunque la condiate, la 3000 GT è un gran ferro.

E infine…

… e infine eccola qui, in tutta la sua fiera arroganza, una bella Mitsubishi 3000 GT datata 1991 e verniciata con un bel rosso scuro il cui vero nome è Kutani Red Pearl ma io so solo che per fotografare questa macchina sono diventato matto, mannaggia al suo stronz colore perlato. La guardo, la osservo, noto le sue forme un po’ squadrate ma ci passo sopra, mi piace anche se, abituato alle auto più moderne, devo ammettere che questa Mitsu non è invecchiata poi così bene come altre auto della sua età, penso ad esempio alla NSX, forse rimasta un po’ più attuale. Questa è molto, forse un po’ troppo, anni ’90, ma va bene così… poi quel suo sguardo un po’ snob e quasi colpevole, sia con i fari alzati che al loro posto, non so, mi fa sentire qualche pruritino di troppo, roba che è da un po’ che non sento. Sì, mi piaci, guardami ancora.

– mamma mia il vecchio logo del 2016, quando tutto iniziò, quanti ricordi, DI BRUTTO

Apro la lunga portiera e vengo accolto da un abitacolo che rivela, all’istante, la vera indole della 3000 GT, più una lussuosa e comoda gran turismo che una cattiva e agguerrita sportiva con cui sbucciare i cordoli. Il principale indiziato è il volante, con le quattro razze e un design che proprio sportivo non è. Anzi, per non voler nemmeno lasciare il dubbio, il volante è pieno di pulsantini con cui gestire l’impianto stereo, roba che mi fanno venir voglia di salire su una moderna auto tutta touch screen e di prenderla a mazzate. Questi sono comandi comodi, non quelli a sfioramento moderni che funzionano da bestia e, anzi, funzionano solo quando ci prendi contro per sbaglio. Vacca boia, chi diavolo ha deciso che il touch è meglio, EH?

SBAM, alla faccia del volante sportivo

Passato l’impatto con il volante da cruiser il resto dell’abitacolo non fa che confermare quanto detto finora: esclusi i numerosi indicatori che fanno tanto because race car, gli interni color crema con i sedili in pelle umana con regolazione elettrica e la possibilità di viaggiare in 2+2 (i +2 che si siedono dietro, se sono senza gambe stanno meglio) sono da vera gran turismo macina chilometri. Poi mi fanno impazzire gli schermetti digitali sulla console centrale per le regolazioni del climatizzatore che mentre il sole cala dietro l’orizzonte e le luci della città iniziano a scintillare sulla carrozzeria della GTO, l’abitacolo si accende di arancione e viola e io all’improvviso sento nella mia testa i 2 Brothers on the 4th Floor che pompano DI BRUTTO.

– inserire la musicassetta di Yabba-Dabba-Dance nella fessurina qui sopra –

A risvegliarmi dalla nostalgica quiete che guida questa mia serata ci pensa la belva nascosta sotto al cofano della Mitsu: incastrato a forza fra i duomi della 3000 GT si nasconde nemmeno troppo bene un possente V6 trasversale da 3000 cc sovralimentato con due turbine (una per bancata) capace di generare 300 cv (286 la giapponese, questa è americana e ha il motore un filo più libero). Cerchiamo di ragionare: 300 cv per 3 litri biturbo sono tipo che questo motore gira con una mano dietro la schiena e una paglia in bocca; bastano veramente pochi lavori (come alzare la pressione delle turbine che originariamente soffiano a soli 0,6 bar) per raggiungere tutt’altri standard di potenza, cattiveria e arroganza. Far arrivare questa macchina a circa 350 cv è facile come strisciare il bancomat.

C’è poi da dire che non dobbiamo assolutamente vedere questi 300 cv come quelli di una moderna auto tutta comunicati stampa e magari plug-in hybrid (pelle d’oca): l’unità di misura è rimasta quella (il cavallo) ma la sensazione che riescono a regalare questi equini di pura razza giapponese è quella che si può provare guardando una mandria di cavalli selvatici scorrazzare al galoppo sulla steppa a confronto di un bel cavallo da corsa pulito e pettinato pronto per scendere in pista al traino del suo calessino. Sono entrambi cavalli, entrambi corrono forte ma i primi, con il loro fare ancestrale che sa di selvaggio, scorbutico e incontrollabile sono, semplicemente, un’altra cosa.

– Una Mitsubishi 3000 GT che guarda l’ultima elettrica con 650 cv e lo 0-100 in -3,2 secondi  –

Ecco, i 300 equini di questa Mitsubishi, non filtrati, non tappati, non resi in alcun modo educati da norme antinquinamento o diavolerie elettroniche sono incredibilmente veri, possenti, presenti e maestosi. Affondando sul gas in qualunque marcia la macchina si lancia verso l’orizzonte con foga al grido di un latrato fondo, armonico e melodioso che solo un V6 può fare e che si schianta con vigore nelle orecchie degli astanti inondando le loro sinapsi di una voce baritonale. Complice il fatto che i due turbocompressori soffiano a “soli” 0.6 bar e la buona cilindrata, il turbolag praticamente non esiste e l’impressione è quella di guidare un grosso motore aspirato tanto forte e costante è l’allungo e il sound che esce dai due tubi da caldaia che scorrono sotto la macchina e che, vicini al limitatore a oltre 6.700 giri urlano come due matti strappando le foglie degli alberi accanto alla strada.

Metro dopo metro, affidandosi anche alle diavolerie elettroniche e meccaniche che all’epoca caratterizzavano questa Mitsubishi, ci si trova al volante di una vera goduria: tralasciando per un attimo il V6 che tira come un rimorchiatore di porto in qualunque marcia al punto da far venire il dubbio che i due turbo siano sequenziali per la costanza della spinta a tutti i regimi,  la 3000 GT si guida come se fosse lunga la metà grazie alle quattro ruote sterzanti anche se all’inizio bisogna un po’ abituarcisi perché, un po’ come sperimentato sull’ultima Megane RS Trohpy, affrontando le curve con allegria si riesce a percepire il retro della macchina che si muove lasciando, specialmente all’inizio, un po’ confusi se non infastiditi.

Tuttavia, e ci tengo a precisarlo, per quanto sia veloce – ma che dico, velocissima -, la Mitsubishi 3000 GT mostra il suo limite nel momento in cui te, affascinato dalla sua esagerata riserva di potenza e da un telaio che una volta al volante sembra grande la metà, ti fai venire il voglino di andare all’attacco di quel passo montano che tanto ti piace come se fossi al volante, che so, di una Clio RS. Ecco, lì, in quel momento, la Mitsubishi 3000 GT alza bandiera bianca, dicendoti “ehi stronzo, io sono una Gran Turismo, se proprio vuoi sono una sportiva di lusso, se vuoi andiamo a fare i tironi sulla Wangan Sen con i miei amici, ma qui, lungo queste strade che sembrano sentieri (cit.), non sono proprio a casa mia”.

Sì, perché mentre la strada si arrotola su sé stessa, il traffico si dirada e gli alberi iniziano ad ammucchiarsi ai lati dell’asfalto, tu ti troverai a lottare con uno sterzo poco comunicativo e con una macchina che, per quanto faccia di tutto per non farteli sentire, pesa comunque 18 quintali, tanti oggi, di più all’epoca, con sospensioni, freni e tutto quello che concerne la dinamica di guida che di sicuro non è l’ultimo ritrovato tecnologico. Il proprietario di questa 3000 GT rossa come la benzina giusta ha fatto anche diversi lavori alla sua auto per renderla più efficace, tra cui intercooler maggiorati della HKS, tubi aspirazione anche loro HKS, volano alleggerito Fidanza, radiatore maggiorato Mishimoto e, importante quando si ha a che fare con potenze e pesi di questo calibro, freni a 8 pompanti K-Sport con dischi da 356 mm e tubi in treccia, tutto nascosto dietro quattro cerchi Enkei rc-t4 da 18″ e 9 kg l’uno. Con questi interventi l’auto è decisamente efficace anche se permane il problema dello sterzo svogliato, vero imbuto – purtroppo – dell’esperienza di guida firmata 3000 GT.

Proprio perché il volante tende a filtrare un po’ troppo la guida, l’auto rimane una signora a cui dare del lei e portare rispetto, perché l’esuberanza c’è ma quello che manca è il senso di controllo totale. Anche il cambio con i rapporti lunghissimi (tipo che in prima si toccano i 90, in seconda i 140 orari) vi obbliga a smanettare un po’ troppo arrivando addirittura a farvi mettere la prima nelle curve un pelo più strette. In maniera simile a quanto provato a bordo della Viper, su questa auto, in certe situazioni, si corre il rischio di passare dall’essere piloti a passeggeri, rendendo l’esperienza di guida distante da, che ne so, una Mazda MX-5, sì molto meno potente ma parecchio più piccola e leggera, affilata e controllata: se volessimo fare un confronto di altissima qualità giornalistica, la 3000 GT è una motosega, la MX-5 è un coltellino per sfilettare.

Momento sfogo del direttore

Il problema alla fine è sempre lì, dobbiamo imparare a smetterla di vedere qualunque auto con più di 100 cv come “sportiva”: negli ultimi anni di marketing selvaggio è stato devastato il concetto di auto sportiva e la stessa parola “sportiva” è stata violentata, vituperata, buggerata come poche altre al mondo (assieme a #resilienza e vetro tempErato, che si dice temprato, cristo). Fateci caso, suv sportivi, berline sportive, station wagon sportive, elettriche sportive, cassonetti dell’umido… sportivi. Tutte così sportive che alla fine Mazda, che è l’unica a costruire una vera auto sportiva fatta come dio comanda si è dovuta inventare la supercazzola dello Jinba Ittai, del collegamento fra cavaliere cavallo e altre robe simili. Perché in un mondo in cui tutte le auto si proclamano sportive, alla fine chi è sportiva per davvero?

– dal sito ufficiale Mazda, vedete la parola “sportiva”? E dire che è forse l’unica fra le auto abbordabili –

Il punto, la faccio breve, è che le case ci hanno convinto che + cavalli = + sportiva. Questa, scusatemi, è una cazzata. I cavalli, la velocità e la famigerata accelerazione di cui si vantano tanto gli elettrofili è una cosa, il piacere di guida e la sportività sono un’altra e passano attraverso sensazioni, emozioni, dettagli e vibrazioni che, mi spiace, nessun numero riesce, così, per magia, a creare. Poi oh, che avere 200 cv sotto al piede destro sia figo siamo d’accordo, ma la sportività, per carità, lasciatela in pace e, anzi, abbiatela a cuore che è rara.

Fine momento sfogo del direttore

Quindi, alla fine dei conti, è molto trattare la Mitsubishi 3000 GT per quello che è – una Gran Turismo o, come detto prima, una sportiva di lusso – e portarla dove è a suo agio, lungo una bella strada, anche di montagna, perché no, tanto ci sono i turbo a sopperire alla mancanza di ossigeno, e lasciarla correre con morbidezza ed eleganza, danzando con lei fra una curva e l’altra e godendo appieno di quello che, per quanto in molti facciano finta che non esista, è un vero mito su ruote. Sia in autostrada che lungo una bella statale, la Mitsubishi vi regalerà momenti di gioia grazie ad un tiro mostruoso, ad una presenza su strada sicura e sborona e ad un sound da paura. È una gran macchina, solo che il concetto di sportività a cui appartiene è meno europeo e più americano (senza però essere un cassone americano con le sospensioni a balestra), e qui abbiamo detto tutto.

La 3000 GT è un mito su ruote che, riflessione finale, può trovare posto nel vostro garage senza svenarvi troppo: il fatto che nessuno se la sia mai cagata o ci abbia fatto dei meme sopra come successo con Supra o RX-7 (auto che la GTO menava forte), fa sì che le quotazioni siano del tutto ragionevoli, si parla di circa 20.000 € per una bisognosa di amore, 25 per una pronta per essere sfoggiata lungo lo Special Stage Route 11 la tangenziale. Attenzione solo che tutta la sua elettronica tende ad essere fragile e i ricambi sono costosi e rari come i meccanici che poi sanno metterci mano… ma volete mettere trovarne una e fargli la livrea Puma? DI BRUTTO.

Articolo del 14 Ottobre 2021 / a cura di Il direttore

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  • Salvatore

    Gran Turismo… Il primo… Con la Demio che non andava neanche a spingerla e poi Lei… La GTO… Ricordi di una vita fa… Grazie Direttore

  • Simone

    Con le videolezioni di Nakaya e del Drift King per il Best Motoring anni fa ho imparato il punta tacco!

  • Alessandro

    Io in Gran Turismo ce l’avevo blu cobalto ed era la mia preferita ❤️

  • Mauro

    Le macchine devono avere pregi e difetti e per essere sportive anche voglia di ammazzare chi le guida, più o meno forte a seconda delle capacità, ma non devi essere sicuro su una sportiva… Se no è un altra cosa.
    Purtroppo non esistono più macchine sportive ma elettrodomestici/macchine giocattolo eletrriche

  • Enzo

    Nella prova/recensione della Nissan 300 Zx col wrapping viola riferivate d’aver provato una Mitsubishi 3000 Gt e io aspettavo impaziente un articolo dedicato. Finalmente. Una bella granturismo stradale con cui farsi stracciare la patente in giri attraverso l’Europa, comodi e imperiosi. Da quel che ricordo (ci sono salito varie volte da più giovane) aveva anche una funzione “silent” sullo scarico, era silenzioso sotto i 3.000 g/m e sopra si apriva ruggendo. Potreste cercare la sua sorella americana, la Dodge Stealth e recensire anche quella.

  • D. Mauretto

    “3000 GT” come lei nessuna.. ! Bello di brutto questo articolo dedicato ad un’auto appassionante e impressionante, come poche altre. Le jap anni ’90, sono icone, ma lei.. la Mitzu 3000GT Ohh my.. !
    Con quelle sensuali nervature sul cofano ( dal ’96 in poi, con i fari lenticolari, non più a scomparsa ) quei fianchi bombati e il suo gran bel culo, non è mai passata inosservata e ancora oggi, ti fa voltare, come un’apparizione.
    Mi innamorai di lei perché esagerata in tutto e perché va di brutto ! Sfiora i 200 km/h in terza, i 240 in quarta, quinta e sesta avanzano e spingono verso l’infinito e oltre. Queste alcune delle sue doti nascoste. Chi non ne ha mai provata una, non può capire. Davanti a GT come queste si fa solo una cosa, l’inchino.

    Questa

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