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FIAT Bravo e Brava: two cars one mission

Siamo a metà degli anni ’90, seduti attorno a un enorme tavolo ovale nella sala conferenze a forma di bolla sopra la pista del Lingotto, sede della FIAT. Attorno a noi tanti colleghi dell’ufficio tecnico, dello stile e del marketing, mentre all’altro lato della stanza Cesare Romiti parla sottovoce con Gianni Agnelli. L’aria è pesante e tesa, ci guardiamo negli occhi per capire che succede e se vogliono darci il benservito per quanto schifo facciano le vendite in Europa, o i complimenti per il successo che sta avendo la Punto.

Agnelli si schiarisce la erre moscia e prende parola: “Cari colleghi, la Tipo è diventata un bidone, ci serve qualcosa di nuovo per fare il culo alla Golf”.

Il solo pronunciare il nome dell’utilitaria tedesca scatena il panico in sala. C’è chi si butta dal tetto del Lingotto, chi tenta di pugnalarsi con una penna Bic, altri provano a mettere le mani addosso all’Avvocato e vengono freddati con mosse di karate dalle sue guardie del corpo. Il vaso di Pandora è stato scoperto e il suo contenuto ha preso a schiaffi in faccia tutta l’azienda. C’è l’urgenza di fare qualcosa di grosso e rivoluzionario.

– In realtà non è andata proprio così, la trama in stile Steven Seagal me la sono inventata – 

È indubbio, però, che si trattasse di un periodo particolarmente importante e delicato per l’azienda, e attorno alla nuova utilitaria di segmento C tirava un’aria pesantissima. L’obbiettivo era veramente quello di realizzare una valida concorrente della Volkswagen, e anche se alla fine questo traguardo non è stato pienamente raggiunto, il risultato è stato originale, fresco e rivoluzionario.

Stiamo parlando delle FIAT Bravo e Brava

– Sono passati 27 anni, l’avreste mai detto? –

Non guardate queste due auto con gli occhi di oggi, ma come se foste nel 1995. La già citata Golf era alla terza serie e dominava sul segmento delle due volumi, mentre in Francia la Peugeot 306 faceva strage di cuori. In Italia avevamo la Tipo, paziente geriatrico che cozzava pesantemente con la frizzantezza della Punto, vera e propria reginetta delle vendite e prodotto nuovo sotto tutti i punti di vista. Svecchiare quell’azienda di matusa era una missione possibile, e la nuova berlina compatta sarebbe stata il vero punto di svolta.

– Con colore e cerchi giusti, la Bravo fa ancora la sua porca figura- 

– I caratteristici fari a tre elementi della Brava, a metà strada fra una navicella spaziale e un miope che strizza gli occhi –

Siccome agli italiani non piace mischiarsi troppo con i mangialumache o con chi indossa i sandali con i calzini, si decise di invertire la tendenza del segmento e invece di offrire le classiche due varianti di carrozzeria si puntò direttamente su due modelli diversi per estetica e nome: la Bravo, sportiva e maschile, esclusivamente a 3 porte; la Brava, dedicata alla famiglia, disponibile unicamente con 5 porte. Se fu una mossa azzeccata non l’abbiamo ancora capito.

Quello che in FIAT avevano ben chiaro, invece, era la necessità di un design armonico che richiamasse lo stile dell’arte italiana, le curve sinuose delle nostre donne e l’orgoglio di chi ha costruito le fondamenta dell’Europa moderna. Doveva essere una cosa così italiana che la responsabilità del design fu data a Peter Fassbender, tedesco.

– Un tedesco che disegna l’anti-golf italiana? C’è qualquadra che non cosa –

Per fortuna il magnacrauti Fassbender era un dipendente FIAT dal 1989 e aveva diviso il progetto con l’italiano Mauro Basso. Una coppia italo-tedesca così affiatata non la si vedeva dai tempi del Patto d’Acciaio, e in effetti il risultato fu più che notevole.

I due modelli erano identici nel frontale, caratterizzato da una sezione abbastanza contenuta, piccoli fari a sviluppo longitudinale e una presa d’aria ampia e pulita. Le linee morbide avvolgevano tutta la scocca, con il posteriore della Bravo che sedeva su spalle sagomate e larghe, mentre l’accenno di terzo volume della Brava portava in seno la chicca dei fari posteriori a tre elementi per lato, sottilissimi e dal carattere inconfondibile. Roba che oggi, nell’era dei LED, nessuno ha osato replicare. Sul cruscotto compariva per la prima volta un autoradio integrato, roba da sciorinare al bar mettendo sù una cassetta dei Litfiba.

Queste auto erano una risposta sfacciata al rigore noioso dello stile tedesco. Se la Golf era Claudia Schiffer, la Bravo era Monica Bellucci. Non so se cogliete il paragone, ma in caso affermativo, avete un ottimo gusto in fatto di donne.

– Italia Vs. Germania nel 1996. Ma davvero vogliamo fare un confronto? – 

Tecnicamente non si trattava di una vera e propria rivoluzione: il telaio della nuova “Piattaforma C” era derivato in parte da quello della Tipo (il pianale conosciuto come “Tipo 2” che ha equipaggiato anche Tempra, Lancia Delta, Dedra e Alfa 155) e sarebbe servito da base per future realizzazioni Fiat come la Marea (letteralmente una Brava con il baule o SW) e anche per l’Alfa 147. Si trattava a tutti gli effetti di una base ottima per ottenere un prodotto dal prezzo giusto e dalla qualità buona.

Le motorizzazioni? Niente di esagerato, ma all’altezza della categoria, circa. Erano tutte a 4 cilindri, aspirate e con iniezione elettronica, a partire dalla 1.4 12V da 80 cv, per poi crescere con la 1.6 16V da 103 cv, 1.8 16V da 113 cv e la top di gamma dedicata alla sola Bravo HGT, con un 5 cilindri in linea 2.0 20V da 147 cv, lo stesso della Fiat Coupè aspirata. È interessante notare che con più si saliva di cilindrata e più i consumi si avvicinavano a quelli di una 360 Modena. Infatti il 1.6 nato su questa auto e chiamato Torque, altro non era che un parente del vecchio monoalbero Lampredi della 128 era spesso convertito a gas metano o GPL e non a caso sulla contemporanea Multipla veniva proposto già così di serie. Erano tutti motori figli di quell’epoca che bene o male portavano a casa il pane (specialmente per il benzinaio) e poi, siamo sinceri, non è che la concorrenza offrisse tanto meglio eh, ma di sicuro uno di questi propulsori non ebbe vita lunga. Proprio il 1.4 12V, il più piccolo della nuova famiglia di motori conosciuti come “Pratola Serra” aveva dei grossi limiti progettuali che abbinati ai non entusiasmanti valori di consumi e di prestazioni venne accantonato totalmente per far posto all’inesorabile e leggendario “SuperFire” 1.2 16v a partire dall’anno 2000. Il problema erano gli alberi a camme che pativano la scarsa lubrificazione offerta dai passaggi dell’olio nel monoblocco (sottodimensionati) generando un tipico rumore di punterie che preannunciava la vicina catastrofe.

PREORDINI PER DI BRUTTO VOLUME DUE SONO ANCORA APERTI, SONO RIMASTE POCHE COPIE, CHE FA, CINCISCHIA?

Ovviamente non potevano mancare le versioni diesel che – come tutti i gasoloni prenormative – facevano più fumo della Moby Prince in fiamme. Erano tutti dei 1.9 in versione sia aspirata, l’ideale per chi non doveva scappare da qualcuno, che turbodiesel da 75 e 100 cv chiamati appunto TD75 e TD100. Erano robusti a patto che venissero usati da vostra zia per andare alla Coop o a messa perché avevano la tendenza a crepare la testa se non scaldati a dovere o se maltrattati. Per fortuna col nuovo millennio questi naftoni vennero sostituiti dal mitico JTD ad iniezione diretta che oltre ad avere maggior prestazioni miglioravano notevolmente anche l’affidabilità, diventando finalmente a prova del cugggino di provincia che voleva rivendicare la propria esistenza nella società affumicando chiunque al suo spregiudicato e rapido passaggio.

– Brava in allestimento “si, ha anche i sedili” – 

Nota dolente n°1: la qualità degli interni lasciava molto a desiderare. Il cruscotto aveva un bel design, con linee morbide e un’atmosfera rilassata e moderna, ma gli accoppiamenti non erano precisi e le plastiche di qualità infima che circondavano tutto l’abitacolo si graffiavano con il solo pensiero. Gli scricchiolii erano offerti di serie, alla consegna, così come le maniglie esterne dotate di autodistruzione programmata dopo una certa età.

Nota dolente n°2: l’impianto elettrico era perfetto appena uscito di fabbrica, ma bastava qualche mese di umidità, caldo e freddo per iniziare a fare l’effetto “luminarie natalizie” che ha reso famose tutte le FIAT di fine secolo. Se volevi mettere la freccia a destra era possibile che si accendesse lo stop sinistro, se provavi a fare gli abbaglianti si illuminavano le luci della retro, un clic di tergilunotto e partiva una puntata di Colpo Grosso a casa del vicino, se azionavi le quattro frecce di emergenza sotto casa lampeggiavano i lampioni.

– Negli anni ’90 gli interni erano ancora automobilistici, ora sembrano tutti salette d’attesa del dentista –  

Nota dolente n°3: le verniciature, soprattutto nelle prime serie fino al 1999, erano decisamente scadenti. Chi abitava al mare con il sole cattivissimo e l’aria piena di salsedine o in pianura padana con l’umidità al 100% per 11 mesi all’anno, poteva assistere al lento sbiadirsi del suo mezzo. Non erano auto che si arrugginivano, piuttosto si scrostavano come uova sode.

Caratteristiche e difetti a parte, furono un successo nel nostro paese, accompagnate da una campagna marketing così massiccia da dare la nausea. Nei mesi seguenti al lancio erano su tutte le TV, quotidiani e riviste di settore, acclamate come la riscossa dell’auto Italiana in Europa, tanto che nel 1996 hanno anche comprato vinto il premio di Auto dell’Anno. Lo slogan scelto per il lancio fu: “Fiat Bravo e Brava: la scelta”. Criptico e confuso. Ottimo lavoro.

Tra tutte le versioni ne spiccava una: la Bravo HGT, riconoscibilissima per l’assetto sportivo, l’accenno di spoiler, le minigonne swirlate davanti al parafango posteriore e per What is Love e Scatman Joe sparate a tutto volume dai truzzi che la compravano. Il suo 5 cilindri 20 Valvole voleva sbattere il pisello in faccia alla Golf GTI, ma alla fine aveva 3 cv in meno della tedesca, con 6 Nm in più di coppia massima. La Bravo chiudeva lo 0-100 km/h in 8.5 secondi, la Golf in 8.3, ma a Top Gear l’italiana vinse la drag race. A conti fatti andavano uguale ed entrambe dovevano guardare il bel culo della Peugeot 306 GTI-6, che era più leggera e vantava ben 167 CV.

– Se guardate attentamente l’immagine, potete sentire nelle orecchie “Ski-bi dibby dib yo da dub dub I’M THE SCAAAATMAAN!” – 

Bravo e Brava si aggiornarono in un restyling leggero nel 1999, con motorizzazioni riviste (la HGT toccò i 155 CV) e componenti di qualità leggermente migliore, fino al termine di carriera nel 2001. Una vita breve, solo 5 anni, ma vissuta al massimo. L’erede Stilo – uscita sempre dalla matita del teutonico Fassbender – non riuscì a conquistare i cuori degli italiani quanto le sinuose forme dell’accoppiata Bravo/Brava, che ancora oggi riconosciamo come originali e degne di un posto nella storia dell’automobile italiana.

La sfida con la Golf, ovviamente, non andò a buon fine. Non era facile convincere gli automobilisti europei che un’auto di carattere, di bel design, con un impianto elettrico divertente e con la verniciatura che fa la muta, potesse essere migliore di quella pallosissima utilitaria da impiegato comunale, sempre uguale a sè stessa e con il sex appeal di Giancarlo Magalli in guepierre.

A distanza di 27 anni, però, le cose stanno ancora così, e non ci possiamo fare niente. Noi staremo sempre dalla parte delle auto che hanno qualcosa di interessante da raccontare.

Articolo del 18 Ottobre 2022 / a cura di Michele Lallai

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  • Lele

    In realtà, benché non fossero campioni di consumo, i torque 1.6 e 1.8 erano piuttosto brillanti anche rispetto alla concorrenza. Sono stati “spenti” con l’arrivo dell’ euro4.
    Inoltre riguardo alle finiture… forse non ricordate quelle di tipo e tempra; il salto in avanti era epocale (pur restando mediocre).

  • Mike Wolmots

    Manca un elemento importante nella storia della Bravo/Brava. Quando è arrivato il JTD la golf non aveva un diesel a iniezione diretta e a livello di prestazioni, consumi, silenziosità era una spanna avanti.

    • Fabio

      Il diesel è buono solo per camion e furgoni, qui si tratta di automobili e scintille.

      • Mike Wolmots

        Si ho capito, io ho 6 auto a benzina non ho mai comprato un diesel perchè mi danno noia. Ma qua si parlava della storia della bravo/brava in generale e del paragone con la golf coeva…

    • Lupo

      Ti sbagli, la Golf 3a Serie ha introdotto i motori ad iniezione diretta di gasolio nel segmento nel 1993: 1.9 TDI con 90cv e poi, nel 1996, l‘aggiunta del 110cv. Tu forse la scambi con il sistema Common Rail.

  • Manfredi Girolamo Sparti

    Da ex proprietario di Fiat Tipo 1,4 sono di parte, lo ammetto, ma ricordiamoci che è stata la prima Fiat con lamierati degni di essere definiti tali: 16 anni e mai un puntino di ruggine, e come la mia non ho visto neanche una Tipo delle mie parti con ruggine ( e abito in una città di mare).

  • Alessandro

    Solo io trovo invece l’utima serie della Bravo, per intenderci quella dopo la Stilo, perfetta come linea? Ancora oggi se ne incrocio una, dietro, di lato, davanti la trovo armonica, quasi con rapporto aureo tra grandezza e forma fanali, curvature della carrozzeria

  • Tom

    Ma la sfida ad Imola sul giro di pista tra una Bravo HGT, una Ferrari 550 (o 575) guidata da Badoer che parte dopo 30 secondi e la F1 F310 guidata da Schumacher padre che arriva leggendo la Gazzetta, la passa ad un meccanico, si veste e parte andando a vincere nessuno la ricorda?

    https://www.youtube.com/watch?v=cpJ751g4QyA

  • D68

    Dopo 25 anni ho ancora la bravo 1.4 12v, consuma un po’ 226000 km il meccanico l’ho ha visto solo per i tagliandi, all’interno le plastiche a posto niente scricchiolii, niente box sole e maltempo a volontà.

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