Chiariamo subito una cosa: essere giovani è bello. Questo articolo non vuole essere un piagnisteo pieno di retorica e/o non meglio identificata nostalgia per i bei tempi andati, il più classico dei “si stava meglio quando si stava peggio”. Personalmente, quando qualcuno (di solito più grande di me) inizia un discorso con “ai miei tempi”, dentro di me un piccolo Germano Mosconi inizia lentamente ad alzare la voce.
Però…
Però ci sono cose che un giovine petrolhead nerd come me, nato sul finire degli anni Ottanta, rimpiange immensamente. L’essermi perso gli anni d’oro del Commodore 64, non aver potuto godere appieno delle Gruppo B del mondo dei rally se non in tarda età ed in formato 720p su YouTube (ed in questo caso grazie infinite sig. Progresso Tecnologico che almeno qualcosa ho visto), non aver partecipato dal vivo ad un concerto degli AC/DC quando ancora martellavano per davvero… la lista è lunga e potrei continuare ancora. In particolare, aver mancato di un paio di decenni abbondanti l’età d’oro dell’aviazione mi ha sempre lasciato dentro un senso di amarezza non trascurabile. Come quando da apprendista sbarbatello mettevo le mani su un manuale di manutenzione vecchio di trent’anni, ornato delle ditate di grasso di chi lo ha usato e logorato, sfogliando pagina dopo pagina finivo a consumarne gli angoli. E mentre mi perdevo tra grafici e vecchi testi battuti a macchina, potevo quasi sentire l’odore del cherosene trasudare dalla carta. Storie vecchie ma non per questo noiose, storie di imprese, di cose e persone vere. Tutto questo mi manca e mi mancherà sempre, DI BRUTTO.
In generale, ad ogni modo, quello che rimpiango di più di quel mondo ormai lontano è quel senso del fare pratico che ha caratterizzato, in un modo o nell’altro, tutte le scoperte tecnico/scientifiche dell’era moderna, fino a quando i computer non hanno iniziato a pensare e fare per noi.
Avete presente il detto “Se lo puoi immaginare, allora lo puoi fare”? Ecco, in quegli anni lì i pionieri dell’aviazione (se non s’era capito, in quest’articolo trattasi di roba che sta per aria, anche se per il rotto della cuffia) pensavano e facevano sul serio, senza chiedere aiuto ai signori Steve Jobs o Bill Gates. Vorrei poter riuscire a capire sulla mia pelle cosa potesse significare progettare un velivolo capace di fare cose mai viste, partendo dagli schizzi a matita su fogli di carta, prototiparlo senza veramente sapere cosa sarebbe successo una volta messi insieme i pezzi, sfidando l’ignoto solo armati di calcoli che, per quanto precisi, lasciavano aperte una serie infinite di possibilità e di ancora più inquietanti “se” e “ma”. Oggi, ancora prima che un solo pezzo di aereo venga prodotto, simulazioni al computer sono in grado di dirci come quell’aereo si comporterà in una determinata situazione, analizzando finanche lo stress a cui i singoli componenti verranno sottoposti. Una miriade infinita di altre variabili vengono prese in considerazione da un cervello elettronico tanto preciso quanto finto e privo di personalità. In breve, il romanticismo è andato a farsi benedire.
Ciaone
Immaginate cosa potesse provare un pilota collaudatore dell’epoca montando a bordo di un SR-71 per un test, senza essere veramente sicuro di come quell’apparecchio si sarebbe comportato in un determinato assetto, ad una specifica quota o velocità… della serie “tu vai poi facci sapere”. I motori riusciranno a fornire la spinta necessaria a completare la manovra? Le centine reggeranno? Me la farò addosso dalla paura quando l’aereo supererà Mach 3? Bisognava avere un pelo sullo stomaco che Lucio Dalla spostati per infilarsi nell’abitacolo di un aereo che fermo a terra pisciava carburante da tutte le parti, rassicurati solo dal fatto che “tanto-quando-è-in-volo-l’espansione-termica-sigilla-tutto-almeno-così-mi-hanno-detto”.
Say what ?
Io ho fame di queste storie, le cerco, le voglio immaginare, voglio viverle come se fossi lì. E per raccontare la storia di oggi, devo partire da un immagine, questa.
Era il 2009 e mi apprestavo ad iniziare la mia carriera lavorativa da sbarbo nel mondo dell’aviazione, in particolare nel sottomondo degli elicotteri. La foto che avete appena visto era appesa nel mio ufficio proprio dietro di me: giorno dopo giorno la guardavo, senza necessariamente vedere cosa di fatto rappresentasse, senza capirne l’importanza. Poi un bel giorno chiesi al mio allora responsabile: “Che posto è questo?” La risposta fu tanto scioccante quanto affascinante. Finalmente avevo trovato una di quelle storie che tanto mi mancavano, una di quelle imprese che pensavo ormai nessuno avesse più il coraggio o l’interesse di fare. Un’impresa che merita di essere raccontata a voi tutti branco di sciamannati.
Madame e monsieur, preparate le bombole di ossigeno e tirate fuori la giacca pesante dall’armadio perché oggi andiamo al fresco, e vi racconterò di quella volta che i francesi parcheggiarono un elicottero in cima all’Everest.
Prima di iniziare però urge un’altra piccola premessa: per una volta vi chiedo di mettere da parte tutti quei preconcetti che tra vicini di casa è normale avere, e dare a Napoleone quel che è di Napoleone. Qui non è questione di baguette sotto l’ascella, gioconde da restituire o po-popopopopo-po: qui bisogna solo stare muti e tirare giù il cappello di fronte all’impresa portata a termine…
… detto questo, per tenere fede allo stile Rollingsteel, il cugino transalpino verrà perculato quanto basta per mantenere l’articolo piacevole e scorrevole. Io vi ho avvisati, se la cosa vi disturba passate oltre e tornate a Nizza.
Pronti? Iniziamo!
Nei primi anni duemila quei mattacchioni di Eurocopter (che oggi si legge Airbus Helicopters) si misero in testa di far capire a tutti, qualora ce ne fosse ancora bisogno, chi lo avesse più lungo quale fosse l’elicottero principe per il lavoro in montagna. L’AS-350 B3 Ecureuil (scoiattolo) si può tranquillamente definire il mezzo più versatile per il lavoro ad alta quota attualmente in produzione. Monomotore, leggero e robusto, è ormai in commercio da decine di anni e ha provato molteplici volte la sua validità.
Per capire a fondo questa storia (per quei pochi stolti di voi che non lo avessero ancora fatto) leggete qui. È importante infatti comprendere che per gli elicotteri il fattore quota è molto più limitante che per gli aeromobili tradizionali: quando l’elicottero sale l’aria inizia a rarefarsi e questo riduce l’efficienza del rotore principale oltre che a ridurre la potenza disponibile erogata dal motore. Più l’elicottero vola in alto, più lentamente sale a causa della ridotta portanza generata, ed eventualmente raggiunge un punto in cui l’aria è troppo rarefatta. Quando le pale non possono più generare abbastanza portanza per continuare a salire, l’elicottero raggiunge il suo massimo inviluppo operativo. Superato questo punto l’elicottero diviene incredibilmente instabile.
In generale possiamo affermare che portare un elicottero oltre i 6.000 metri è un affare piuttosto rischioso e che per farlo, quindi, c’è bisogno non solo di un mezzo adatto ma anche un pilota con un manico di dimensioni ragguardevoli (possibilmente in materiale alleggerito, così conteniamo i pesi).
– Che me guardi dietro se ho toccato? –
Ma se ‘sto benedetto AS-350 era già il re della montagna, come mai scomodarsi nel tentare un’impresa del genere? Presto detto: l’idea era quella di dimostrare ai clienti Eurocopter (e a tutti i futuri potenziali interessati dopo il compimento della sburonata) quanto fossero ampi i margini di sicurezza utilizzando l’elicottero entro il suo normale inviluppo di volo certificato, rispetto alle sue reali potenzialità operative. L’AS-350 B3, infatti, è certificato fino ad un un’altitudine massima di 23.000 piedi (che a casa nostra fanno circa 7.000 metri). Atterrando, e soprattutto ri-decollando, dai 29.029 piedi (8.848 metri) del Monte Everest, si sarebbe potuto provare quanto fosse ampio il margine di sicurezza per l’utilizzo “normale” del mezzo. Un po’ come se Rocco lo tirasse fuori a metà quando lavora, sapendo però che in caso di bisogno c’è ancora un sacco di potenza a disposizione.
In verità, però, il percorso che ha portato questa idea malsana a diventare realtà e stato tutt’altro che facile, e per raccontarlo dobbiamo introdurre il protagonista principale di questa storia, uno che in quanto ad ignoranza (ma di quella sana) meriterebbe di entrare nel CDA di Rollingsteel con un plebiscito. Prego dare il benvenuto a Monsieur Didier Delsalle
– ‘ara che beo –
Questo signore, che a prima vista potrebbe sembrare l’imbianchino che viene a sistemarvi il giro scale, è in realtà un pilota secondo a pochi. Entra nell’aeronautica militare francese nel 1979 come pilota di caccia, due anni dopo si qualifica come pilota di elicottero e partecipa ad operazioni di ricerca e soccorso per i successivi dieci anni. Lavora per cinque anni come pilota collaudatore e istruttore presso la scuola di EPNER a Istres, in Francia. Viene infine assunto da Eurocopter come capo pilota-collaudatore responsabile dei piccoli elicotteri della famiglia monomotore, e in seguito dei più grandi elicotteri NH90 in fase di sviluppo (ora in servizio) per numerose forze armate.
Durante un’intervista rilasciata qualche anno dopo il compimento dell’impresa, Delsalle dichiarò che l’idea di atterrare sull’Everest gli stava frullando in testa da un po’, ma che Eurocopter non ne fosse troppo entusiasta (ma va?). L’AS- 350 infatti era notoriamente sensibile alle variazioni di potenza ad alta quota a causa dell’interfaccia software del motore (un turbomeca Arriel 2).
Ora io me la sono provata ad immaginare la riunione in Eurocopter, cha allora si chiamava ancora Aerospatiale, con Delsalle che prova a convincere i pezzi grossi ad imbarcarsi nell’impresa (per apprezzare al meglio la conversazione, prego leggere quanto segue parlando con la bocca a culo di gallina e accento francofono).
Direttore Commerciale: Ue’ regaz, qualcuno ha qualche idea interessante per la pubblicità di quest’anno? Urge far fare brutta figura a quelli di Agusta e Sikorsky. Ah mi raccomando, niente proposte da fenomeni che il budget è quel che è… e no, dimostrare quante gioconde riusciamo a trasportare dall’Italia a Tolosa non vale.”
Didier Delsalle: (dal fondo della sala alzando timidamente la mano): Ehm… Si potrebbe… Che so, atterrare in cima all’Everest con uno dei nostri elicotteri? Sono libero questo giovedì pomeriggio per discuterne se volete. Non costerà tanto, ci possiamo portare i croissant surgelati da casa.
Direttore Commerciale:
Sconfitto nel corpo ma non nell’animo, il buon Didier non si Didier per vinto, accantonando l’idea ma senza dimenticarsene.
Finalmente, nel 2004, una nuova versione del software del motore Turbomeca (ora Safran Helicopter Engines) Arriel 2 risolse il fantomatico problema. Delsalle, sicuro come solo un francese può essere, garantì che avrebbe dimostrato la fattibilità del progetto e convinse i capoccia a dargli una possibilità.
I primi test su suolo francese si svolsero a ritmo serrato a partire dall’aprile 2004 con un volo sperimentale fino a 8.992 m (29.500 piedi) culminando, un anno più tardi, con un altro volo fino a 10.211 m (33.500 piedi). Durante le prove vennero registrati anche i nuovi record di velocità di salita a 3.000, 6.000 e 9.000 metri così, tanto per gradire. Nel frattempo Delsalle era impegnato ad ottenere tutte le autorizzazioni necessarie per farsi accreditare a portare a termine l’impresa. Pensate a quanta fatica bisogna fare per avere il visto per salirci a piedi sull’Everest. Fatto? Bene. Ora provate ad immaginare di dover spiegare ad un impettito funzionario nepalese che volete andarci in elicottero, come fosse un heliski tour sul Cervino qualunque.
Finalmente, nell’aprile 2005, Delsalle e il suo team di quattro meccanici e un ingegnere di terra erano pronti a partire. L’elicottero fu trasportato dalla Francia tramite aereo cargo a Nuova Delhi, in India, dove venne rimontato per il volo in Nepal. Giusto per aggiungere un po’ di pathos a tutta la faccenda, una tempesta di sabbia rischiò di distruggere l’hangar in cui stavano lavorando per preparare l’elicottero ed i nostri eroi riuscirono a sfuggire per il rotto della cuffia.
Da Kathmandu il team si riposizionò a Lukla, remoto aeroporto di montagna che è il punto di partenza per gli scalatori e gli escursionisti dell’Everest. Ivi giunti, Delsalle & co. lavorarono per preparare l’elicottero per il tentativo di record, e già che c’erano fecero una breve svolazzata per andare a salvare due trekker giapponesi che soffrivano di problemi medici. Delsalle iniziò anche a condurre voli di ricognizione per determinare il modo migliore per avvicinarsi alla vetta, scoprendo rapidamente che il percorso verso la cima non sarebbe stato semplice.
Dice: “ho un elicottero, vado su e gliel’appoggio in punta, più preciso di una testata di Trezeguet.”. E no, caro! Siccome non stavano cercando di appoggiarlo su una dolce collinetta provenzale, dovettero scoprire con sommo sgomento che da un lato della montagna la corrente ascensionale era talmente forte da far salire l’elicottero in modo incontrollato, mentre dall’altra parte la corrente in discesa dalla vetta faceva sì che l’elicottero finisse per andare indietro invece che in avanti, pur segnando più di 60 nodi di velocità sull’anemometro. Il motore, inoltre, sembrava non avere abbastanza birra per contrastare questo tipo di condizioni atmosferiche. Bene, ma non benissimo.
– Altissima, purissima, Levis… no che poi ci mandano gli avvocati come quelli dei cancelli –
Raggiungere la vetta significava quindi volare a cavallo di una linea pericolosamente sottile tra le correnti implacabili dell’Everest, con venti che potevano toccare anche i 300 km/h e con il sistema di governo del motore che operava al di fuori del suo inviluppo di volo certificato: era essenziale quindi trovare un percorso che consentisse di volare senza intoppi. Diversi approcci alla vetta vennero testati durante i suoi voli di ricognizione.
– Piccolo souvenir nepalese per ricordare quanto facilmente le cose possano andare a putain –
Delsalle era anche consapevole dei pericoli che lo spostamento d’aria del rotore avrebbe potuto rappresentare per gli scalatori sotto di lui: il suo volo da record, in effetti, venne programmato per sfruttare un periodo di tempo in cui non c’erano alpinisti vicino alla vetta.
Non solo: Delsalle dovette volare con i finestrini aperti per evitare che il parabrezza si condensasse e ghiacciasse con l’umidità. La temperatura era di -35 C e poiché Delsalle non amava volare con tute da volo ingombranti (i francesi e la moda, sempre i soliti), indossava solo due strati di indumenti intimi termici, più la sua tuta da volo.
– Aiiiuei tuuuuuu deeeee dengerzone –
Esauriti i convenevoli e fatti i debiti scongiuri con annesse macumbe, finalmente l’allegra brigata era pronta per tentare il record.
La mattina del 14 maggio 2005, dopo essersi accertato che le condizioni atmosferiche fossero le migliori possibili (definirle ottimali mi pare eccessivo), Didier decollò dall’aeroporto di Lukla col suo AS-350 B3 in versione pressoché standard e semplicemente alleggerito di tutto quello che non fosse indispensabile, per un risparmio di peso totale di 120kg.
Davanti a lui una salita di quasi 20.000 piedi, da affrontare cavalcando le pericolose correnti ascensionali che aveva incontrato durante le sue ricognizioni. Successivamente dichiarò che in alcuni momenti la corrente era talmente forte da far salire l’elicottero anche abbassando totalmente il comando collettivo… un po’ come provare a frenare con la macchina in autostrada senza che questa rallenti, ma a -35°, nel posto più inclemente e sperduto del mondo. Il volo venne registrato da svariate telecamere sia esterne che interne (Nel 2005 non c’erano fighetterie tipo telecamerine Ekscion Cam fullaccaddì a 360 gradi e altri accrocchi del genere, il video è quel che è) e tutti i parametri rilevati da una telemetria tipo Formula 1.
Finalmente, alle 07:08 ora locale, Delsalle riuscì a posare i pattini del suo fido destriero sul tetto del mondo. In cima alla montagna venti fino a 65 nodi sferzavano inesorabili e capricciosi, talmente imprevedibili da rendere lo stesso mantenimento al suolo dell’elicottero estremamente difficile. Il pilota dovette combattere con i comandi per tutta la sua permanenza in vetta. A questo bisognava aggiungere la totale mancanza di riferimenti visivi, visto che il punto più alto del mondo era ora sotto al suo deretano transalpino.
Per certificare il record, la FAI (federazione aeronautica internazionale) richiese di restare in vetta per almeno due minuti. Delsalle decise di stare sul sicuro e rimase lì per un totale di 3 minuti e 50 secondi. Dopo aver consumato la schiscetta, fu il momento di levarsi dai maroni. Avendo mantenuto il motore acceso per tutto il tempo (e vorrei anche vedere) l’elicottero era ora più leggero di quanto fosse all’atterraggio a causa del carburante consumato. Il decollo, quindi, non presentò particolari problemi: Delsalle diede collettivo, sollevò i pattini dall’Everest e ridiscese verso Lukla a fionda, e sono sicuro che lo fece canticchiando la marsigliese.
Subito dopo essere atterrato (ed aver ricevuto la proverbiale doccia di Champagne per festeggiare l’evento), Delsalle decise che avrebbe ripetuto l’impresa anche il giorno successivo, giusto per assicurarsi che a qualcuno non venisse in mente che atterrare sull’Everest fosse stato semplicemente un coup au cul.
Il 15 maggio 2005, in condizioni ancora più proibitive del giorno precedente, Delsalle riuscì a ripetere l’impresa.
Ad oggi resta la prima ed unica persona ad essere atterrata sulla cima dell’Everest con un elicottero e detiene il record mondiale per l’atterraggio effettuato alla quota più alta. Record che, evidentemente, non sarà mai superato, a meno che un terremoto sollevi l’Everest di qualche centimetro o venga scoperta un’altra montagna più alta.
– So’ figo, so’ bbbbello, so’ senza carrello so’ fotomodello –
Potrebbe essere finita qui: bravo Delsalle, torna a casa contento e mangiati un piatto di escargot che te lo meriti. E invece no: in pieno stile Rollingsteel vi beccate la chicca finale.
I più attenti di voi avranno sicuramente notato che già durante i test effettuati in Francia Delsalle aveva prima eguagliato e poi abbondantemente superato l’altitudine necessaria per atterrare sull’Everest. Tutto questo per mettere in chiaro che l’impresa non venne tentata meramente per battere il record assoluto di altitudine.
Potrei fare il carogna e lasciarvi così, col dubbio e la necessità di spendere qualche minuto in più della vostra esistenza per andarvelo a cercare da soli, ma oggi mi sento buono e ve lo dico: il 23 marzo 2002 un tale di nome Fred North stabilì il record per altitudine mai raggiunta da un elicottero, portando il suo AS-350 (e quale altro elicottero sennò?) alla strabiliante quota di 42.500 piedi… non vi impressiona? In metri fanno 12.594.
DODICIMILACINQUECENTONOVANTAQUATTROFOTTUTISSIMIMETRI
Siccome quella del record assoluto di altitudine è una storia che meriterebbe di essere raccontata a parte, vi lascio con una foto per rendere l’idea di cosa stiamo parlando.
Personalmente mi sento solo in dovere di dire grazie a queste persone: a tutti i Didier Delsalle, ai Fred North e ai Felix Baungartner là fuori che ogni giorno si svegliano sognando qualcosa più grande di loro e più grande dei calcoli al computer e del mero profitto. È per merito di queste persone che il progresso si può realizzare, è solo grazie a chi lancia il cuore oltre l’ostacolo che tutta l’umanità può godere di risultati inimmaginabili.
P.S.: Per i più infoiati di voi, il kit del modellino dell’AS350 di Delsalle è disponibile nell’internette. Rigorosamente VM18 anni.
Articolo di Simone Rossi, il nostro inviato nel mondo delle pale che girano
la storia dell’aviazione e’ piena di storie fantastiche che voi raccontate, a partire da inizio 900… step evolutivi enormi, dagli aerei in legno a quelli in metallo, ai motori a reazione, ai voli supersonici…
Bellissimo articolo Simone. In tema di As350 e record avrei anche aggiunto il soccorso più alto mai fatto con long-line sempre sull Everest a 7800 da Folini Maurizio un pilota italiano
Continuate così con gli articoli
Bellissima storia scritta benissimo trasmettendo l’epicità dell’impresa ma con molta ironia
Qualche modificuccia però la fecero eh.. tipo togliere l’antivibreur e alcuni pezzi in giro…. Ma l’impresa fu notevole. A quando un racconto su quel ferro inimitabile del lama? Quello si che in fatto di puzza, rumore e ignoranza ne ha da raccontare…
eh non va bene non si può parlare di elicotteri e poi fare uno strafalcione come “per il rotto della cuffia”. Casomai più propriamente bisogna parlare in termini di “per il rotore della cuffia” eh….