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Ferruccio Lamborghini

Oggigiorno quasi tutte le case automobilistiche, piccole o grandi che siano, hanno un proprio museo. Tutti conoscono il museo “Galleria Ferrari” di Maranello o l’altrettanto prestigioso Museo Lamborghini di Sant’Agata Bolognese.

Le case automobilistiche appena citate non sono però solo “fabbriche”: sono un vero e proprio miracolo, l’impronta lasciata su questa terra da uomini geniali, rivoluzionari, e anche un po’ folli.  Lo stesso Steve Jobs, tanti anni dopo, avrebbe pronunciato la famosa frase “Stay hungry, stay foolish!”. Bene, questi qua, quelli che a 100 anni dalla loro nascita fanno ancora sognare il mondo intero con le loro creazioni, quelli che hanno creato la Motor Valley, erano talmente “Foolish” che Steve Jobs può anche tornare nella sua west coast.

In particolar modo ce ne era uno ancor più genialmente folle degli altri. Uno così folle che decise, dopo continue rotture, di montare la frizione di un trattore su una Ferrari 250GT 2+2 e, non contento, andò dal Drake, dal Commendatore in persona, a sbandierare quanto questa fosse migliore rispetto all’originale. Uno così folle che, dopo essere stato mandato a spendere da Enzo Ferrari in persona con queste parole “Lei è capace solo di guidare trattori“, tornò a casa e, nel giro di pochi mesi, presentò la macchina che di lì a poco avrebbe dato vita al marchio che ancora oggi è l’unica vera alternativa in termini di tecnica e prestigio alle rosse di Maranello. Genio o follia?

Signori, oggi si parla di uno degli imprenditori più lungimiranti e meravigliosamente folli di sempre. A 100 anni dalla sua nascita, parliamo di Ferruccio Lamborghini.

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Abbiamo iniziato parlando di musei perché, se è vero che a Sant’Agata bolognese troviamo, accanto alla fabbrica delle automobili, il museo dedicato alle auto del toro, è anche vero che a Funo di Argelato, alle porte di Bologna, un ex stabilimento Lamborghini è stato ristrutturato per ospitare un museo che ripercorre la vita e le creazioni di Ferruccio Lamborghini come uomo e costruttore, e che porta il suo stesso nome: il Museo Ferruccio Lamborghini.

All’interno di questo “santuario” è possibile ripercorrere, attraverso motori, trattori, auto, elicotteri e perfino motoscafi, il genio meccanico ed imprenditoriale di un uomo che rappresenta la passione per i motori e per la meccanica di una regione intera. Noi di Rollingsteel abbiamo avuto l’onore di fare un tour all’interno del museo da soli e questo è quel che abbiamo trovato, questa è la storia di un uomo, questa è la storia di una terra che con i suoi motori e la sua cultura meccanica continua a dar filo da torcere al mondo intero, in pista e non.

Questa è la storia di un uomo di come non se ne fanno più. Genuino, appassionato di meccanica, tecnico e con i piedi per terra.

Questa è un omaggio ad una terra, l’Emilia Romagna, che grazie ai suoi tecnici, ai suoi imprenditori ed a tutti i suoi operai ha creato, nel giro di vent’anni, le migliori aziende automobilistiche e motociclistiche del mondo.

Il Museo Ferruccio Lamborghini.

Già all’entrata si capisce che questo è un posto per appassionati di motori, di quelli veri. Questo tavolo, creato su disegno di Tonino Lamborghini (figlio di Ferruccio e fondatore del museo, nonché imprenditore nel campo degli accessori di lusso), è una vera e propria dichiarazione d’amore nei confronti dei motori.

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Una volta superato l’ingresso ci si trova poi davanti ad una serie di trattori. Non è un caso: la carriera di Lamborghini come imprenditore trova le sue fondamenta proprio nei mezzi agricoli. Senza i trattori non sarebbe, probabilmente, mai esistita la Lamborghini Automobili. Ed in pole position, appena dentro, si trova il piccolo Carioca, il primo, primissimo trattore prodotto da Ferruccio nel 1948.

Forse non tutti sanno che questo trattore venne costruito facendo uso di materiale bellico di vario genere, residuato della seconda guerra mondiale. All’epoca in Romagna era infatti presente un ARAR (Azienda Recupero Alienazione Residuati) ed è proprio lì che Ferrucio trovò una vecchia camionetta inglese Morris con il motore praticamente nuovo. Tornato a casa con tutto quel che serviva, si racconta che Ferruccio tracciò il disegno del trattore per terra, con un bastone.  Iniziò a lavorare il giorno dopo con i soci dell’epoca e, dopo innumerevoli trasformazioni (tra cui la conversione del motore a benzina in motore a petrolio agricolo) il piccolo Carioca venne ultimato.

Sono storie esaltanti di genio e sregolatezza: in una sola immagine la nascita e l’apice di una storia. 1948: il Carioca, 1966: la Miura.

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All’inizio dell’avventura imprenditoriale di Ferruccio il marchio del toro come lo conosciamo ora non esisteva ancora. All’epoca i trattori e, perché no, anche qualche piccola vettura sport, portavano il marchio FLC, Ferruccio Lamborghini Cento (città natale del buon Ferruccio). Da notare che questa piccola barchetta rossa venne costruita da Ferruccio per partecipare all’edizione del 1948 della mille miglia!

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Fra i vari mezzi agricoli presenti nel museo, ce ne sono anche alcuni speciali. Un esempio è il primo trattore custom del mondo, costruito su base Lamborghini 2R, un esplicito omaggio per il fondatore del marchio. E’ una delle cose con le ruote più belle che abbiamo mai visto. Vedere lo stile “cafe racer” applicato con tale successo ad un trattore è semplicemente incredibile…vorrei andare a farci un aperitivo, datemene uno, subito! L’opera (risponde all’appello con il nome di Lamborghini 100XCENTO) è stata realizzata da Adler Capelli, fan di Ferruccio, e prestata temporaneamente al museo.
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Guardate i sei scarichi tagliati a fetta di salame: sembra il motore di un aeroplano da combattimento della seconda guerra mondiale, è splendido!

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Con i suoi trattori Lamborghini aveva fondato un vero e proprio impero…grazie al quale poteva permettersi tutta una serie di auto, sia sportive che di lusso, non proprio per tutti. All’epoca, parliamo degli anni ’60, Ferrari e le sue rosse erano già un punto di riferimento nel settore e anche il buon Ferruccio era rimasto affascinato dalle bellezze di Maranello. Possedeva una 250 Coupè bianca ed una Maserati 3500GT (bianca, poi sostituita con una nera). Di loro, delle sue bellezze, Ferruccio diceva “Una è rumorosa, l’altra frena male e se sono con una ‘ragassa’, ci viene giù il rimmel” ma fra tutte ce ne era una che, più delle altre, gli procurò qualche grattacapo.

In famiglia era infatti presente un bellissima Ferrari 250 GTE 2+2 che Ferruccio aveva comprato per la moglie (!). C’è chi dice che il problema fosse il guidatore, chi la macchina, o chi azzarda che sia tutta una leggenda, fatto sta che fu proprio la frizione di questa Ferrari, problematica e costosa, a spingere Ferruccio a sostituirla con quella di uno dei suoi trattori, farlo sapere a Ferrari e dar via a quella che, fin dall’inizio, fu una vera e propria sfida al colosso modenese.

Qui la scocca del cavallino problematico, si dice zoppo, esposta all’interno del museo.

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Passarono pochi mesi dal “litigio” con Ferrari, quanti ne bastarono per assoldare quelli che sarebbero passati alla storia come alcuni fra i migliori tecnici dell’autoveicolo di sempre – tra cui spiccano Giotto Bizzarrini, Gian Paolo Dallara e Paolo Stanzani – e presentare questa: la 350GT (in realtà preceduta da un prototipo, la 350GTV, troppo avveniristica per il tempo) sul cui cofano fece capolino, per la prima volta, il simbolo del toro, segno zodiacale e, perché no, simbolo distintivo del temperamento e del carattere di Ferruccio. Correva l’anno 1963, e nasceva il marchio Lamborghini Automobili.

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La 350GT, seguita dalla 400GT (stessa auto ma con il motore dalla cilindrata aumentata a 4 litri), fu presentata a Ginevra nel 1964 ed è in tutto e per tutto quello che voleva Ferruccio: una grossa gran turismo capace di far concorrenza a quanto prodotto a Maranello e che fosse, a detta dello stesso costruttore, “un’automobile perfetta anche se non particolarmente rivoluzionaria”. L’auto, dotata di motore V12 con doppio albero a camme in testa (una novità per l’epoca), era capace di 270CV che, accoppiati ad un cambio ZF a 5 rapporti e tenuta a bada da 4 freni a disco, era capace di prestazioni di tutto rispetto con una velocità massima di 250km/h.

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 Dopo aver svelato al mondo la sua primogenita, ne iniziò la produzione in serie…e all’inizio non fu affatto facile. Dopo la metà del 1964 si contavano solamente 13 vetture vendute al prezzo di 5.500.000 lire. Da segnalare, inoltre, il modo tutto personale che aveva Ferruccio per pubblicizzare la sua auto; sul libro, scritto dal figlio Tonino “Ferruccio Lamborghini, la storia ufficiale” (Minerva Edizioni, Aprile 2016) troviamo scritto:

“Dopo pranzo, solitamente era il momento in cui i piloti della Ferrari e della Maserati portavano i loro potenziali acquirenti al casello dell’autostrada di Modena per provare le auto. Ferruccio si appostava con la sua granturismo in prossimità dell’entrata dell’autostrada e appena li vedeva sopraggiungere, faceva partire il suo pilota, ordinandogli di fare l’elastico: prima li superavano poi si facevano superare. A quel punto i clienti facevano fermare l’auto, Ferruccio arrivava, si accostava e li assaliva letteralmente allungandogli il suo biglietto da visita, invitandoli a Sant’Agata e decantando i pregi della sua vettura.”

Genio.

Nonostante un avvio in salita, Lamborghini non si diede per vinto. Il suo lavoro e quello degli uomini della sua azienda riuscì a portare la Lamborghini automobili, con la 350GT prima e con la sua evoluzione 400GT dopo, ai vertici dei costruttori di granturismo italiani. Proprio a far da seguito a questo successo, in linea con l’idea che “alla Lamborghini non si sarebbero costruite auto da corsa ma auto con cui andare forte e allo stesso tempo a teatro” nel 1965 venne presentato al salone dell’automobile di Torino il telaio che sarebbe diventato, nel giro di un anno, la macchina forse più bella di tutti i tempi.

Questo telaio, progettato da Dallara, è quanto di più innovativo esista. E’ costituito da una moderna monoscocca in lamiera di acciaio, con un numero limitatissimo di parti stampate per abbassare il costo di produzione. Per quanto riguarda l’impostazione meccanica, citiamo direttamente l’ing. Dallara: “L’idea della Miura nacque osservando il progetto della Ford GT40, un auto da corsa estremamente affascinante. […] l’obiettivo era riuscire ad installare il motore a 12 cilindri posteriormente in posizione trasversale, soluzione – quest’ultima – assolutamente innovativa.”

Qui sotto alcune foto del famoso telaio direttamente dal libro “Ferruccio Lamborghini – La storia Ufficiale” (Edizioni Minerva – Aprile 2016) scritto da Tonino.

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Il disegno della vettura venne affidato alla carrozzeria di Nuccio Bertone ed alla matita di Marcello Gandini, non ancora trentenne. Non richiese nemmeno troppo tempo, si dice che da un telaio del genere era impossibile tirare fuori qualcosa di brutto; comunque il risultato lasciò tutti a bocca aperta. Il disegno arrivò da Torino (sede della Bertone) nelle mani di Ferruccio durante il periodo natalizio. Dallara racconta che lo stesso Lamborghini gli telefonò dicendo: “E’ qualcosa di grosso, vieni subito a Sant’Agata, me ne frego del natale!”. 

Il capolavoro era nato.

La vettura venne ultimata in tempo per essere portata al salone dell’auto di Ginevra del 1966 e fu da subito leggenda. La Miura fu l’auto più ammirata in assoluto, Lamborghini aveva veramente superato il competitor di Maranello.

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Davanti a cotanta bellezza ed eleganza a volte ci si dimentica dei numeri: motore V12, posteriore trasversale, 3929cc, 350CV a 7000giri/min per una velocità massima di 300km/h. Costava, nel ’66, 7.700.000 lire (l’equivalente di circa 80 mila euro odierni) ed il tempo di consegna era non inferiore ai 270 giorni.

La Miura (così battezzata in onore dell’allevatore di tori da combattimento Don Eduardo Miura Fernandez) grazie alla sua fama è anche la macchina degli aneddoti. Poco dopo la presentazione la macchina venne portata al gran premio di F1 di Monaco e la sera prima della gara Ferruccio la fece parcheggiare davanti all’Hotel de Paris, dove per ore la gente si fermò ad ammirarla, toccarla e studiarla. Il giorno dopo la stessa auto venne utilizzata come pace car per l’apertura del GP facendo alcuni giri del circuito. Alla fine la volle provare anche il principe Ranieri di Monaco. Il suo fascino era irresistibile.

Lo stesso Ferruccio, che la definì “L’italiana più sinuosa dopo Sofia Loren“, racconta:

Un giorno ero a Bologna in Via Indipendenza e vidi una bella signora. Subito mi avvicinai per chiederle se potevo offrirle un aperitivo e poi accompagnarla un po’ in giro con la Miura. Mi rispose: lei è matto. Io non voglio finire in galera per colpa sua perché lei, sicuramente, la Miura l’ha rubata, la riporti dove l’ha presa e poi io verrò con lei per l’aperitivo”

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Insomma, con la Miura la Lamborghini era diventata quello che noi tutti oggi conosciamo. Da avventura imprenditoriale, nata come una sfida al colosso Ferrari, ai vertici del mondo dell’automobilismo di lusso nel giro di pochi anni. Se all’inizio avevamo definito Ferruccio affettuosamente “matto”, dobbiamo ricrederci: questo è genio imprenditoriale allo stato puro. Grazie alla sua autenticità, al suo carattere esplosivo, alla sua passione per la meccanica e – cosa importantissima – all’essersi aggiudicato alcuni dei migliori tecnici di cui si abbia memoria ha dato al mondo tutto questo!

Ma la Miura fu solo l’inizio. Consolidata la sua azienda automobilistica, Ferruccio si lanciò in diverse attività collaterali con l’obiettivo di far conoscere i suoi motori e le sue auto anche al di fuori del mondo strettamente automobilistico. Fu quindi così che dotò il suo motoscafo Riva Acquarama di due motori V12 di tipo “Espada”, col quale ottenne tantissimi successi nelle gare d’altura.

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Fotografia estratta dal libro “Ferruccio Lamborghini. La storia ufficiale” (Tonino Lamborghini, Minerva Edizioni, Aprile 2016).

E’ o non è il vano motore più sexy di sempre? Immaginate il rombo di due possenti V12 a pieni giri che sfreccia sulla superficie di un lago, rimbombando sulle pareti delle montagne circostanti. E’ un mix meraviglioso di stile, meccanica, tecnica e pura passione motoristica. L’idea di piazzare due motori di razza su un’imbarcazione ha poi avuto un seguito ancora migliore: il successo di questa trovata ha infatti portato alla conversione di alcuni motori Lamborghini per venire utilizzati nelle gare di motoscafi offshore.

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All’interno del museo è possibile trovare, incastrato tra i muri e le supercar di Ferruccio, il motoscafo offshore classe 1 Fast 45 Diablo, 11 volte campione del mondo nella sua categoria e spinto da due poderosi motori V12, 8,2litri di cilindrata per un totale di circa 940CV a 7600giri/min. Questo motoscafo, spinto da DUE di questi mostri meccanici ha letteralmente dominato il campionato dedicato ai motoscafi di classe 1 fin dalla sua prima apparizione.

La poliedricità di Lamborghini era, insomma, eccezionale: pochi altri imprenditori, forse nessuno, è mai riuscito a fare tante cose, tutte assieme, tutto con lo stesso successo ed estro.

Siccome i motoscafi non bastavano, Ferruccio ci provò infatti anche con gli elicotteri, che da sempre lo avevano appassionato e interessato. E’ possibile trovare almeno cinque prototipi di elicotteri (di cui uno proprio al museo protagonista di questo servizio) costruiti dallo stesso Ferruccio. Purtroppo, si dice per motivi politico-burocratici, non riuscì mai a metterli in produzione e a venderli.

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A Funo, fra auto, trattori, imbarcazioni e velivoli ce n’è davvero per tutti i gusti. Ma sono le auto, come è lecito aspettarsi, le protagoniste indiscusse. Dopo il successo enorme della Miura, infatti, vennero prodotte una lunga serie di auto dal design incredibile. Le linee di produzione iniziarono a forgiare lEspada, poderosa Gt a 4 posti, spinta dal classico V12, una vettura incredibilmente confortevole e al contempo molto, ma molto veloce.

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 La Espada ottenne fin da subito un grande successo; veniva prodotta in diverse versioni tra cui quella denominata VIP dotata di serie di frigobar e televisore Brionvega, installato tra i sedili anteriori per meglio intrattenere eventuali passeggeri sul sedile posteriore. Come se il V12 non bastasse.

Purtroppo però la vita della Lamborghini Automobili iniziò ad avere qualche problema nel 1969 con quello che viene ricordato come autunno caldo. Scoppiò infatti in azienda – ed in tutto il paese – una vera e propria tempesta sindacale. Tempesta che era solo il preludio di quello che venne nei primi anni ’70.

Questi subbugli ruppero la coesione ed il dialogo tra Ferruccio e gli operai che lavoravano con lui. Si accumularono le ore di sciopero e Ferruccio fece fatica a cogliere l’aspetto politico delle rivendicazioni. Per fortuna la burrasca si placò e, perso Gian Paolo Dallara (troppo attratto dal mondo delle corse per poter continuare a rinunciarvi), il suo posto venne preso dall’ing. Stanzani, con il quale nel 1971 venne presentata una delle auto dalle forme più incantevoli di sempre:

il 1971 fu l’anno della Countach.

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La Countach (nome derivante da una espressione dialettale torinese, che esprime stupore, meraviglia – un po’ il soccia che roba! dei bolognesi) è forse una delle auto più emblematiche e belle della storia dell’automobile. La forma a cuneo, velocissima anche da ferma, trasmette un’idea di dinamismo fuori da ogni limite. E’ forse la prima automobile della storia ad avere le forme da supercar; non riesce difficile capire perché questa è da sempre la candidata ideale per finire sui poster nelle camerette dei ragazzini.

Presentata sotto forma di prototipo nel 1971, la macchina è uscita dalla matita del già collaudato Marcello Gandini ed è rimasta poi in produzione fino al 1990. Auto dal design estremo, la Countach era folle sotto tutti i punti di vista. Alta appena 1,06 metri (se la stanga del casello autostradale non dovesse alzarsi non dovrebbe essere quindi un gran problema) è stata la prima auto di serie a portare in dote le gloriose portiere a forbice che sarebbero diventate uno dei simboli della Lamborghini stessa.

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Spinta dallo stesso V12 della Miura (però montato in posizione longitudinale) la macchina era una vera supercar, tanto nelle prestazioni quanto nello stile. Dotata di 375 – 385CV nella sua prima versione (la LP400 – Longitudinale  Posteriore, 4 litri di cilindrata)  era capace di ben 315km/h. Non male per essere dotata, in questa prima versione, di cerchioni da solo 14″.

Questa vettura, grazie alle sue prestazioni ed al suo stile inimitabile, riuscì quindi a bissare il successo della Miura, nonostante -non dimentichiamolo!- la grossa crisi che colpi l’azienda Bolognese proprio in quegli anni; se nel ’69 la crisi venne sfiorata, nel ’72 invece arrivò con forza a seguito della crisi petrolifera che colpì il paese intero che rimase come paralizzato. E’ triste ma vero: Ferruccio, per cercare di risollevare la difficile situazioni in cui versava la sua storica azienda di Trattori (a causa – come detto – della crisi petrolifera ma anche di un grossissimo accordo commerciale saltato), dovette cedere la Automobili Lamborghini ad un imprenditore svizzero.

In questi primi anni di difficoltà (che in realtà ne preannunciavano di ben peggiori) venne proposta alla Lamborghini la produzione di un veicolo per l’esercito americano. La risposta della casa di Sant’Agata Bolognese fu il Cheetah, ma purtroppo la commessa non venne aggiudicata a favore di quello che sarebbe poi diventato l’Hummer. Il progetto del Cheetah non venne però accantonato e divenne il possente LM002, enorme fuoristrada dal peso di oltre 2600kg e spinto dal V12 della Countach.

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Questo primo cambio di gestione, con tutti i problemi annessi (problemi che portarono l’azienda sull’orlo della bancarotta) fu seguito da altri e si andarono quindi a creare le prime vere difficoltà economiche per l’azienda che, fra varie vicissitudini, fini in mano al colosso americano Chrysler.

Fu proprio durante la gestione americana che si decise di dare una degna erede alla gloriosa Countach (così riuscita che non si è nemmeno mai accorta delle varie crisi della sua casa madre) e fu quindi così che nel 1990 iniziò la produzione della Diablo, anch’essa uscita dalla magica matita di Gandini.

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La storia all’interno del museo si ferma proprio alla Diablo, ultima macchina prodotta con il nostro Ferruccio ancora in vita.

Dopo aver ceduto la sua meraviglia, la sua fabbrica di sogni, Ferruccio decise di ritirasi in uno spazio per lui ideale, lontano dai tumulti del mondo industriale, per ritrovare il contatto con la terra e con un mondo a lui più vicino, il genuino mondo della vita di campagna.

Ferruccio si ritirò quindi in Umbria a produrre vino (denominato sangue di Miura) ma rimase comunque, credo, con la voglia di tornare in possesso della sua azienda che, senza di lui al comando, era una barca alla deriva di scelte industriali spesso discutibili. Nel 1980 ebbe infatti l’occasione di tornare in suo possesso quando la Lamborghini Automobili venne messa all’asta dal tribunale di Bologna. Ferruccio fece la sua offerta, minore di quella di Patrick Mimran, altro offerente. Nonostante l’offerta inferiore Ferruccio ripeteva “Il giudice non può darla a lui, non sa nulla di questa azienda“.

Si sbagliava. Quello era una mondo a cui Ferruccio non apparteneva più. Non era più il tempo di geniali pionieri.

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Anche quest’ultima foto è presente all’interno del libro “Ferruccio Lamborghini. La storia ufficiale” di Tonino Lamborghini (Minerva Edizioni – Aprile 2016)

Concludendo, il museo Ferruccio Lamborghini non è solamente un museo dedicato ad un uomo che ha fatto la storia dell’automobilismo. E’ il museo di un uomo che rappresenta in toto una terra – L’Emilia – che è la culla della migliore meccanica e cultura tecnica forse del mondo. In un’area compresa tra piccole città come Imola, Bologna, Ferrara e Modena sono fiorite le migliori aziende meccaniche e tecniche del mondo, non solo in ambito automobilistico ma anche in ambiti meno noti come quello delle macchine automatiche e del packaging. Non ci credete? Tornando da Funo fermatevi a fare un giro al museo del Patrimonio industriale Bolognese. Ai più appassionati, specialmente di moto, potrebbe scendere una lacrimuccia nel vedere cosa ci siamo persi per strada e le decine di aziende produttrici di motori e moto che negli anni hanno sviluppato prodotti innovativi e spesso audaci ma che hanno messo le ruote ad un paese intero e che ultimamente, complice la globalizzazione (specialmente in termini di stile più che in termini economici) e le crisi che ci hanno colpito sono letteralmente sparite. Crediamo che musei come questi, oltre ad essere posti pieni di begli oggetti, siano posti un cui riposa un passato, nostro più che mai, da non dimenticare, specialmente in tempi come questi dove gli istituti tecnici sono vuoti e la cultura tecnica sembra essere diventata – non ne capiamo il motivo – una cultura di serie B.

Ferruccio, 100 volte grazie!

Articolo del 21 Giugno 2016 / a cura di Il direttore

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