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Mazda Autozam AZ-1, storia della più sfortunata delle Keicar

È noto come negli anni ’50 grazie al miracolo economico del secondo dopoguerra e a una, seppur modesta, agiatezza economica generale, gli italiani decisero che la Vespa non poteva più essere il loro mezzo di trasporto primario, ma che bisognava guidare qualcosa con un tetto, quattro ruote e che potesse realmente accomodare tutti i membri della famiglia. Da questa necessità nacque la Fiat 500.

Nello stesso periodo, dall’altra parte del mondo, il Giappone si ritrovò in una situazione piuttosto simile. Gli amici dagli occhi a mandorla erano stanchi di scarrozzare tofu tutto l’anno, inverno glaciale compreso, su delle motociclette.

(Poliziotto giapponese congelato in servizio e perfettamente conservato nel museo di Nkia-Ke Fredo)

Da pochissimo erano state emanate delle leggi per regolamentare le microvetture, meglio note come Keicar (“Kei-jidosha” o “Classe leggera”), auto della grandezza di una scatoletta di tonno e con il motore di uno spremiagrumi, come era anche la sopracitata 500 in realtà. Queste infatti dovevano rispettare dei parametri molto ristretti in fatto di dimensioni della carrozzeria e del motore per poter godere di alcuni incentivi quali nessuna sovrattassa di possesso e nessun obbligo di possedere un garage privato. Nel 1955 Suzuki quindi colse la palla al balzo e tirò fuori questa copia ristretta della Lloyd 300 costruita in Germania Ovest. La chiamarono Suzulight e con una lunghezza di 299cm, una larghezza di 128cm e un motore a due tempi di 359cc fu un successone.

Da quel momento le Keicar si guadagnarono una fetta di mercato destinata a crescere nel corso degli anni e, come tutti gli elementi pop, furono molto influenzate dalle mode. Le cose quindi si fecero interessanti anche per loro quando tutti iniziarono a correre nei ’90 e a qualcuno venne voglia di avere una Keicar sportiva.

Escluse Toyota e Nissan tutti i produttori giapponesi avevano una Keicar in listino e si erano anche adattate alla voglia di sportività del pubblico. Macchine con un motore da massimo 660cc e 64 cavalli “sportive”. Lo so, suona ridicolo, ma lo erano davvero principalmente grazie ad un peso medio che si aggirava attorno ai 700Kg. Quindi mentre sulle tangenziali di tutta Italia Uno Turbo, Renault 5 Gt Turbo e 205 GTi mietevano vittime e rappresentavano la dannata trinità, nel Paese del Sol Levante si scorrazzava sui passi di montagna imparando l’alfabeto. ABC. Mazda AZ-1, Honda Beat, Suzuki Cappuccino. Ovviamente accanto a mostri sacri del JDM quali Skyline, 180SX, AE86 e via dicendo.

“Bisogna avere un grosso motore per divertirsi”

All image credits: CarThrottle

Queste tre sono la dimostrazione che non è vero.

Ma tralasciando per un attimo Honda e Suzuki, è sulla Mazda che voglio soffermarmi maggiormente, in quanto la più sfigata e sconosciuta delle tre.

Il suo sviluppo fu parecchio travagliato e, complice una forte recessione del paese, l’auto fu un fiasco commerciale tanto da costringere Mazda a sospenderne la produzione dopo un solo anno. Eppure questa piccoletta aveva tutte le carte in regola per poter dire la sua.

Il progetto era in realtà una joint venture Mazda-Suzuki e i primi concept risalgono al 1985 e al 1987, nelle fattezze dei prototipi R/S1 e R-S3.

Passati quattro anni dal primo prototipo RS/1 le due case non hanno ancora deciso il da farsi con questo modello e sono talmente confuse e in disaccordo che Mazda presenta altri TRE concept diversi al Tokyo Auto Salon del 1989.

Quale busta vuole, la uno, la due o la treah? 

Dall’alto verso il basso, Tipo A, Tipo B e Tipo C 

Prima di procedere nella storia vediamole nel dettaglio perché meritano.

Tipo-A

Mazda AZ-1 Type A

Il prototipo Tipo-A, chiamato anche “Modern Micro Sports” sembra una Toyota MR2 in miniatura, ha i fari anteriori a scomparsa, una vistosa presa d’aria sul cofano e delle fiancate molto caratteristiche, ispirate alla Ferrari Testarossa. L’auto è alta solo 109 centimetri e nell’abitacolo fanno bella mostra dei sedili a guscio da corsa e un cruscotto liscio con
le sole bocchette di ventilazione e il pannello strumenti che incorpora quattro elementi a fondo bianco dentro a degli alloggiamenti ovali. Il contagiri è il più grande e incorpora un tachimetro digitale nella parte bassa. I finestrini laterali si aprono solo per una piccola porzione, il volante è di piccolo diametro, i pedali sono di alluminio forato, le maniglie porta interne sono pezzi Mazda standard, le stesse della MX-5. A provocare non pochi pruriti nelle mutande degli appassionati completano il quadro delle tamarrissime portiere ad ali di gabbiano che Mercedes 300SL spostati.

Tipo-B

Mazda AZ-1 Type B

Questo prototipo, chiamato “High-Tuned Pure Sports”, era ispirato dalle tendenze del momento nel mondo delle preparazioni e dallo stile delle Concept Car. Ha un tetto a piramide con un andamento posteriore particolare, senza il C-Pillar e degli interni ispirati alle auto da corsa. Al contrario del Tipo-A mira ad un look spartano e grezzo ed è l’unico modello dei tre con le porte incernierate davanti, in modo convenzionale. Ha dei fanali anteriori incassati, uno spoiler posteriore basso e due terminali di scarico ai lati della targa.

Tipo-C

Mazda AZ-1 Type C

Il prototipo Tipo-C prende il suo nome dalle vetture Gruppo C a cui si ispira fortemente, principalmente alla Mazda 767C che correva a Le Mans in quegli anni. Questo prototipo era infatti anche chiamato “Petit C-Car” ed è caratterizzata da una grande apertura nel muso che incanala l’aria nel radiatore anteriore, per poi farla uscire lungo il bordo anteriore del cofano. A questo seguono una valanga di dettagli da sbavo: gli specchietti retrovisori montati sui parafanghi anteriori (fender mirror), i tappi venturi sui cerchi per raffreddare i freni, le prese d’aria laterali, la grande ala posteriore, il tappo benzina aeronautico a vista e i ganci cofano da corsa con sgancio rapido. Sotto al plexiglass posteriore c’è una sorpresa in perfetto stile giapponese: quattro finti tromboncini di aspirazione con tubi in treccia metallica e cavi candela, giusto per dare all’auto un aspetto corsaiolo. Questo modello era di gran lunga il più spartano dei tre.

E voi, quale scegliereste?

Tuttavia, nonostante sono sicuro che tutti vorreste una Tipo-C (come tutti all’epoca), alla fine a spuntarla fu il prototipo Tipo-A perché si pensava sarebbe stata la più vendibile al pubblico. Il design venne però modificato in alcuni punti prima della produzione (per semplificare la catena di montaggio ed evitare una denuncia da parte di Toyota): i fari a scomparsa furono abbandonati in favore di altri fissi per ragioni di rigidità strutturale e la presa d’aria anteriore fu cambiata. Ciò nonostante ci vollero tre anni prima di far partire la costruzione in serie perché i progettisti decisero di sostituire il telaio in alluminio dei prototipi con uno in acciaio per avere una maggiore rigidità. Le porte ad ali di gabbiano vennero mantenute per dare all’auto un aspetto inconfondibile, e oltretutto contribuivano anche alla rigidità della struttura grazie alle loro travi laterali. La carrozzeria esterna della Mazda AZ-1 era costituita da una serie di pannelli in fibra di vetro, come una Lotus. I pannelli erano semplicemente avvitati al telaio e la Mazda aveva preventivato di produrre in seguito diversi set di “pelli” per creare dei restyling in modo molto economico. Il modello definitivo venne commercializzato come Autozam AZ-1. Autozam era una specie di “sottomarca” di Mazda, similmente a com’è oggi Skoda con Volkswagen, ma più sfigata.

Mazda AZ-1

Il motore era l’F6A 660cc turbo 3 cilindri 12 valvole della Suzuki Alto Works, così come era Suzuki anche la trasmissione e la maggior parte del resto della componentistica. Questa piccola bomba era capace di una velocità di punta di 187km/h (ma limitata a a140 per legge) e passava da 0 a 100 in circa 8 secondi. Bello essere leggeri eh?

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Come già detto, l’auto fallì del tutto nelle vendite. Costava troppo rispetto alla cugina Cappuccino e con un pugno di Yen in più ti potevi permettere la sorella maggiore Mazda MX-5. Nulla poterono fare neanche le versioni MazdaSpeed A-Spec o M2 1015, dotate di migliorie tecniche ed aerodinamiche. La produzione venne sospesa già nel 1993 e le rimanenze vendute fino al 1995. 

Questo piccolo ferro andava forte, aveva un carattere tutto suo e sui tornanti delle montagne giapponesi certo non batteva la fiacca, ma non è stato abbastanza per sopravvivere in un ambiente saturo e pieno di concorrenti come era il Japanese Domestic Market durante gli anni 90. Peccato davvero perché era un gran ferraccio e si prestava bene a modifiche di qualunque tipo.

Hai detto modifiche di qualunque tipo?

Quella che vedete nella foto qua sopra con un interessante bodykit in stile F40 è solo una delle mille versioni speciali che vennero costruite della Autozam AZ-1; la prima special su base AZ-1 fu l’ufficiale Mazdaspeed AZ-1 che fu introdotta per pubblicizzare le parti speciali prodotte dal reparto corse ufficiale Mazda. Il bodykit “A-Spec” includeva un cofano diverso, spoiler anteriore e alettone posteriore. Al contrario della versione base, l’auto veniva venduta in tinta unita rossa o blu e con cerchi in lega specifici al posto di quelli in acciaio. Era possibile a richiesta avere anche ulteriori accessori come ammortizzatori e molle sportive, barra duomi anteriore e posteriore, differenziale autobloccante meccanico, filtro aria sportivo e scarico in acciaio inox.

Che gran ferro la Mazda AZ-1 Mazdaspeed

Nel 1996 è stato costruito dalla Saburo Japan Co. Ltd. un esemplare unico chiamato “Abarth Scorpione”, commissionato dal famoso collezionista di Abarth Masaaki Kosaka, e ottenuto copiando gli stilemi della sua rara Abarth 800 “Scorpione”. La AZ- 1 è stata completamente ri-carrozzata con una spesa di circa 1 milione di Yen (circa 10,400,000 lire del tempo) per i soli pannelli più un altro milione per il montaggio e la verniciatura.

Ci furono poi versioni speciali della Mazda Az-1 messe a punto appositamente per andare forte, molto forte. Un esempio è la CARA-R, un’auto da corsa sviluppata dalla tuning house di Tokyo “MAD HOUSE” diretta da Satoru Sugiyama con l’obiettivo di ottenere il miglior tempo nel Time Attack al Circuito di Tsukuba, cosa che le è riuscita col crono di 1 minuto e 2 secondi e una velocità massima di 237,71km/h.

Degna di nota è infine la Greddy AZ-1: nel 1996 il famoso preparatore e specialista di motori rotativi Isami Amemiya della “RE-Amemiya” ha costruito una AZ-1 speciale per il Tokyo Auto Salon, chiamata GReddy VI-AZ1.  L’auto è più lunga e larga dell’originale e sembra vagamente un prototipo Le Mans (forse è stata idealmente seguita l’ispirazione del prototipo “AZ550-Tipo C”). La lista delle modifiche meccaniche è impressionante: il motore è un Wankel 20B a tre rotori (di derivazione Mazda Cosmo) montato longitudinalmente dietro l’abitacolo con turbocompressore Mitsubishi T78-33G con wastegate Trust, l’intercooler proviene da una Nissan Skyline GT-R, il collettore di aspirazione e lo scarico sono RE-Amemiya. A controllare il tutto è una centralina MoTec.

Le sospensioni sono le stesse delle Porsche 962C Le Mans (Bilstein) così come la trasmissione, l’impianto frenante è quello montato dalla Ferrari F40 mentre i cerchi sono RE-Amemiya AW-7 Desmond (costruiti da Rays Engineering) da 17”x7.5 con gomme Yokohama 255/35/17 (anteriori) e 17”x8.5 con gomme 295/35/17 (posteriori). La carrozzeria è completamente opera della RE-Amemiya e si ispira in modo palese a due supercar presentate pochi anni prima: la Concept Yamaha OX99-11 (di cui parleremo in futuro) e la McLaren F1 GTR. Questa versione della AZ-1 era un ferro indegno, nient’altro da dire.

Molte altre AZ-1 vennero modificate in esemplari unici a rappresentare bene il fermento che c0era in quegli anni nel mondo automobilistico giapponese ma non solo.

Piccola riflessione conclusiva

Le piccole Keicar dell’ABC rappresentavano una via economica, una possibilità a portata di tutti, in questo caso per poter correre e divertirsi similmente a come facevano i più fortunati (e solitamente più benestanti) possessori di ferri di calibro maggiore. Di nuovo il passato ci da un bello spunto di riflessione sul presente, perché diavolo non abbiamo un’auto del genere nei listini oggi? Lo spazio è quasi finito, trovare un parcheggio nelle città italiane (ma non solo) è una cosa impossibile, eppure si vendono macchine sempre più grosse, sempre più grandi ma sempre più vuote. La macchina più intelligente del mondo è la Renault Twizy ma in giro se ne vedono una manciata, forse è troppo intelligente per l’utente medio a cui, prima di tutto, importa apparire.  

(foto proveniente da QUI)

Per la stesura di questo articolo dobbiamo ringraziare Jacopo Salvi di Imola JDM che con la sua profonda conoscenza di quel mondo magico ci ha fornito le basi per tutto questo, grazie!
Articolo del 4 Giugno 2019 / a cura di Alessandro - The Millennial - Marino

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  • Flavio

    Intetessante!non ne conoscevo l esistenza, complimenti a tutti, xchr oltre a farci fare un tuffo in quel passato in cui avevo la coda di cavallo, al posto del boccione di ora, siete anche divertenti e scorrevoli da leggere!grazie!

  • Enzo

    La AZ-1 era una macchinina bellissima, ha popolato i miei sogni per anni. Grazie per l’esaustivo articolo, hai spiegato tanto.
    Forse non sai, ma un appassionato (del forum LLCC-Lotus e affini) la possiede assieme a Beat e Cappuccino. Ci potrebbe scappare qualche altro bell’articolo, se vi contattaste.

    • Alessandro - The Millennial - Marino

      Lo sappiamo, lo sappiamo 😉

  • Paolo Marchetti

    Link aggiornato per l’ultimo QUI dell’articolo: https://www.zengarage.com.au/rupewrecht/

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