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Storia dell’acciaio il re dei metalli pt.1, dal ferro battuto ad Hattori Hanzo

Il Direttore in versione Iron Man e il ferro

“Ma nel loro furore gli dei si dimenticarono del segreto dell’acciaio e lo lasciarono sul campo di battaglia, e noi che lo trovammo non siamo che uomini. Né dei, né giganti. Solo uomini. E il segreto dell’acciaio ha sempre portato con sé un mistero; devi impararne il valore Conan, devi impararne la disciplina. Perché di nessuno, di nessuno al mondo ti puoi fidare, né uomini, né donne, né bestie. Di questo solo ti puoi fidare.”
– Conan il barbaro –

Questa storia inizia circa 15 anni fa quando, nel fiore della mia adolescenza, con ancora tutto il tempo libero del mondo e la sana convinzione che avrei fatto della mia vita ciò che volevo (ovvero diventare uno a scelta fra Maverick o Cole Trickle), un giorno feci l’incontro con alcuni termini che avrebbero segnato per sempre i miei pomeriggi di futuro perito industriale del prestigioso Istituto Aldini di Bologna.

Il giorno in cui tutto cambiò era un giorno come tanti altri, uno di quelli costellati da infiniti viaggi in autobus nel freddo della mattina, da episodi di bullismo sparsi qua e là, di squilli al telefonino alla tipa che mi piaceva (e che, spoiler, non c’è mai stata) e di fantasticherie su quale marmitta avrei desiderato montare sul mio Zip. Poi, all’improvviso arrivarono loro, in fila indiana, pronti a menare scappellotti a destra e a manca: austenite, ledeburite, cementite, ferrite e, già che ci siamo, ci metto anche la bainite e la ghisa sferoidale.

Fu lì, mentre la mia vita sbocciava, in un momento imprecisato del 2003, che imparai che il ferro non è solo ferro, che la ghisa non è solo ghisa e, cosa più affascinante di tutto, che l’acciaio non è solo acciaio. Anzi, quel giorno, fra una bestemmia e l’altra nel vano tentativo di capire e solo dopo ricordare il famigerato diagramma Ferro-Carbonio (che poi vi spiegherò), imparai ad amare l’acciaio, uno dei materiali più affascinanti, importanti e utili che l’uomo abbia mai creato, probabilmente uno dei più formidabili motori di quella che possiamo chiamare evoluzione e alla base della seconda cosa più bella esistente al mondo, la meccanica.

In una rara immagine di repertorio, la prima cosa più bella del mondo

La mia passione per l’acciaio è tale che dopo l’università (chimica dei materiali) mi son fatto pure due anni nell’ufficio vendite di un noto distributore di acciai di Bologna, per il quale vendevo il prestigioso acciaio della Uddeholm, prodotto in Svezia ed uno dei migliori al mondo. Poi dopo due anni di Stavax, Calmax e un po’ di Nimax mi sono break le balls ho deciso di cambiare vita e quindi eccoci qui, direi che bene o male se non siete arrivati su RollingSteel oggi per la prima volta la storia la conoscete. In the doubt beccatevi questa bella (dicono) intervista in cui racconto un po’ la mia tribolata storia di rivincita personale.

Comunque, dopo tanti anni di studio e di esperienza con l’acciaio – seguivo anche diversi clienti suggerendo tipologie di acciai e trattamenti termici a seconda dell’uso finale – ho deciso di inaugurare una nuova serie di articoli qui sul vostro sito preferito, per raccontarvi la storia e le caratteristiche di uno dei materiali più fighi del mondo, secondo solo al Widia, perché niente è più cazzuto del Widia.

I chiodi delle gomme chiodate usate nei rally sono di tostissimo Widia, anche conosciuto con il nome più sexy del mondo: METALLO DURO, da scrivere così, con il caps lock schiantato a fondo corsa

Comunque, matricole di ingegneria stracciamaron siete avvisati, l’argomento – che non è dei più immediati e alla portata di tutti – verrà trattato in maniera divulgativa e leggera, in modo che anche vostra nonna, se dovesse leggere questo articolo, possa capirci qualcosa e gasarsi.

Quindi, facciamo così, rimettiamoci lo zaino in spalla, prepariamo il Topexan, infiliamo il tubetto di gel sotto la sella dello scooter e torniamo dietro i banchi delle superiori, che oggi vi raccontiamo la magia e anche un po’ la storia – senza troppe rotture di balle, prometto – del re dei metalli, l’acciaio.

Intanto, per quella che sperò sarà una piacevole digressione dal classico menu di RollinSteel partiamo dal dio supremo nostro signore, il FERRO.

Sì perché, ferro e acciaio sono quasi la stessa cosa, in quanto l’acciaio contiene una concentrazione di ferro che può variare dal 97,94% fino a più del 99% mentre il resto è carbonio, un “additivo” che fa una differenza enorme nelle proprietà del metallo (per ora accontentiamoci del solo carbonio, alla faccenda degli elementi di alligazione ci arriviamo dopo).

Quindi, importante, in primissima approssimazione fermate questo concetto: le diverse qualità di acciaio (e ce ne sono tante) si giocano in primis sulla percentuale di carbonio presente nella lega, cosa che può fare una differenza enorme per quanto riguarda le proprietà meccaniche del materiale finale.

Aumentando la percentuale di carbonio guadagniamo in durezza ma il metallo diventa più fragile (quindi perdiamo resilienza), aumenta il limite di snervamento del materiale (migliora quindi la resistenza alla trazione) e migliora la resistenza all’ossidazione. Viceversa peggiorano la saldabilità, la plasticità e la duttilità (perché il materiale è più fragile) e, ovvio, la resistenza alla corrosione

Se fin qui è chiaro, a questo punto può venir spontanea una domanda: “come ce lo metto il carbonio nel ferro?” Semplice, perché quest’ultimo (il ferro) inizia ad assorbire spontaneamente carbonio quando viene portato a temperature molto alte.

Proprio così nacque il primissimo tipo di acciaio: pare infatti che intorno al 1800 a.C. la popolazione dei Chalybes, che viveva lungo le coste del Mar Nero e che era stufa di prendere legnate (o bronzate) da tutti a causa della scrausezza delle armi in bronzo che all’epoca erano lo standard, si inventò un modo tutto particolare per lavorare il ferro e che, involontariamente, portò alla prima forma di acciaio. A quanto pare, fu proprio dei nostri cari Chalybes l’idea di mettere del minerale di ferro all’interno di particolari forni in pietra sigillati e scaldati a manetta utilizzando legna e, ta-dan, carbone. Dopo alcune ore, abbattendo il forno (con cosa visto che era di pietra e i martelli di ferro ancora non esistevano?) veniva recuperato un blocco di spugna di ferro, chiamato anche blumo, nient’altro che il ferro che prima era inglobato nelle rocce e che dopo essersi sciolto e poi solidificato ora si era raggruppato tutto in un unico blocco. Preso fuori dal forno, questo blumo veniva battuto (con cosa? Appoggiati su cosa?) per eliminare le scorie e per dargli la forma finale voluta, un coltello, una spada o un bel cancellino con i suoi ghirigori sulle punte. Nasceva così quello che oggi viene comunemente chiamato ferro battuto, forse la prima vera tipologia di acciaio della storia.

Ora, mentre i nostri Chalybes si alleano con gli Ittiti formando uno degli eserciti più forti della storia proprio grazie alla resistenza delle loro armi e dei loro carretti con le ruote di ferro, scendiamo un po’ più nei dettagli del ferro battuto, che se all’epoca cambiò per sempre la storia dell’uomo, oggi è un materiale che si fa un po’ ridere dietro ma che, nell’ottica di questo articolo, ci permette di comprendere un po’ meglio cosa è l’acciaio.

Il ferro battuto, con la sua percentuale di carbonio che si assesta intorno allo 0,5% rientra nella categoria degli acciai a basso tenore di carbonio – anche detti acciai dolci – ed è caratterizzato da una buona duttilità (ovvero si lascia lavorare/modellare per deformazione plastica) e malleabilità, ha una buona resistenza meccanica sia a trazione che compressione e, proprio perché relativamente morbido, è piuttosto resiliente.

NOTA AL VOLO #1: esempio per capire il concetto di resilienza che fondamentalmente è il contrario di fragilità: il vetro NON è resiliente, il pongo è resiliente. Essere resilienti significa saper incassare i colpi senza rompersi, da qui la moda di certe frasi che spesso mi tocca mio malgrado di leggere sui social e sui profili di certa gente. #resilienza

Diversamente, proprio perché povero in carbonio, il ferro battuto è morbido e non temprabile (non si dice tempErabile, impazzisco quando sento dire vetro temperato), ovvero non può subire trattamenti termici finalizzati ad aumentarne la durezza modificando la struttura cristallina del metallo. Insomma, unammerd niente di che, ma se gli altri avevano le spade fatte con gli stuzzicadenti, anche avere in mano un pezzo di ringhiera andava benissimo.

Ora per procedere con il nostro articolo dobbiamo saltare avanti nel tempo di qualche secolo per assistere alla nascita di un altro tipo di acciaio, la ghisa #nopainnogain. Non ci sono fonti dirette, ma pare che questo nuovo materiale apparve in Cina nel 500 a.C. quando a qualcuno venne l’idea di utilizzare dei forni più alti del solito per poter bruciare una quantità maggiore di minerale di ferro.

Bene, se nei forni dei Chalybes si riusciva di sghetto ad arrivare attorno ai 750°C (temperatura che corrisponde ad un assorbimento del carbonio da parte del ferro di circa lo 0,7%-0,8%), nei forni cinesi – di migliore costruzione – era possibile arrivare a temperature molto più elevate, comprese fra i 900°C e i 1200°C, alle quali il ferro assorbe carbonio a manetta, raggiungendo così percentuali di circa il 4,3%. Il materiale fuso veniva poi incanalato dalla base del forno dentro degli stampi (di nuovo, fatti di che materiale?) per assumere così la forma finale desiderata, una statuetta o un coltello che fosse.

NOTA AL VOLO #2: La capacità di un materiale di disciogliersi in un altro è in funzione della temperatura. Per questo è molto più facile sciogliere un cucchiaio di sale in un bicchiere di acqua calda che in un bicchiere di acqua fredda. Provare per credere.

Questo nuovo materiale era molto più duro rispetto all’acciaio dei Chalybes ma anche molto più fragile. Incontriamo così la Ghisa (dal tedesco Gusseisen, letteralmente “ferro colato”), una metallo composto da ferro molto ricco in carbonio e dalle proprietà meccaniche un po’ sfigate.

Quindi, giunti fin qui, riassumiamo: da un lato abbiamo il ferro battuto, un tipo di acciaio molto povero in carbonio, caratterizzato da modeste proprietà meccaniche ma che si presta bene alle lavorazioni e a essere modellato alla forma voluta, dall’altro la ghisa, un tipo di acciaio invece molto ricco in carbonio che va molto bene per ottenere manufatti particolarmente duri e resistenti ma difficilmente lavorabile per deformazione plastica.

Effetti della percentuale di carbonio sulle proprietà meccaniche dell’acciaio: all’aumentare del carbonio aumentano sì la durezza e la resistenza del materiale ma crolla in maniera vertiginosa la sua duttilità. Come potete vedere dal grafico, la ghisa cinese è praticamente a destra dalla parte di là della strada

In tutto questo discorso viene fuori la grande verità sulla produzione dell’acciaio, ovvero il poter controllare in maniera accurata e precisa la percentuale di carbonio presente all’interno del ferro perché è proprio lì che ci si gioca la partita, una partita che impegnò l’uomo per diverse migliaia di anni e che in questa puntata del tutto particolare di “giochi senza frontiere” vide passare per prima sotto la linea del traguardo l’India. Pare infatti che intorno al 400 a.C. alcuni indiani infuocati di metallurgia, a forza di provarci e riprovarci, trovarono un metodo di fusione del ferro che permetteva di legare a quest’ultimo la quantità perfetta di carbonio grazie ad una delle invenzioni più importanti di sempre, il crogiolo.

Non sto piangendo, mi è solo entrato il Portogallo in un occhio

Il crogiolo altro non è che un piccolo contenitore di argilla dentro cui venivano fatte fondere piccole barre di ferro battuto e pezzi di carbone. Dopo aver sigillato il crogiolo e averlo inserito all’interno di una fornace, questi figli dell’acciaio ante-litteram iniziavano ad alzare la temperatura, con il ferro che iniziava naturalmente ad assorbire carbonio. Raggiunta una percentuale di circa il 2%, questo ferro – esattamente come vi dicevo sopra – iniziava a trasformarsi in ghisa MA, siccome in una lega ferro-carbonio la temperatura di fusione è legata alla percentuale di carbonio e minore è quest’ultimo maggiore è la temperatura di fusione, questa ghisa che man mano si formava iniziava a fondere (la ghisa infatti fonde ad una temperatura circa 200°C inferiore rispetto al ferro battuto) separandosi dal ferro più povero in carbonio. A questo punto i nostri indiani spegnevano la fornace, lasciando che il ferro sguazzasse nella ghisa fusa per parecchie ore assorbendo carbonio fino ad una percentuale di circa l’1,5%.

NOTA AL VOLO #3: Oggi, che le conoscenze metallurgiche si sono sviluppate per bene, viene considerata ghisa una lega ferro carbonio in cui la percentuale di quest’ultimo è maggiore del 2,06%. Pensate i cinesi che razza di ghisa avevano creato, praticamente era pietra.

Vista schematica di un ̶p̶e̶n̶e̶ crogiolo del tipo utilizzato all’epoca e all’interno del quale l’acciaio si depositava sotto alla ghisa fusa e alle scorie della trasformazione (slag)

Denominato “acciaio Wootz” (o anche acciaio al crogiolo), il prodotto dei mastri siderurgici indiani – che venne man mano perfezionato utilizzando anche fonti di carbonio alternative come il bambù – veniva già all’epoca esportato in tutto il mondo fino a raggiungere l’antica Siria, dove la tecnica di produzione dell’acciaio Wootz venne ulteriormente perfezionata e migliorata dando origine ai leggendari acciai di Damasco, da cui all’epoca venivano ottenute armi capaci di rendere quasi invincibili i guerrieri che le usavano, principalmente grazie alle incredibili doti di resistenza e flessibilità tipiche di questo acciaio.

Non esistono fonti dirette ma pare che la tecnica adottata a Damasco permettesse di arricchire in carbonio solo la lama delle spade, lasciando invece più povera – e quindi flessibile e malleabile – il cuore delle stesse, ottenendo così armi affilate ma anche resistenti e flessibili (oggi una tecnica simile si adotta nel trattamento termico di carbocementazione, il cui re è il celebre 18NiCrMo5, da leggersi così, diciottonichelcromomolibdenocinque, ideale per gli alberi a camme). Non solo, questo particolare tipo di acciaio (quello di damasco) era anche caratterizzato da un curioso motivo superficiale che ricorda lo scorrere dell’acqua (o del sangue) – tale da dargli il nome di acciaio damascato – che era possibile ottenere nel processo di forgiatura e causato dalla presenza all’interno della struttura del metallo di cementite (carburo di ferro), dovuta al lentissimo raffreddamento all’interno della fornace spenta.

Finitura superficiale della lama di un pugnale in acciaio damascato, figata totale

Quindi, dopo esser partiti dal ferro battuto e dalla ghisa, siamo arrivati ad un acciaio molto più “vero” e nobile, con una percentuale di carbonio di circa l’1,4% e una serie di caratteristiche meccaniche notevoli, fra cui elevati valori di duttilità, resilienza e durezza superficiale, oltre ad una caratteristica diventata quasi leggendaria, la superplasticità, ovvero la capacità di questo materiale di sopportare senza rompersi – ad alte temperature – allungamenti di diversi ordini di grandezza maggiori rispetto a quanto possibile con altri tipi di acciai, il che consente lavorazioni plastiche molto più spinte fino ad ottenere oggetti di forma anche molto complessa.

Copertura di una APU destinata, mi verrebbe da dire, ad un Boeing 737. A sinistra il componente utilizzando metodologie standard, a destra lo stesso pezzo – unico – prodotto in titanio (che è un nobile baronetto dei metalli ma non il re. Il re è solo uno, l’acciaio) e utilizzando la formatura superplastica

La cosa interessante di tutto questo è che l’acciaio di Wootz, divenuto poi acciaio di Damasco, dopo aver dato vita ad alcune delle armi più leggendarie della storia e ad aver contribuito all’incredibile avanzamento tecnologico e sociale di tutta l’Asia e il Medio Oriente (e probabilmente anche dell’impero romano, che importava questo acciaio dall’Est per fabbricare le sue armi e i suo carretti)… è andato completamente perduto.

Passato infatti il 1300 circa, non si hanno più notizie di oggetti creati con questa tecnica e, peggio, non sono arrivati a noi né documenti né informazioni su come produrlo. A questo contribuì anche il caos in cui si ritrovò l’Europa dopo la caduta dell’Impero romano, tale da impedire l’arrivo di questo tipo di materiali dal medio oriente e da farlo finire nel dimenticatoio. In Europa non si sarebbe più visto acciaio ad alto tenore di carbonio fino al 17esimo secolo mentre invece in Giappone, dove non c’erano i barbari e il cristianesimo a rompere le balle, metteva le radici una vera e propria cultura dedicata a questo pregiato materiale con la nascita di alcune delle spade più famose e preziose di sempre, le celebri Katane dei samurai.

Tramandate di generazione in generazione e specchio dell’anima del samurai che la possedeva, le Katane giapponesi venivano prodotte attraverso una tecnica magistrale che ha dell’incredibile e che rasenta l’arte (anzi, lo è). La forgiatura di queste lame iniziava con il fabbro che si lavava accuratamente per ripulirsi dalla presenza eventuale di ogni spirito maligno che altrimenti sarebbe potuto entrare nella lama. Dopo questo rito si iniziava con un blocco di ferro battuto (come al solito) che veniva riscaldato con del carbone incandescente finché non diventava abbastanza morbido da poter essere modellato e piegato a piacere a botte di martello. Il blocco veniva quindi ripiegato su se stesso e ad ogni piegatura il numero degli strati (ovvio) raddoppiava e, sebbene (potete provare) sia praticamente impossibile riuscire a piegare su se stesso un foglio di carta più di 7/8 volte, con un continuo lavoro di raffreddamento e riscaldamento, i fabbri giapponesi erano capaci di arrivare fino a 15 piegature che, calcolatrice alla mano, significa circa 32768 strati.

2 4 8 16 32 64 128 256 512 1024 2048 4096 8192 16384 32768

Blocchi di ferro ripiegati su se stessi nella produzione di una Katana tradizionale

Proprio in questo continuo scaldare e raffreddare il ferro battuto utilizzando carbone ardente sta il segreto di queste lame perché con questo metodo la continua esposizione del ferro al carbonio proveniente dal carbone trasformava il metallo in acciaio, con il mastro giapponese perfettamente in grado di capire quando veniva raggiunto il livello ideale di durezza e resistenza del materiale che aveva per le mani. Perché l’acciaio, quando lo batti, lui parla e ti rivela la sua anima.

Definita poi la forma finale della spada si procedeva con il trattamento termico di tempra del filo della lama (non tempEra perdio) per conferire all’acciaio una maggiore durezza in quel punto specifico e poi la stessa lama era sottoposta ad un laborioso processo di pulitura e levigatura utilizzando diversi materiali fra cui argilla, carbone di legna o polvere di ferro. Emergevano così venature e disegni incredibili che trasformavano queste temibili lame in pregiatissime opere d’arte, tanto che alcune di esse sono ancora oggi conservate in alcuni musei giapponesi come tesori nazionali.

Nel frattempo in Europa si tirava avanti come si poteva e fra pestilenze, inquisizioni e streghe cotte a puntino, per poter tornare a parlare di acciaio come si deve dovremo aspettare il 17esimo secolo quando in Inghilterra, Germania e Russia arrivarono diversi campioni del celebre acciaio di Wootz, cosa che spinse scienziati e infuocati di metallurgia dell’epoca a studiare questo materiale. Si gettarono così le basi per tutti gli esperimenti che seguirono e che nel giro di poco portarono all’acciaio come lo conosciamo oggi ma che sarà protagonista della seconda puntata di questa particolare serie di articoli.

Quindi: riassunto delle competenze acquisite in questa unità didattica articolo:

Al termine di questa prima puntata dedicata al nostro signore l’acciaio, vorremmo che vi fosse chiaro un concetto importantissimo, ovvero che il segreto alla base della produzione dell’acciaio – e di un buon acciaio – risiede nella possibilità di controllare in maniera fine e precisa la quantità di carbonio assorbita dal ferro. Successivamente, come vedremo nei prossimi moduli, acciai diversi contengono quantità di carbonio diverse e, ancora oltre, ogni tipo di acciaio è specifico per un particolare utilizzo. Così come esiste l’acciaio per molle esiste anche quello per cuscinetti, diversi fra loro non solo per la quantità di carbonio ma anche per la presenza o meno di altri elementi (silicio, cromo, vanadio), aggiunti proprio per conferire all’acciaio caratteristiche particolari a seconda dell’utilizzo finale, esattamente come vedremo nelle prossime puntate.

Puntata 2 sulla storia dell’acciaio QUI

Articolo del 21 Febbraio 2023 / a cura di Il direttore

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  • Enrico

    Sei un grande.

  • Fabio

    È un piacere leggere i tuoi articoli, bravvvvissimo

    • CHRISTIAN

      Buon giorno, come sempre leggere i vostri articoli è qualcosa di unico, belli, divertenti, non capita spesso di imparare divertenti, volevo però chiedere una cosa che non mi è chiara, l’acciaio di Damasco è ottenuto per fusione in crogiolo?

  • Giorgio

    Ho pensato a tutti i Rollingsteeler visitando (recandomi per il pellegrinaggio annuale) il museo dei motori e dei Meccanismi dell’Università di Palermo dove si trova il ben di Dio (del FERRO) di motori (https://www.museomotori.unipa.it/)… e niente… poi ho letto l’articolo sul ferro… ed è accaduto l’inevitabile. SIETE FANTASTICI!!!
    P.S. – Attendo speranzoso che qualcuno dei Profeti del FERRO passi da Palermo per un pellegrinaggio al Museo!!!

    • Ivan

      Bruno sarà contento della chiara esposizione! 🙂

  • Giuseppe

    Grande Direttore. A questo punto nella seconda parte ci starebbe bene anche una bella descrizione del perché SpaceX ha scelto proprio l’acciaio (e magari di che tipo) per la realizzazione della propria Starship. Caso più unico che raro nel campo astronautico….

  • Giorgio

    Godevolissimo come sempre. Attendo con ansia di leggere dell’acciaio per cuscinetti, il mitico 100Cr6
    Deformazione professionale visto che lavoro per SKF!

  • Carlo

    Eccellentissimo Direttore, vorrei farti presente che la scomparsa dell’ attività di fabbricazione dell’ acciaio Damasceno non deve essere attribuita ai Crociati occidentali che i sultani Mamelucchi avevano espulso dalla
    Terrasanta o come si chiamava allora in occidente Outremer nel 1291, anno della caduta dell’ ultima roccaforte Cristiana di San Giovanni d’ Acri e del conseguente trasferimento degli ordini militari nelle nuove posizioni isolane di Rodi ( Ospitalieri ) e di Cipro ( Templari ), posizioni considerate dai due ordini come basi per un futuro tentativo di riconquista dell’ intera Terrasanta, poi non effettuato causa degli eventi connessi alla distruzione dell’ Ordine Templare, avvenuta nel periodo 1307-1314 e dal disinteresse dei sovrani europei verso
    la regione Mediorientale.
    La vera causa fu dovuta all’ invasione della Siria, allora parte dell’ Impero Mamelucco, dalle armate di Tam erlano che nel Gennaio 1401 espugnò la città di Damasco, massacrando la maggior parte degli abitanti, distruggendo quasi completamente la città, imponendo ai cittadini superstiti il pagamento di un riscatto di un milione di Dinari in Oro ed ordinando la deportazione degli artigiani, specialmente gli armaioli nella sua nuova capitale di Samarcanda dove la produzione di spade di acciaio di Damasco continuò fino alla caduta dell ‘ impero Timuride nel 1449.
    Come già l’ invasione Mongola di Hulagu Khan figlio di Gengis nel 1260, questa nuova invasione da Est contribuì al declino economico e politico della capitale siriana, poi definitivamente affossata dalla conquista
    Ottomana del 1516 e dalla politica centralista dei nuovi dominatori, con il trasferimento delle attività metallur
    giche connesse alla fabbricazione delle armi verso la capitale Costantinopoli ( Istambul).
    Contemporaneamente la tecnica di lavorazione dell’acciaio si era sviluppata a Toledo in Spagna, dove la qualità dei manufatti prodotti era considerata superiore a quelli realizzati a Damasco.
    L’avvento delle armi da fuoco contribuì in seguito al declino dell’interesse verso le armi bianche, affiancate e poi sostituite da archibugi, moschetti e pistole.
    Quanto alle artiglierie, esse furono dapprima realizzate in ferro cerchiato e poi in bronzo fuso.
    L’ impiego dell’acciaio nella produzione di cannoni avvenne in Prussia grazie alle fonderie Krupp, che forgiar
    ono le artiglierie utilizzate dall’esercito Prussiano durante la Guerra Franco-Prussiana del 1870.
    Dopo di allora tutte le potenze mondiali utilizzarono l’acciaio per la costruzione dei cannoni , specialmente
    quelli destinati all’impiego navale.

  • Stefano

    Vorrei spezzare una lancia (in ferro battuto…) a favore della fin qui bistrattata ghisa, la cui principale caratteristica e fonte di esistenza e’ la colabilita’, ovvero produrre oggetti fusi di elevata complessita’ garantendo lo riempimento di tutto lo stampo anche nelle sue intercapedini piu’ difficoltose.
    L’acciaio al di sotto dei 2.6%C ha una colabilita’ di m., e non permette di ottenere oggetti fusi particolarmente complessi come quelli di ghisa. Ed e’ per quello che si usa nei blocchi motore, con intercapedini e pareti cave, anche talvolta di diverso spessore, nei distributori oleodinamici e nei labirinti dei cambi automatici, anche se da tempo l’alluminio la sta sostituendo grazie al suo minore peso (ma per il motore di un camion Liebherr da cava non e’ il primo dei problemi), ma con problemi di resistenza meccanica talvolta insuperabili (ricordo di motori da competizione in ghisa a spessore sottile piu’ leggeri degli omologhi in alluminio).

  • Carlo

    Fare divulgazione è un arte a cui non è sufficiente la conoscenza. Una storia molto bella e chiara anche a chi non è del mestiere. Ho capito una cosa nuova. Al contrario del Damasco che era un composito tra acciaio e ferro battuto già dalla preparazione, la katana è formata da acciaio e ferro a strati creati dalla stessa massa di partenza variando temperatura,apporto di carbonio e sollecitazione meccanica

    • Massimo

      Grande spiegazione storica, finalmente un blog? Aborro sta parola, di tecnica sopraffina e storia spiegata anche agli ignoranti come me, a 60 anni imparo ancora, spero che l’asteroide in avvicinamento sappia scegliere con coscienza, anche io impazzisco quando vengono storpiato i termini tecnici, viva il ferro, l’acciaio e la ghisa, e il molibdeni per le molle!!!

  • Riccardo

    grande

  • Flavio Galizzi

    Mi è piaciuto molto l’escursus sulla storia dell’acciaio. Meritava un’attenzione particolare anche la storia del nostro damasco europeo, affascinante, diffusosi autonomamente e diverso come genesi dalle tecniche orientali, per merito dei popoli germanici a partire dal sesto secolo, che in Italia ha lasciato molte testimonianze nei corredi funebri dei Longobardi, e al nord dei Vichinghi.

  • Alioscia Cattaneo

    Io vi AMO CAXXO! Non ho altre parole per definire cosa scatenate in me! Ai tempi dell’apprendistato di meccanica feci un testo sull’altoforno ponendolo in chiave ironica, misi il tutto sul fatto che l’altoforno cambiò la storia dei materiali e dei sottoprodotti derivanti.
    Lo misi in chiave ironica, e lo feci per supporto a compagni messi in punizione sfidando l’insegnante…Inneffetti io non ero mira della punizione ma feci il compito/castigo giusto per sfregio…Ecco,tutt’ora ricordo con amore il professore che riconsegnando i testi mi guardò e mi disse ; You are the best…Bho? Io sorridevo e pensavo alla faiga alla musica e alle M3 …
    Rileggendo oggi voi…Sorrido e continuo a pensare…Ma quanto cazxo è fico l’altoforno? Chi saremmo senza questo falloide attrezzo??
    Niente…Mi sto temprando da solo
    Grandi! Vi leggo con passione e amore GRAZIE!!

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