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Saturn V, il mezzo più potente mai costruito dall’uomo

Esiste un posto nell’animo di ogni Rollingsteeler (lo vogliamo il patacco?), dove la passione trascende in religione, in alcuni rarissimi casi questa può a sua volta trascendere in fanatismo.

Per quanto mi riguarda questo posto ha un nome ben preciso: SATURN V e lo scriverò maiuscolo. Sempre.

Sebbene abbia segretamente covato per anni il desiderio di condividere questa mia passione per questo sacrario della tecnologia anni Sessanta, mi rendo conto che i miei personalissimi dogmi oggi mi inibiscono nello scrivere queste righe; ho come l’impressione che qualunque cosa io possa dire non potrà rendere giustizia alla magnificenza di quest’opera.

Tutto questo per spiegarvi la mia personalissima situazione quando il Direttore mi ha chiesto di parlare del SATURN V (e vai di shift) e in particolare dei suoi motori F1, non quella F1.

E’ stato un po’ come se qualcuno chiedesse ad un appassionato di arte di spiegare la Cappella Sistina parlando solo del riquadro dove l’Uomo sta per toccare la mano di Dio, non si può fare, serve il contesto storico, bisogna parlare degli uomini che l’hanno reso possibile, di quello che c’era stato prima e dopo, ma soprattutto c’è il resto dell’Opera (e la maiuscola va anche qui).

Quindi ho cominciato una parata di scudi col Direttore perché dietro a questo prodigio della scienza c’è una storia e, se anche vi prometto di non tediarvi oltremodo, un breve preambolo ve lo beccate uguale.

Ora scusatemi un attimo, cambio lo schermo che quando ho scritto “breve” l’ho sfondato col naso.

Vado veloce su Konstantin Ciolkovskij, ma voi dovete comunque sapere  che questo signore russo è il padre fondatore della missilistica moderna, nel nostro parallelo con la Cappella Sistina è quello che ha inventato la pittura, un tizio che nel 1903, stesso anno del primo volo dei fratelli Wright, esce con il libro “L’esplorazione dello spazio cosmico per mezzo di motori a reazione“, dove per “reazione” intende il principio “azione e reazione”, quindi nel nostro caso il razzo e non jet.

Pensate che questo signore era così avanti che ha ipotizzato pure l’Ascensore Spaziale e la colonizzazione umana dell’Universo, mi sanguina il cuore, ma vi rimando a Wikipedia e faccio un salto avanti nel tempo.

Il nostro Michelangelo si chiama Wernher Von Braun e negli anni Quaranta era un maggiore delle SS iscritto al partito nazista. Qualcuno ha detto “Non tutti possono diventare dei grandi artisti ma un grande artista può celarsi in chiunque” (Anton Ego, Ratouille, 2007).

Von Braun e il suo gruppo in circa una decina d’anni realizza fondamentalmente due cose: motori a combustibile liquido funzionanti, tipo quello del Komet, e il primo missile balistico che oggi conosciamo con il nome di V2 (Vergeltungswaffe 2, arma di rappresaglia 2). Questi missili sono stati ripetutamente lanciati contro l’Inghilterra causando numerose vittime ed è giusto in questa sede ricordare anche le migliaia morti nel campo di  Mittelbau-Dora dove venivano assemblati i missili da pionieri.

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Non siamo costretti a riabilitare la figura di Von Braun, ma diciamo che non si era iscritto proprio di sua sponte al Partito; lui voleva fare soprattutto lo scienziato, anzi la Gestapo ad un certo punto arriva pure ad incarcerarlo nel ’44 perché parla di andare nello spazio con i missili. Questo pallino ce l’ha veramente perché “casualmente”, in un test del nello stesso anno, una V2 raggiunte i 176km di altezza, abbastanza da poter dire di essere il primo oggetto nello Spazio.

Un bel giorno del ’45, con gli Alleati che avanzano su entrambi i fronti, Von Braun prende 500 dei suoi e decide di consegnarsi agli Americani, i Sovietici non sembrano amichevoli e gli Inglesi sono giustamente un ancora po’ presi male.

Gli americani fiutano il colpaccio, vanno alla base di Peenemünde e saccheggiano quello che possono, già l’anno seguente una V2 americana scatterà la prima foto della Terra dallo Spazio.

– ottobre 1946, terrapiattisti già muti –

Siamo subito in guerra fredda e mentre altri partoriscono capolavori come il Lockheed U2, Von Braun e i suoi vengono messi, inizialmente come prigionieri di guerra, a lavorare su razzi balistici, perché a differenza dei tedeschi gli americani hanno una cosina che se messa in punta può combinare guai seri e si chiama “atomica”.

Ora qui si potrebbe scrivere un libro, anzi ce ne sono diversi, ma la scimmia dello F1 potrebbe scemare, facciamo quindi un salto alla fine degli anni cinquanta: Von Braun ha fatto il suo lavoro e ha sviluppato il missile Jupiter-C, derivato dal missile balistico Redstone, ma finalizzato a mettere carichi utili nello spazio e non solamente atomiche in un altro posto ai sovietici.

Ora, proprio nel ’57 i Sovietici mandano in orbita lo Sputnik e poi nel 61 il leggendario Gagarin facendo discretamente incazzare gli americani, tanto che nel 62 Kennedy se ne esce col discorso “We choose to go to the Moon in this decade and do the other things, not because they are easy, but because they are hard”. Il termine della decade non se l’è inventato, Von Braun e amici gli hanno detto che è traguardabile, perché è dal giorno dello Sputnik che ci stanno lavorando come dei puma.

– Ti meritavi di vedere il 1969 –

Ed infatti casualmente hanno per le mani un missile che viene dopo il Jupiter e si chiama, fantasia saltami addosso, “Saturn”, del quale ne hanno già in testa diverse versioni in particolare la C1 e la C5 (che se le confondete con la Citroen è scomunica subito).

Ora il C1 è un oggetto di passaggio meglio noto come Saturn IB, un razzone a due stadi dove il primo è fatto (dalla Chrysler!!!) unendo i serbatoi di missili Redstone e Jupiter (al centro) e il secondo sarà il terzo stadio del SATURN V (daje di shift), la cui “V” deriva dall’essere la versione “C5” di cui sopra.

– Saturn 1B –

Questo Saturn IB farà il lavoro sporco di collaudare il terzo stadio, il modulo di comando e il modulo lunare in orbita terrestre, mentre viene completato “quello grosso” necessario a raggiungere l’orbita lunare.

Ora è da un po’ che i tedeschi sono inglobati nella NASA e stanno lavorando al progetto del SATURN V, un bestione lungo 110 metri capace di portare in orbita lunare un carico di 48 tonnellate, il minimo indispensabile per scendere a prendere dei “sassi”.

C’è però il problema che per spedire in orbita ‘sto FERRO servono motori da paura, in particolare serve un primo stadio che faccia il grosso del lavoro e porti il secondo e il terzo abbastanza in alto da fare gli splendidi con i loro J2 ad idrogeno. Il primo stadio viene quindi dotato di cinque grossi motori Rocketdyne che bruciano volgare cherosene RP-1 (costa poco) e ossigeno liquido, con grande fantasia chiamano i motori “F1”, indovinate un po’ perché? Esatto, vengono dopo gli E1.

– A sto giro lo swappone viene duro (in tutti i sensi) –

Le specifiche di questi motori negli anni sono cambiare parecchio, ma diciamo che nella configurazione ufficiale mi spingono circa 1.500.000 di libbre (anche oltre in versioni avanzate), tradotto in un termine a noi comprensibile, 32 milioni di cavalli, l’uno, per cinque motori.

160 milioni di cavalli capaci di portare le 3000 tonnellate del SATURN V a pieno carico a 61km di quota a 8.600km orari in circa due minuti e mezzo. Sostanzialmente la potenza espressa da 120 Boeing 747 in crociera.

Dopo avere riletto il paragrafo sopra soffermandovi sui numeri, dite “Amen”, possibilmente cantando in gospel.

– SATURN V in decollo –

– SATURN V in piena potenza –

Un motore a razzo di suo non è particolarmente complesso da un punto di vista teorico, l’F1 anche per la epoca non era particolarmente ricercato come soluzioni tecniche, lo stesso Jospeh McNamara, all’epoca General Manager Rocketdyne lo definì “a big dumb engine”, non so a voi, ma a me quando parlano di potenza bruta mi entra subito la wastegate.

Questo motore andava a RP-1 quando già i J2 montati sugli altri stadi usavano idrogeno liquido che in combinazione con l’ossigeno produce più energia (d’altronde miscelando ossigeno e idrogeno si ottiene acqua, uno dei composti chimici più stabili in natura, da qualche parte l’energia che non è nell’acqua deve pur andare), inoltre gli scarichi della turbopompa (adoro questa parola) non erano a ciclo chiuso, cioè non contribuivano alla pressione in camera di combustione, ma ci torniamo tra poco. La vera maledetta difficoltà di costruzione di questo motore risiede nelle sue brutali dimensioni che comportano temperature, pressioni e forze estreme.

Un motore a razzo si compone di base di tre parti: turbopompa (quasi uso lo shift), piatto di iniettori e camera di combustone (ovvero la campana).

Il ruolo della turbopompa è di mandare combustibile (RP-1) e comburente (LOX, ossigeno liquido) in pressione agli iniettori, ora su un razzo il modo più semplice di produrre pressione è alimentare una turbina vagamente simile a quella delle auto come principio, ma dal lato della girante invece dei gas di scarico della macchina ci sono quelli di un “piccolo” motore a razzo che brucia proprio gli stessi liquidi del motore principale, solamente con una combustione molto grassa in modo da usare il carburante in eccesso per raffreddarsi. I compressori azionati sono due: uno per lo RP-1 e uno per il LOX.

Nel caso dello F1 le potenze in gioco sono talmente alte che questa turbopompa ha rappresentato la sfida più grande nella progettazione, i nostri simpatici amici si bevono 57.392 litri di RP1 e 102.230 litri di LOX.

Per minuto.

Ciascuno.

Totale 160.000 x 5= 800.000 litri/minuto. Amen e sotto col gospel.

Che ci vuole spingere 160.000 litri al minuto? 55.000 cavalli.

Per turbopompa (ho già detto che adoro questa parola?)

Totale 270.000 cavalli, più della potenza di una Iowa o di un United States, solo per spingere il carburante nel motore.

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Tutto questo liquido arriva al “piatto di iniezione” dove sostanzialmente viene sparato ad altissima pressione nella camera di combustione. Alla Rocketdyne si sono dovuti inventare di tutto per trovare dei metalli che reggessero quelle pressioni a quelle temperature, il piatto di iniezione rispetto alla quantità di combustibile necessario, è infatti relativamente piccolo, ha un diametro di poco più di un metro.

Il problema è particolarmente importante per i motori F1, se ci pensate la camera di scoppio cresce in volume con un coefficiente cubico (3 dimensioni), mentre il piatto iniettori solamente col quadrato (2 dimensioni): in altre parole c’è un limite massimo alla dimensione che possiamo dare ad un motore a razzo.

Anche sugli iniettori quelli della Rocketdyne hanno fatto scuola, nei primi modelli la combustione presentava problemi di instabilità generando vibrazioni tali da distruggere i motori. Il problema è stato risolto dopo diversi tentativi dividendo il piatto con dei separatori visibili nella foto sotto.

– Piatto iniettore originale recuperato dal relitto del primo stadio Apollo XII –

Arriviamo infine all’inferno finale, la camera di combustione, un posto a 3200° dove la forma conica della campana ha la funzione di accelerare i gas secondo dei principi di aerodinamica supersonica.

Il vero problema di questo posto è ovviamente la temperatura, come tenere tutto quel metallo a temperature diverse da quelle di ebollizione? Gli F1 utilizzando due sistemi distinti, uno per la parte alta della campana e uno per la parte bassa.

Nella parte alta, le pareti sono coperta da tubicini dove viene pompato (andata e ritorno) l’unico liquido adatto allo scopo presente a bordo: il carburante. Incredibile anche solo pensarlo, ma il 70% del carburante passa attraverso questi tubi prima di essere inviato agli iniettori, il resto utilizza un bypass perché le turbopombe (…), nonostante i 55.000 cavalli, non sono abbastanza potenti.

Ah, a proposito di turbopompe, cliccate l’immagine qui sotto, avrete l’occasione di aiutare rollingsteel.it nel suo percorso per aspera ad astra!

Nella parte bassa è poi presente un meccanismo che è fortemente caratteristico degli F1, ricordate le turbopompe? E come dimenticarle direte voi. Beh, abbiamo detto che alla base del loro funzionamento c’è una combustione RP-1 e LOX, ma dove va questo scarico? Se ricordate bene abbiamo detto che la miscela usata per le turbopompe è molto grassa. Ai progettisti viene quindi in mente di usare i gas di scarico relativamente freddi delle turbopompe (dai che riesco a scriverlo ancora) per raffreddare lo scarico principale e lo convogliano in quel tubo che avvolge la seconda metà della campana espellendolo lungo la parete interna.

– Spaccato di un ugello del Rocketdyne F1 –

– Ed ecco spiegato quell’alone più scuro che avvolge le fiamme dello F1 –

Siamo in conclusione, ma una domanda sorge spontanea: perché queste meraviglie sono state abbandonate? Diciamo per due motivi, la mancanza di razzi abbastanza grandi da usarli e la relativa inefficienza dello RP-1 rispetto all’idrogeno. Ci sono stati diversi tentativi di riesumare il progetto, ma rifarli uguale sarebbe impossibile oggi, la costruzione è troppo complessa e semplicemente non esistono più maestranze in grado di rifarli (!).

– Von Braun assieme al “suo” Saturn V –

Allo studio c’è una versione semplificata e persino più potente, ma al momento non si vedono grandi possibilità di utilizzo.

Sono in tutto 13 i SATURN V (shift sfondato definitivamente) lanciati negli anni d’oro dell’esplorazione spaziale, ma per nostra fortuna alla NASA erano a corto di soldi e si sono fermati tre missioni prima della fine, quindi altrettanti razzoni sopravvivono per coloro che volessero visitarli, giuro valgono la pena di un viaggio in USA. Parlo per esperienza.

– Foto dell’autore presso il museo Kennedy Space Center –

PS: Se ti piacciono lo spazio e la scienza, puoi provare a leggere anche i miei libri: Luci dal Futuro, Mercante d’Immortalità e 121 anni l’estinzione.

Articolo del 6 Novembre 2020 / a cura di Paolo Broccolino

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  • Igio

    c’è modo di farvi una donazione?
    in cherosene, avio o €€€

    • Marco Gallusi

      Eh niente… volevo fare lo swappone sulla Skoda Fabia…

    • Flavio

      Se vuoi ti do il mio iban….aiuterai un povero fan di rs!!!;)

  • Davide

    No vabbè…massima stipe e rispetto per gli Yenkee solo per aver creato certi mostri sacri!

  • Paolo

    Ottimo articolo, rimane da sperare nella riuscita del progetto Starship per vedere qualcosa di ancora più cazzoduro. Già solo i motori Raptor a ciclo completo a methalox dovrebbero essere qualcosa di sconvolgente, ma tutto il ferro dovrebbe (sempre in teoria) rompere un sacco di record.
    Continua così, l’avrei letto volentieri anche se fosse stato lungo il doppio questo articolo.

  • Ivan Davide Borriello

    Io finanzio le tastiere da sostituire a forza di rompere shift, ma sti articoli sono una GODURIA (vai di shift), xché limitarvi?
    Ci fai un approfondimento?

    • Paolo Broccolino

      Ciao, Grazie,
      La settimana scorsa è uscita la prima parte della storia di tutti gli Apollo, credo che questa esca la seconda parte
      C’è un tema particolare che ti interessa approfondire?

  • Alessio Anzalone

    No vabbè…la storia del SATURN V (mi devi un tasto shift) è una di quelle pochissime cose (l’altra sono gli spaghetti al pomodoro e motori turbo F1 anni ’80) “extra-gnagna” che mi provocano un deciso solletico alle pelvi.
    In giro sul tubo c’è anche qualche bel documentario con tanto di eplosioni di motori quando cercavano di risolvere l’instabilità della fiamma e la prova finale di quando ci riescono facendo esplodere, durante il test, una bomba all’interno della campana per capire se il motore riusciva a recuperare la stabilità.
    Al di là della politica, la storia dei razzi per la corsa alla Luna credo sia la più “arrogante” nella storia dell’umanità. Più dell’Arca di Noè.
    E ho detto tutto.

  • Matteo

    Ecco, mi ero lasciato questo articolo come “il dolce” di RS…
    Ora che l’ho letto devo riguardare Apollo11, e mettere le cuffie al massimo nel decollo del SATURN V!

    • Paolo Broccolino

      Ti consiglio anche questo video

      Mi è piaciuto un sacco il tuo commento 😉

  • Roberto

    interessantissimo !!! Ho una domanda legata alle ” vibrazioni “, problema non di poco conto per motori da migliaia di cavalli. Ho letto che il Saturn V e suppongo anche i successivi, siano stati fatti tests usando il suono per produrre vibrazioni al fine di testare la resistenza del razzo. Un ingegnere americano, ingegnere in tre diverse branche, ha detto che suo padre, pure lui ingegnere, partecipò alla costruzione del Saturn V con particolare riferimento al problema ” vibrazioni “. Dice testuali: ” Ad un certo punto, usando una particolare frequenza, il Saturn strappò i bulloni di fermo e si sollevò un poco “. A me pare inverosimile

  • Andrea Bindolini

    C’è un motivo per cui l’F1, come mediamente tutti i motori da primo stadio, funzionava a ossigeno liquido
    e cherosene (Lox/RP-1) anziché a ossigeno e idrogeno liquidi (Lox/LH2) e non sta necessariamente nel fatto che fosse un motore “rozzo”. Tale propellente era necessario in quanto molto più denso dell’idrogeno liquido. Un motore sufficientemente potente da sollevare il SATURN V (maiuscolo) ha un consumo di propellente colossale e se questo propellente fosse stato idrogeno liquido, che ha una densità mediamente di circa 10 volte inferiore a quella del cherosene, sarebbero stati necessari serbatoi molto più grandi, così grandi da rendere il razzo impossibile da costruire e, se costruito, molto più pesante, con necessità di motori più potenti, che avrebbero richiesto a loro volta serbatoi più grandi… in una spirale senza fine che avrebbe vanificato l’efficienza (o per meglio dire, l’ISP, impulso specifico) molto migliore di un motore a Lox/LH2 rispetto a un Lox/RP-1 (30-40%). Tanto vi dovevo per completezza dell’articolo…

  • martino

    Questo è stato il vero mondrakete e finora l’unico mezzo con cui si è giunti sulla Luna, c’è così tanta storia ed ingegneria dietro ad esso che mi commuove/stupisce ogni volta!

  • Giovanni

    TURBOPOMPE

  • SkyRunner

    Bellissimo articolo!
    Ho sempre avuto una venerazione per il SATURN V e in particolare per i Rocketdyne F1, già il nome suona epico.

    Quando incappo in qualche negazionista delle missioni Apollo (ancora esistono) che si preoccupa degli aloni sulle foto e di altre amenità come antidoto gli faccio notare l’imponenza del razzone e il rischio che il tutto esplodesse prima ancora di sollevarsi da terra, quello era il vero momento chiave, esplicito e inoccultabile, delle missioni Apollo.

    A completamento del mito aggiungo, giusto per:
    durante i test a terra finestre rotte fino a 20km di distanza per le vibrazioni dei bang supersonici (il sogno di qualsiasi teppistello di quartiere)…
    i sismografi di tutti gli Stati Uniti che registravano le scosse al momento del lancio…
    Kronkite con il soffitto che gli crolla in testa durante la diretta TV…
    l’iniettore! 500 fori fatti sapientemente e calibratamente a mano, con il trapano, da un ingegnere (niente CAD o stampante 3D) per far pompare 2 tonnellate al secondo a 60 atmosfere di pressione…
    spinte lì dalla TURBOPOMPA da 50 MegaWatt (mega eh non kilo) di potenza (che era di fatto il motore di un jet da caccia militare, degradato a fare il pompista)…

    E tutto questo moltiplicato per 5!!

    A questo punto il negazionista che sperava di rifilarti il pippone sull’ombra doppia di Neil sulla Luna ha lo sguardo vacuo e perduto…

    la tecnologia a volte è crudele, si sa.

  • Cosimo

    Articolo stupendo, avendo visitato il KSC posso confermare che la vista del SATURN V vale da sola il viaggio negli states

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