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Quella volta che la Honda VTR le diede alla Ducati

ovvero quella volta in cui la Honda tirò fuori una delle moto più affascinanti e carismatiche di sempre.

Fin dalla sua prima apparizione questa moto si piazzò in cima alla lista dei miei desideri e finalmente, dopo tanti anni, ne ho trovata una bella come poche e per di più di un caro amico che me l’ha fatta toccare, fotografare e baciare. No questo no, ma solo perché mi guardava.

Difficile spiegare il carisma di questa moto, è una cosa che parte da dentro, vediamo di provarci.

La VTR spiegata alla mia fidanzata.

Gran parte del carisma di questa moto nasce dal campionato per cui fu sviluppata, la superbike. Quando la MotoGP non esisteva ancora, il campionato SBK era una vera e propria manna dal cielo per tutti gli appassionati di motociclismo. Era infatti un mondo molto più sanguigno e terra-terra rispetto al ben più ricco, laccato e inavvicinabile motomondiale. Era come un panino al salame rispetto ad un piattino di quelli bellini bellini mezzi vuoti.

Quando il motomondiale era riservato alle magnifiche 2 tempi, la superbike era il mondo ideale, il paradiso in terra per tutti i motociclisti duri e puri che ogni domenica affollano i passi montani. Poter vedere le proprie moto sfidarsi in pista e prendersi a sportellate con in sottofondo gli urli di Di Pillo era una vera gioia. Guido Meda – non me ne voglia – è ancora un dilettante.

Le vendite delle motociclette in quegli anni erano letteralmente veicolate dal campionato Superbike; arrivare su in Futa con una 916 – magari facendosi sentire da qualche km – era impagabile. Tutt’ora sbavo dietro alla vecchia Kawasaki ZX7RR, ricordo ancora come urlava il suo 4 in linea nelle mani di Yanagawa.

Il campionato SBK è stato, fin dalla sua prima edizione nel 1988, sempre dominato dalla Ducati (a parte le prime due edizioni, vinte dalla Honda con la mitica RC30) e dalle sue “derivate di serie”: la coppia formata dalla Ducati (916 prima, 996 poi) e King Carl Fogarty era infatti invincibile, sia in pista che fuori: la moto, forse la più bella mai disegnata, con sopra il pilota forse più figo di sempre, erano una miscela vincente di eleganza e classe.

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Nel 2000 però la Honda decise che lo strapotere Ducati dovesse finire. Come si dice a Bologna, “bona lè”. Per cercare di arginare tanta figosità alla Honda ci si misero proprio di impegno. Contattarono la HRC e tirarono fuori dai fogli di carta una delle moto più belle di sempre. Poi ci misero in sella uno dei piloti più brutti mai visti (secondo solo a Barrichello), il vecchio caro Colin “Texas Tornado” Edwards.

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Vediamo nel dettaglio cosa fecero i nostri amici dagli occhi a mandorla.

Da RC45 a RC51

Prima del 2000 la Honda Superbike era rimasta fedelissima alla versione da corsa della VFR, denominata RC45 e dotata di un classico 4 cilindri a V con la quale vinse, assieme a John Kocinski, il mondiale superbike nel 1997, unica parentesi Honda nel dominio Ducati.

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I giapponesi della Honda, con in testa il principio dell’onore, si devono essere quindi sentiti un po’ scrignati e da buoni samurai si sono messi di impegno per cercare di dare la paga alla casa di Borgo Panigale. Per farlo si misero ad armi pari con i bolognesi. Prima del 2000 infatti la ducati era l’unica bicilindrica iscritta al campionato ed era quindi agevolata dal regolamento che diceva che se eri a 4 cilindri dovevi fermarti a 750cc mentre se eri a 2 potevi arrivare a 1000cc.

Accantonata quindi la bella RC45 e il suo V4 da 750cc, concentrarono le loro attenzioni sulla bicilindrica della loro gamma, la Honda VTR 1000 F, una delle più brutte e anonime moto mai costruite. Una grossa bicilindrica a metà strada fra una sportiva e una tourer era tutto tranne che una race replica.

Consci di questo, presero il suo motore e buttarono via tutto il resto. Partendo quindi dal V-Twin (con misure di alesaggio modificate per renderlo più superquadro e quindi più volenteroso di alti regimi) gli hanno costruito attorno una vera e propria bomba sexy, insomma, un gran ferro, forse persino meglio della Ducati 996. Ecco, forse sto esagerando, crocifiggetemi pure nei commenti. (Sig. Tamburini mi scusi.)

Quando questa moto uscì tante cose cambiarono; al parcheggio della Futa per esempio, quando nell’aria si iniziava a sentire nell’aria il rombo cupo del bicilindrico tutto si fermava; poteva essere solo un Ducatone o una VTR. Quando quest’ultima veniva delicatamente appoggiata al cavalletto tutti, da quelli con le tute nuove e pulite ai veterani con tute graffiate e appesantite da kg di moscerini,  le si avvicinavano piano piano, come se ci fosse una cortina di rispetto da scavalcare.

Ecco, questa moto impone rispetto.

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Il triangolo no!

Chiamata con il nome in codice RC51 e passata alla storia come Honda VTR SP-1 quella che vedete nelle foto è forse una delle moto dal design più pazzesco mai costruita. La moto in questione, di proprietà di un caro amico (uno di quelli con lo scooter strano), è stata inoltre abbellita con delle carene in stile Castrol Honda HRC che replicano la moto che corse proprio nel 2000 con Edwards in sella. Se originale era bella così è proprio una figata, ne vorrei una in salotto.

A dominare la linea della moto è il frontale e la presa d’aria a forma di triangolino nero utile per alimentare l’airbox e gli importanti corpi farfallati da 54mm di diametro (importanti specialmente per il benzinaio, da sempre amico intimo dei possessori di VTR). Ai lati del triangolo magico i fari, grandi come una pizza, fanno sembrare l’intero frontale il muso di un gufo, lo sguardo di questa moto è quanto di più umano si possa immaginare.

Il contrasto tra questo sguardo così snob e penetrante, accoppiato ad una moto così efficace la rende ancora più attraente, passerei ore a guardarla. Ha un frontale che impone rispetto.

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Il resto della moto è abbastanza tradizionale, ma voglio citare il codone, una vera meraviglia di semplicità e spirito racing. Sotto di lui due piccoli fanalini che sembrano usciti dai lego, facilissimi da rimuovere per rendere la moto pronta per la pista.

A livello ingegneristico la moto era al top, non puoi pensare di battere una azienda come la Ducati e la sua tradizione semplicemente cambiando motore; canne dei cilindri con riporto in ceramica, distribuzione a cascata di ingranaggi per il massimo della precisione e una accensione in grado di modificare l’anticipo a seconda del rapporto inserito, erano solo alcuni degli accorgimenti utili allo scopo di vincere. L’utilizzo di materiali esotici non era più un’esclusiva delle moto da corsa, con questo ferro qua ci si poteva mettere in garage qualche chiletto di Magnesio (che in tempo di crisi può sempre tornare utile). Grazie a tutte queste soluzioni il motore era al top; sprigionava 127CV a 9000 giri e una coppia di 110Nm.

Già mi immagino il bambino di turno cresciuto a Bugatti Veyron, classico leone da tastiera mai salito su una moto, dire:

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Gli amanti dei numeri sappiano che era inoltre disponibile il kit di potenziamento ufficiale HRC che liberava circa altri CINQUANTA CV per un totale di oltre 170CV a 11mila giri alla ruota, roba da cagarsi addosso, altro che kit essesse.

Ah, con questo kit il peso della moto calava di 30 chili portando l’arnese al mitico rapporto peso potenza di 1. Purtroppo però diminuiva drasticamente anche il rapporto peso/contenuto del vostro portafogli; la moto così com’è costava circa 30milioni di lire; il kit di potenziamento nel costava altri 70. Sì, 70 milioni solo lui.

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Altra soluzione al top è la posizione dei radiatori di raffreddamento; per diminuire la sezione frontale della moto e quindi renderla più snella e capace di maggiori angoli di piega, prendendo spunto dalla F1, i radiatori sono stati posti ai lati del telaio, una vera e propria chicca che però rende il raffreddamento del grosso bicilindrico più complesso. Raggiungere i 100° con questa moto, magari d’estate fermi ad un semaforo, è un istante.

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Alla HRC, nel progettare questa moto, dovevano essere ossessionati dalla bilancia; tutto è costruito per rendere la moto il meno pesante possibile; il motore è incastonato all’interno del telaio, le carene sono letteralmente spalmate attorno alla moto. Fra le fessure non ci passa nemmeno un bancomat tristemente sottile come il mio. Anche la strumentazione, completamente digitale e ipercompatta, è stata studiata apposta. Bellissima e di effetto è però più utile ed efficace su di una S2000 visto che sulla VTR ha sempre peccato di poca visibilità.

Tuttavia, nonostante tutti i tentativi fatti per alleggerirla, la moto è tutt’altro che una piuma. La bilancia si pianta a quota 200 chili ma diciamolo, una parte della colpa va alle severe normative Euro1 che rendono obbligatorio l’utilizzo di due tubi di scarico in acciaio dalle dimensioni (e dal peso) non indifferente. Non esiste VTR senza Akrapovic, sappiatelo.

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Osservandola dal vivo tuttavia l’età c’è e si vede, accanto ad una moto moderna è decisamente più massiccia e imponente; giusto l’altro giorno ho passato una buona mezz’ora ad osservare un nuovissima R1 (un ferro indegno) e devo ammettere che la moto pare almeno 10 chili più leggera di quel che è. La VTR è 200 chili, e si vede.

Ma nonostante tutto il suo fascino resiste senza problemi; il suo palmarès, la sua linea senza tempo, il suo essere così speciale e, infine, il suo risalire ai tempi d’oro della superbike, la rendono tutt’ora un vero gioiello grazie anche a tutta una serie di soluzioni tecniche che erano al top per l’epoca e la rendono ancora oggi, specialmente grazie al fatto che con pochi euro se ne può prendere una, estremamente appetibile e godibile.

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Il fascino di questa moto è quindi tutto qui, il suo essere una mosca bianca nella gamma Honda (dominata dalle 4-in-linea CBR), il suo essere una vera special e banco prova per far vedere cosa sa fare l’HRC, il suo essere bella in modo diverso, sgraziata ma elegante al contempo, il rombo cupo del suo motore – ma l’avete mai sentito il suo ruggito? vera libidine! – e il fatto stesso che venne progettata per battere una meraviglia italiana come la Ducati (questa cosa rende onore alla casa di Borgo Panigale) la rendono carismatica e affascinante come poche.

Seduti su al bar della Futa una moto come questa riesce ancora ad attirare attorno a se grappoli di appassionati, gente che, dopo tanti anni, è ancora affascinata dal suo sguardo.

Ma alla fine vinse o no?

Come detto la moto venne progettata esplicitamente per correre il campionato Superbike e battere le bicilindriche bolognesi e così fu, complice però “Nitro” Nori Haga che si dopava e Foggy che si era fatto male. Con in sella Colin Edwards la moto venne portata in trionfo fin dal suo primo anno di militanza in questo campionato, il 2000.

No aspetta, momento momento momento; con questa moto, nel 2000, Edwards vinse il titolo piloti; il titolo costruttori restò a Borgo Panigale ma, comunque la si giri, l’egemonia rossa era stata interrotta.

honda-ducati-9Ma la gioia durò poco, la Honda ricominciò a prenderle già dall’anno successivo dalla coppia Bayliss – 996R; insomma, poteva andare meglio. A questo punto tornarono fuori i samurai della HRC, aggiornarono la moto che passò da VTR SP-1 a, vè che fantasia, VTR SP-2 con la quale tornò a vincere, per l’ultima volta, nel 2002 battendo, in extremis, il buon Bayliss su 998 F02. Ma quello del 2002 fu un campionato vero, combattuto fino all’ultimo e vinto solo all’ultima gara, ad Imola. Onore alla Honda che comunque, anche nel 2002, vinse solo il titolo piloti, il costruttori restò qua vicino a casa mia.

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Se nella SBK fu un mezzo flop Le vere vittorie di questa moto sono arrivate nelle gare di durata, vanno infatti ricordate le tre vittorie consecutive alla 8 ore di Suzuka di cui una con in sella il nostro Valentino nazionale che fra le varie girava più veloce di Edwards senza essere mai salito prima sulla moto.

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Siamo quindi riusciti a trasmettere un po’ del carisma di questa grossa bicilindrica? Vi è venuta voglia di averne una? Con un ferro così, ad oltre vent’anni dalla sua uscita, si può ancora dar del filo da torcere a moto ben più moderne e potenti. La VTR è da sempre la regina, grazie alla sua stabilità e dolce erogazione, della velocità di percorrenza in curva. È pesante e goffa da ferma ma una volta in movimento sembrerà di accompagnarsi ad una agile e aggraziata ballerinaa.

Dai, con pochi spicci è semplice trovarne una! (per fortuna che non ho la patente per le moto, il mio conto è salvo)

 

Articolo del 27 Settembre 2016 / a cura di Il direttore

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  • Riccardo

    Dopo “ciao povery” non pensavo potessi superarti e invece con “zitto bamboccio” ci sei riuscito

  • Riccardo

    “zitto bamboccio” spacca

  • Cri

    Bell’articolo.
    Però la Honda vinse anche i due primi mondiali sbk con la mitica rc30.
    Decisamente più importante, oserei dire storica, di questa bella moto.

    • Ops, grazie per avermelo fatto notare, correggo subito!

    • Maqu

      Sono d’accordo. La RC30 non ha mai ricevuto la considerazione che merita, forse perchè ai suoi tempi il campionato SBK era seguito solo da pochi ultra appassionati. Resta comunque una delle motociclette più belle mai create da Honda, che grazie al suo v4 era anche compattissima, una bicicletta se paragonata ai 4 in linea che l’anno seguita. Ma quelli erano tempi in cui si andava a correre, e vincere, in sbk con moto comprate dal concessionario e preparate nel garage, chiedere a Oscar Rumi.

  • freeolys

    ho un autografo di Aaron Slight, trattativa risevata 🙂

  • Marco

    La Honda ha vinto in Sbk anche con Kocinsky e la RC45. Bell’articolo!

    • Certamente! Però mi piace pensare che la RC51 fu sviluppata solo per dar fastidio alle bicilindriche di Borgo Panigale.

      Grazie per l’apprezzamento!

  • Gabriele

    Ciao l’articolo mi piace per il tuo modo graffiante e sfrontato di trattare il tema, mi hai fatto rivivere dei bei momenti in sella alla RC51 che un mio fraterno amico mi affidò per un estate (causa partenza lavorativa). Spettacolo di moto, forse la migliore sportiva con un compromesso di guida abbastanza comodo per quel che si può pensare della comodità di un mezzo simile. Unico appunto, se mi è possibile, la foto di Rossi sulla VTR-Spw: vinse la edizione 2001 mentre questa da te postata è della edizione del 2000 conclusasi anzitempo per un errore alla Spoon curve e conseguente rottura del semimanubrio sinistro. Ed era sempre in coppia con Edwards che uscendo dai box dopo la riparazione ruzzolò nel tratto S Curve se non erro. Spero di esserti stato d’aiuto, continua così 😉

  • Yari

    complimenti per l’articolo! Respect! da chiarire che il motore della VTR SP NON E’ LONTANAMENTE quello della VTR F … i due due motori sono COMPLETAMENTE DIVERSI! Hanno in comune solo il fatto che sono bicilindrici a V con la stesso angolo! Materiali in primis di pistone e cilindri differenti…. INOLTRE…. tecnologia di distribuzione (classica catena sul VTR-F), quote di montaggio, carters, frizione , testate,valvole,cambo, iniziezione, design delle fusioni dei cilindri, anche estetica … tutto diverso!!!

  • Gianluca

    Sempre bella, non c’è che dire! Provai questa moto in pista al Motodays di Vallelunga (bei tempi quelli) ma per soli 3 giri… troppo pochi per darle del tu.

    Negli anni ho continuato a farci dei pensierini… c’è il rischio che prima o poi ne comprerò una

  • Matteo

    Se la mia memoria non e fallata Vi aggiungo una chicca.
    La VTR in pista manteneva il motorino di avviamento rispetto alle altre moto perché il suo peso era inferiore alle altre.
    Così veniva descritta su una nota rivista del settore.
    Io da meccanico ufficiale Honda a napoli ne ho allestite due per due clienti e ai tagliandi era uno spasso quando quando uscivo per provarle.

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