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North American X-15, il più losco di tutti

Rollingsteel non sono solo auto. No, Rollingsteel è passione per tutti quei mezzi che in un modo o nell’altro smuovono le emozioni, fanno tornare bambini e ci fanno sognare a occhi aperti.

Tipo Selen.

Oggi allora non vi racconteremo di una automobile ma ci lanceremo a velocità ipersonica fin nello spazio per raccontarvi quella roba pazzesca che è stato il North American X-15, l’oggetto più veloce e pericoloso mai costruito e pilotato dall’uomo, un velivolo sperimentale progettato e costruito appositamente dalla NASA per raggiungere i limiti di quota e velocità per un mezzo pilotabile dall’uomo.

Parliamo un po’ di velocità.

Siete chiusi in una cassa da morto stretta fusoliera attaccata come una pera al di sotto un grosso aereo che è pronto a lasciarla cadere. Al momento giusto dovrete innescare una bomba un motore a razzo che in pochi secondi (80 per la precisione) vi porterà da poco più di 800 km/h a una velocità folle (superiore ai 7000 km/h) e ad una quota superiore agli 80 km! Abbastanza da poter tranquillamente affermare:

“terrapiattisti stocazzo”

No, non stiamo parlando di fantascienza, ma di quello che hanno provato gli otto piloti di quel gran ferro dell’X-15 (ma che non è una roba da X-men, anche se poco ci manca). Erano i mitici anni ’60, elettrici e veloci come un pezzo degli Who. Gli anni della protesta degli studenti, delle rivolte nelle piazze, gli anni del dualismo Beatles – Rolling Stones (io dico Kraftwerk), di Mohammed Alì e delle Pantere Nere, di Jimi Hendrix che suona la chitarra con i denti a Woodstock.

Gli anni in cui il mondiale di Formula 1 potevi vincerlo guidando una Lotus.

Gli anni in cui era in pieno svolgimento la lotta per la conquista dello spazio e, se l’americano l’uomo è andato sulla Luna, lo deve anche e soprattutto a questo missile ipersonico di cui andremo a raccontare.

Il North American Aviation X-15

L’X-15 è un ferro da corsa e, come tutti i ferri da corsa, è abbastanza piccolo: immaginatevi un tubo lungo poco più di 15 metri con un’ala piccola piccola la cui apertura è di appena 6,8 metri. Il peso a vuoto è di circa 6.6 tonnellate, mentre il peso massimo al decollo allo sgancio era superiore alle 15 tonnellate. Per cui, se la matematica non è un’opinione (anche se per molti lo è), considerando 70 kg di pilota (o astronauta in questo caso), più il peso di casco e tuta, l’X-15 si portava dietro un culo di combustile (più di 8 tonnellate – di fatti tutti sanno che “un culo di” significa proprio 8).

Il motore di questa “cosa pericolosa con le ali” venne sviluppato appositamente dalla Reaction Motors (già il nome è una figata pazzesca) ed era capace di circa

un milione di cavalli

ai quali però bisognava dare da bere. E un milione di cavalli non li tiri fuori con la 100 ottani. 

Nei serbatoi dell’X-15 (anche se bisognerebbe scrivere, “nell’X-15, che era un serbatoio con le ali”) erano contenuti ammoniaca anidra e ossigeno liquido che fungevano da propellente nel momento in cui venivano mischiati e accesi. L’ultima evoluzione di motore, denominato Thiokol XLR99, era una bomba ad orologeria che in 80 secondi si ciucciava 6804 kg di propellente (pensate che la pompa carburante, una turbopompa, era azionata dalla decomposizione di acqua ossigenata al 99%, decisamente più instabile e pericolosa di quella che avete in casa che è al 3%).

Eighty seconds to space.

80 secondi a tutto gas, 80 secondi nei quali il motore, a piena potenza, sparava l’X-15 a velocità impronunciabili.

Abbiamo parlato del motore, realizzato dalla Reaction Motors, ma chi si occupò di mettere assieme le cose fu la North American Aviation che, a partire dal 1955, iniziò a sviluppare il progetto X-15. Tuttavia questo velivolo non era in grado di decollare in maniera autonoma. I motori a razzo, specialmente quelli molto potenti (e, se non avete capito bene, questo era molto potente) non erano sicuri da avviare a terra e, ad ogni modo, l’unico modo per raggiungere le velocità pazzesche ottenute con questo aereo era di avventurarsi a quote inaudite, impossibili da raggiungere in tempo partendo da terra senza prima finire il carburante. Infine i motori a razzo, nonostante quello dell’X-15 sia stato il primo nella storia ad avere la spinta regolabile dal pilota (prima di lui gli aerorazzi erano OFF-ON, VIVO-MORTO), sono piuttosto scorbutici, tipo quello di una 500cc da GP.

È proprio per questo che gli ingegneri della North American Aviation svilupparono un sistema di sgancio da un altro aereo che aveva il compito di portare il 15 in quota. Vennero messi a punto due aerei dedicati allo sgancio dell’X-15: il primo era l’Air Force NB-52A detto “the High and Mighty One” (letteralmente “l’alto e potente”, insomma Dio!), nome in codice Balls 3, il secondo era l’NB-52B detto “the Challenger”, nome in codice Balls 8. Interessante notare che l’ala destra di questi B52 è letteralmente tagliata per ospitare il timone del folle X-15.

Siccome adoro le chicche, vi dirò che a supporto dei 199 voli dei tre X-15 prodotti (eh si, il volo numero 200 non si è mai fatto perché il tempo era brutto e, dopo sei tentativi di lancio, gli americani si sono rotti le palle, han preso baracca e burattini e han dichiarato finito il programma X-15) sono stati impiegati svariati caccia F-100, F-104 ed F5D, aerei C-130 ed elicotteri H22 e CH-47 per trasportare le suddette baracche e buratti. Praticamente si portavano dietro più roba del Circo Orfei, chissà quanto sarà costato tutto ciò…

Incredibile come il 104 sembri lento e goffo accanto all’X-15|

“Bella macchina vez, ma quanto fa?”

La North American Aviation presenta l’X-15, verniciato tutto di nero, e nel Giugno del 1959 compie il primo volo ma per i record, quelli veri, ci volle più tempo: nel 1963, con ai comandi (e che comandi!) Joseph A. Walker, l’X-15 fa segnare il record di quota per un velivolo: il 19 luglio tocca quota 105.9 km e il 22 agosto batte il suo stesso record raggiungendo i 107.8 km di altezza. Il sistema di controllo però è un disastro, l’aereo è difficilissimo da controllare perché, a quote così alte, l’aria è molto rarefatta per cui le superfici mobili non sono molto efficaci. Per controllare questo oggetto, era stato inventato un sistema di controllo a reazione denominato RCS (Reaction Control System). In parole povere, la direzione veniva data accendendo dei piccoli razzi che producevano spinta nella direzione necessaria per bilanciare l’X-15. Il primo sistema di controllo aveva addirittura tre joystick: il primo comandava le superfici mobili come gli aerei tradizionali, il secondo comandava il sistema RCS e il terzo veniva usato soltanto per manovre ad alto numero di G. In pratica, è come se sulla vostra auto vi montassero tre volanti, uno per quando piove, uno per parcheggiare e uno per le giornate in pista! Per fortuna, un sistema automatico, denominato SAS (Stability Augmentation System), aiutava il pilota a mantenere l’assetto mediante dei leggeri input dati alle superfici mobili.

Il sistema a tre joystick fu poi semplificato rendendo possibile il controllo dell’aereo con un solo joystick e, per migliorare la stabilità, venne installata una nuova coda. Tale coda era talmente grande che la superficie della deriva era pari al 60% della superficie alare, in pratica l’X-15 era stabilizzato nello stesso modo in vengono stabilizzate le freccette con le quali si gioca nei bar: della serie “elementare Watson!”.

Adesso il velivolo sembrava finalmente stabile ma una coda di quelle dimensioni comportava un drastico aumento di resistenza che generava due ulteriori problemi: serviva più potenza per vincere la maggiore resistenza e l’aereo, a causa dell’attrito maggiore, si cuoceva come una porchetta. Il primo problema fu risolto adottando il nuovo motore XLR99 mentre per risolvere il problema del surriscaldamento, gli americani devono aver pensato proprio alla porchetta perché dipinsero l’X-15 di rosa. Non sto scherzando, provate ad immaginarvi sto mezzo qui, super-figo, super-tecnologico, dipinto di un bel color rosa maiale: sembrava una sorta di wurstel gigante!

Ma cosa serviva tutto questo rosa? In realtà si trattava di un rivestimento in materiale ablativo: questo rivestimento si sarebbe man mano consumato per via dell’attrito e del calore sprigionato, un po’ come si consumano le pillole effervescenti dentro un bicchiere d’acqua e questo avrebbe permesso di proteggere la struttura sottostante. Insomma, sto coso era talmente veloce che si sverniciava da solo da tanto andava forte.

Questa configurazione rosa prese il nome di X-15A-2 e gli americani erano pronti per frantumare qualsiasi record di velocità con un velivolo manned (cioè dotato di pilota a bordo): era il 1967. Soltanto che all’ultimo pensarono “dove cazzo andiamo con sto affare dipinto di rosa?” e così applicarono delle vernice bianca sul materiale rosa: l’X-15 fece come Gandalf e divenne “il Bianco”.

Restava solo un piccolo ostacolo tra l’X-15 il record: nello sviluppo della macchina, oltre ad aumentare a dismisura l’area della coda, avevano abbassato (da buoni tamarri) i carrelli di atterraggio, per cui in fase di atterraggio la coda avrebbe toccato la pista (questa non è mai una soluzione elegante in aeronautica). Per cui, sperimentarono e misero in pratica la più semplice delle soluzioni: la parte inferiore della coda si sarebbe staccata prima dell’atterraggio! Il 3 Ottobre 1967, durante il volo numero 188, l’X-15, pilotato dal comandante William J. Knight, raggiunse la velocità (folle) di 7274 km/h (Mach 6.72)!

Sono stati solo otto i piloti che hanno avuto la fortuna – e le palle – di mettere il culo dentro all’X-15. Uno di questi otto è il signore qua sotto, lo riconoscete?

Otto piloti (e tredici voli) che con l’X-15, per merito del suo esagerato motore a propellente liquido, oltrepassarono la fatidica quota di 80 km che stabiliva il limite oltre il quale si parla di volo spaziale e che vennero quindi definiti astronauti. Otto piloti che, ben prima (di poco) della parabola spaziale di Alan Shepard (“primo” americano nello spazio), hanno avuto veramente pilotato nello spazio e non sono stati semplici passeggeri di una capsula programmata da terra.

Alcuni di essi diventarono “davvero” astronauti, in particolare due piloti si distinsero negli anni successivi al progetto X- 15: il signor Joseph Engle, che divenne il comandante di quel ferro indegno dello Space Shuttle, e Mr. Neil Armstrong che fu il primo uomo a mettere piede sulla Luna.

Piloti veri, Uomini veri

Tuttavia a volte le storie, anche quelle più spettacolari, hanno un finale triste e questo è il caso della storia dell’X-15: durante il volo 191 l’aeroplano finì in accoppiamento inerziale, si spezzò in due a 18 km dal suolo e il comandante Michael Adams perse la vita nell’incidente. Anche lui verrà incoronato con il “titolo” di astronauta con una trentina di anni di ritardo.

Venne fatto qualche altro volo, come detto si arrivò fino al volo numero 199, dopodiché si decise di chiudere il programma X-15. Al mondo restano soltanto due X-15 dei tre prodotti: il numero 1 si trova a Washington al National Air and Space Museum, il numero 2 (quello del record di velocità) è conservato al National Museum of USA Air Force, vicino Dayton, Ohio. Prima di chiudere questo articolo, ci tengo a precisare che i record dell’X-15 furono superati solamente nel 2004 dallo SpaceShipOne (quello di massima quota) e dallo Scramjet X-43 (quello di velocità ma senza pilota a bordo). Da solo, questo risultato dovrebbe essere sufficiente a rendere meritevole l’X-15 dell’appellativo di “Ferro del Dio” pilotato da gente con veramente le palle d’acciaio allo sforzo e sacrificio dei quali vogliamo rendere onore.

 

Testo di Matteo Viscogliosi, foto dalla NASA, se vi è piaciuto l’argomento, uscite da instagram ed andate in libreria a comprare “La stoffa giusta” di Tom Wolfe, ci ringrazierete poi.

Articolo del 30 Gennaio 2019 / a cura di Il direttore

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  • Lorenzo

    Stupendo! Non mi dispiacciono per nulla gli articoli sugli aerei!

  • Marco

    Il modo in cui scrivi,semplice e divertente, è veramente bello!al “sto coso in pratica si svernicia da solo” sono morto!

  • Michele Destro

    Bravo davvero, l’articolo si fa leggere tutto d’un fiato.

  • Agostino Zimaglia

    Come al solito un articolo che si legge volentieri,sempre simpatico lo stile .Foto che non avevo mai visto in giro . X 15 rosa e bianco chi se lo immaginava . Complimenti

  • Francesco

    Bellissimo, l’articolo, la storia, lo stile di scrittura

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