Il 17 novembre 1906 venne al mondo un personaggio destinato a lasciare un segno importante nella storia del mondo dei motori. Ad Hamamatsu, città natale del marchio Suzuki, nacque Sōichirō Honda. Sembra un gioco di parole eppure è proprio così. Il giovane Honda apprese i rudimenti dell’arte del motore endotermico tra l’officina del padre ed un garage di Tokyo, dove si trasferì all’età di 16 anni.
Più tardi, nel 1937, fondò la sua prima azienda, la Tokai Seiki, che produceva fasce elastiche per pistoni e che fu fornitrice tra le altre per Toyota. La Honda come la conosciamo oggi arrivò ancora qualche anno dopo, nel 1948.
Simpatico, no?
Se conoscete un minimo il personaggio saprete di certo una cosa, e se non la sapete ve la diciamo noi: il sig. Honda aveva una fortissima predilezione per il motore a quattro tempi. Evidentemente non gliene fregava nulla del canto metallico del duettì né tantomeno del profumo della miscela bruciata. Lui voleva solo valvole e assi a camme.
Fu con questa filosofia che nel 1959 schierò al via del Tourist Trophy sull’isola di Man, che allora faceva parte del campionato del mondo GP, le sue prime motociclette da gran premio. Trattasi delle RC141 e 142, 125 cc bicilindriche rispettivamente 2 e 4 valvole per cilindro e della RC 160, 250 cc 4 cilindri in linea, il primo motore 4 cilindri DOHC mai prodotto da Honda.
Arrivarono poi le famigerate RC146 del 1963, 125 a 4 cilindri in linea e cambio a 7 rapporti, la RC148 del 1965 sempre 125 a 5 cilindri e cambio a 8 rapporti, e infine la 3RC164 (divenuta poi RC166), 250 cc e 6 cilindri in linea. Per la 125 a 5 cilindri si parla di 34 cavalli a 20.000 giri/min (ventimila), dal 250 tirarono invece fuori la bellezza di 54 cavalli a 17.000 giri e una velocità massima di oltre 240 km/h. Roba – motori – veramente fuori di testa.
Ehi, pst, 34 cv da un 125 cc sono 272 cv/litro
RC166 del 1966, è o non è una delle moto da gran premio più eleganti di tutti i tempi?
La 3RC164, mamma della RC166, sempre a 6 cilindri
Tutto questo per cosa? Per farvi capire quanto Honda amasse il quattro tempi e quanta tecnologia e ricerca applicasse in quegli anni alle sue moto. In pochi anni, appena tra il 1959 e il 1967, mr. Honda portò a casa 138 vittorie nel motomondiale.
A quel punto abbandonò. Vi sembrerà assurdo e probabilmente un po’ lo è, ma Sōichirō era riuscito a dimostrare ciò che gli interessava e quindi non vide motivo di versare altro capitale nello sviluppo di moto da corsa, almeno per il momento. A fine ’67 iniziò quindi una pausa di Honda dalle competizioni che sarebbe durata un decennio.
Gli anni passarono, e nel 1970 la FIM per motivi legati all’apparentemente eccessivo divario che separava le moto da corsa e quelle stradali impose i primi limiti regolamentari per lo sviluppo delle moto da Gran Premio, in particolare rispetto il frazionamento dei motori.
Nella classe 500, i motori con più di quattro cilindri vennero banditi (nel ’56 Guzzi se ne era uscita addirittura con una 500 a 8 cilindri, che si chiamava proprio “8 cilindri”, ma questa è un’altra storia). Honda, già dai suoi primi anni nel mondo delle corse, aveva fatto dei frazionamenti molto spinti il proprio cavallo di battaglia, come abbiamo chiaramente visto poche righe sopra. Questa nuova regola introdotta dalla federazione andava di fatto ad azzoppare la grande casa di Tokyo, che nel 1978 annunciò però la volontà di rimettersi in gioco di lì a poco, anche se poi ci volle più tempo del previsto.
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A quel tempo ormai imperversava il due tempi, più leggero, semplice e prestazionale. Ma come sappiamo Honda prediligeva e predilige il 4t, e nemmeno stavolta si piegò a quella che pareva essere la moda del momento. Come fare allora ad ottenere un motore 500 cc a quattro tempi, con un massimo di quattro cilindri, che potesse rivaleggiare con gli avversari 2t?
Qualcuno a Tokyo si sedette attorno ad un tavolo, probabilmente con davanti dei vassoi di sushi dal take away più vicino, e sbatté la testa contro il piano di legno fino a che non ne venne fuori qualcosa. Pare che il capo progetto, con un uramaki California per le mani, ebbe l’illuminazione pensando alla vecchia Guzzi 8 cilindri. Perché non realizzare un 8 cilindri, ma con le camere di combustione accoppiate? D’altro canto, cosa potrebbe mai andare storto? (spoiler: quasi tutto)
Rullo di tamburi
Ecco il progetto NR – New Racing (almeno il nome era figo) – e i suoi famigerati motori a pistoni ovali. In realtà sono impropriamente definiti ovali, perché avevano due lati a semicerchio e due lati retti, ma così sono passati alla storia e chi siamo noi per contraddire la storia? Quindi due bielle, due candele e otto valvole per cilindro. Il senso teorico era appunto quello di tentare di replicare le prestazioni di un otto cilindri, ma naturalmente senza superare il limite regolamentare dei quattro.
Il regime di rotazione ambito era di 23.000 giri/min per una potenza prevista di circa 130 cavalli, roba veramente da fuori di testa. La prima versione della moto prese il nome in codice di 0X, il motore aveva architettura a V con angolo tra le bancate di 100° ed era alimentato da quattro carburatori a doppio corpo. Il motore in questione girò per la prima volta al banco nella primavera del 1979 e di lì a poco seguirono i test della moto completa. I risultati effettivi delusero già parzialmente le aspettative quando i cavalli erogati furono circa 100 a 16.000 giri. Il debutto fu in ogni caso annunciato per il 12 agosto di quell’anno al GP d’Inghilterra a Silverstone con i piloti ufficiali Mick Grant e Takazumi Katayama.
Risultato: un disastro. Nessuna delle due NR500 vide il traguardo né ci andò vicina, con Grant in terra alla prima curva e il collega giapponese fuori per un guasto dopo tre giri. Il gran premio successivo, quello di Francia a Le Mans, fu ancora peggio con le due 0X che non riuscirono nemmeno a qualificarsi per la gara. Fu così che terminò l’imbarazzante stagione di debutto delle ambiziose Honda NR.
Nel 1980 e ’81 seguirono numerose evoluzioni, le 1X e 2X, che furono protagoniste di modifiche anche sostanziali, come un nuovo telaio prima ed un basamento con un diverso angolo tra le bancate poi nel 1982 nuove teste con una diversa inclinazione delle valvole videro crescere la potenza fino ai valori inizialmente preventivati. Ma ormai era tardi, anche i più fermi sostenitori del progetto dovettero arrendersi all’evidenza e alla drammatica carenza di risultati utili nei gran premi.
Per lo stesso anno, il 1982, Honda mise in cantiere la più tradizionale NS500, una tre cilindri a V a due tempi che salì sul podio alla prima gara e che la stagione successiva portò finalmente a Tokyo il titolo iridato della 500 con Freddie Spencer; nell’84 seguì la NSR a quattro cilindri che vinse tutto il vincibile fino al pensionamento della classe 500 nel 2002. Sempre nell’83 fu sviluppata la 3X, ancora una nuova versione della NR500, l’ultima, che però non si vide mai in gara.
Al di là dei disastri nei GP, alcune versioni della NR avevano fatto vedere qualche spiraglio di luce, come nella 200 miglia di Suzuka del 1981 dove collezionò la sua prima ed unica vittoria di rilievo, favorita dal minor consumo di carburante del suo motore a quattro tempi rispetto ai 2t avversari. Con lo stesso Spencer una NR fece la pole e andò poi al comando per qualche giro in una gara AMA a Laguna Seca, ma fu costretta al ritiro per guasto.
La NR750 da Endurance
Qualche anno più tardi, era il 1987, si rivide in pista una versione 750 cc della NR. Anche qui, misure vitali del motore stravolte rispetto i precedenti modelli e prestazioni di 155 cavalli a 15.250 giri al minuto. L’occasione era nientemeno che la 24h di Le Mans, e la moto fu affidata all’equipaggio Malcolm Campbell – Gilbert Roy – Ken Nemoto. La NR fu seconda in qualifica e in gara tenne per circa tre ore la terza posizione, ma ancora una volta si ritirò per un problema meccanico. Il buon Campbell era però particolarmente affezionato a questo ferro vecchio della NR, tanto che ne impiegò una per correre in Australia nelle Swann Series, una serie di gare locali, e ci vinse addirittura una manche sul circuito di Calder Park. Per le informazioni in nostro possesso, queste del campionato a testa in giù furono le ultimissime apparizioni in gara di una Honda NR.
– partenza della gara di Calder Park, notare la NR numero 4 pronta al via con tutta la grinta del mondo –
Pare addirittura che Honda abbia fatto pressioni per far ammettere nel motomondiale classe 500 il suo otto quattro cilindri da 750 cc per opporlo alle 500 2t, ma purtroppo o per fortuna non ebbe successo. Riuscì in qualcosa di simile una quindicina di anni più tardi ma pure questa è un’altra storia. Ma nonostante fosse stata messa la parola FINE al programma corse New Racing, non era ancora arrivata l’ora del progetto nella sua totalità.
È qui che entra in scena la NR750 stradale, nome di battaglia RC40, nota a molti ma non a tutti. Fu presentata come concept nel 1989 e arrivò in versione definitiva in realtà solo nel 1992, quando ormai la questione New Racing era per molti probabilmente caduta nel dimenticatoio.
La NR750 stradale derivava meccanicamente da quella da endurance, ma le prestazioni erano state castrate per raggiungere un’affidabilità che si potesse considerare consona per una moto con cui in teoria avreste potuto recarvi in ufficio o dal panettiere.
Il V4 trasversale Oval Piston di 90° DOHC con bielle in titanio erogava una potenza di 125 cavalli all’albero e 115 alla ruota (nonostante il progetto iniziale ne prevedesse 160, quelli sì che sarebbero stati tanti, poi scesi 140 e poi ancora alla cifra di cui sopra), nulla di stratosferico, ma era nella coppia che la NR era particolarmente carente, a causa delle misure vitali del motore che prevedevano una corsa cortissima (appena 42 mm). Al quattro cilindri dava da bere un sistema di iniezione, non più quindi a carburatori, con due iniettori per cilindro.
Nonostante le prestazioni non strabilianti e soprattutto non proporzionate allo sforzo progettuale che Honda aveva compiuto, la NR vantava un’ottima velocità di punta, tanto da stabilire sull’anello di Nardò il Guinness World Record per la moto di serie più veloce, raggiungendo i 299 km/h nel Km da fermo e i 304 come velocità di punta, con in sella il buon Loris Capirossi.
Fu la prima e, ad oggi, unica moto con pistoni ovali ad essere prodotta in serie, anche se piccola. Videro la luce appena 322 esemplari, venduti in Italia alla cifra da paura di 91.000.000 di lire (novantunomilioni, che a casa mia sono appena meno che cento). Fu definita da Motosprint “la moto più straordinaria del secolo”.
La NR750 tuttavia non fu notevole solo per la concezione del tutto anomala del suo motore. Portava con sé numerose altre soluzioni di pregio che, pare, furono di spunto nientemeno che per sua maestà Tamburini e la Ducati 916. Tra queste, il forcellone monobraccio e gli scarichi sotto al codone, anche se sulla NR tecnicamente erano dentro a quel codone con prese d’aria NACA.
Poi telaio perimetrale in alluminio ispirato a quello della sorella VFR 750 R, l’altrettanto leggendaria RC30, abbinato al suddetto monobraccio anch’esso in alluminio con sospensione Pro-Link, poderosa forcella Showa regolabile a steli rovesciati con steli da 45 mm. L’impianto frenante Nissin vantava all’anteriore doppio disco da 310 mm e pinze a quattro pistoncini e al posteriore un disco da 220 mm con pinza a doppio pistoncino.
La ruota davanti era bella particolare, per gli standard di oggi, misura di 16” con canale da 3,5, mentre quella dietro era una normalissima 17 con canale da 5,5 (ma che spettacolo sono quelle cinque razze posteriori??). A ben vedere il formato ruote non era così fuori dai canoni, la FireBlade degli stessi anni adottava la medesima configurazione 16-17.
Il tutto era condito con dettagli in materiali pregiati, come la carena in fibra di carbonio, materiale con cui oggi fanno anche le cover dei telefonini, ma che all’epoca era decisamente raro e riservato solo ai ferri da corsa. Questa celava il serbatoio in alluminio da 17 litri, poi c’erano cerchi in magnesio e altre amenità come il plexi del cupolino trattato con uno strato indurente al titanio che gli dona quei caratteristici riflessi blu e chiave di avviamento realizzata in argento (!) e carbonio.
Ma a vincere su tutti era il cavalletto, oddio il cavalletto della NR che roba.
L’airbox posizionato sotto al serbatoio prendeva aria da 4 aperture, due in basso sulla carena e due più in alto posizionate nel cupolino, che portavano l’aria fresca a destinazione tramite due sensuali condotti sempre in carbonio che ancora oggi sono ai limiti del pornografico.
Il cruscotto vantava, oltre agli indicatori analogici, un avanzatissimo, per l’epoca, display LCD che fungeva da tachimetro. Gli strumenti a lancette erano invece il contagiri, con un oltraggiosissimo fondoscala a 17.000 giri e la dicitura 32 VALVES come a ricordarti che non ne hai solo 16 come tutti gli altri, temperatura e pressione olio, temperatura acqua e livello del carburante.
Chicca a lato interessante sulla NR. Data la scarsità di esemplari, Honda all’epoca non disponeva e non voleva disporre di un parco di NR750 da dare in pasto alla stampa per rilevazioni strumentali e altri esami approfonditi. Fu così che, per effettuare una prova completa ed esaustiva, un signore greco di nome Christos Chatzaras, titolare della rivista n°1 del paese che tuttavia non era sufficientemente n°1 da rientrare nelle liste di invitati Honda alla presentazione ufficiale, pensò all’unica via alternativa per mettere le mani su di una NR. Acquistarla. Così pensò e così fece. Se non era fuori questo…
Questa NR750, ormai lontana dalla ricerca ossessiva delle prestazioni e dalla logica delle corse, apparve a fine 1991 come qualcosa di alieno, talmente ricercato e avanzato da annichilire almeno sulla carta la miglior concorrenza. Tuttavia, leggendo le prove delle riviste di quegli anni, è triste realizzare che allo stato dei fatti, dinamicamente, la NR non era invece niente di speciale, anzi, pagava un peso di circa 40 kg superiore ad una FireBlade dello stesso anno e anche le performance del motore erano ben lontane da quelle che le 32 valvole e gli oltre 15.000 giri di rotazione massima effettiva promettevano.
notabene: tutte le Honda FireBlade fino alla 954 del 2004-05 nel loro nome hanno la B maiuscola, in onore di Tadao Baba, storico progettista delle Honda CBR serie 900 cc.
Rimarrà sempre un esercizio di stile, di quelli che solo Honda può, il concretizzarsi ultimo di un progetto nato male e conclusosi con una motocicletta costosissima e talmente complessa da non riuscire ad esprimere tutto il suo teorico potenziale, forse perché troppo avanti per i tempi. Chissà cosa succederebbe se qualcuno si mettesse ora a sviluppare un motore con camere di combustione accoppiate. Probabilmente nulla di diverso, ma chissà, forse un giorno… ah no, ora si progetta a emissioni zero.
Se non erro, qualche mese fa, ne fu messa in vendita una su alibaba a circa 100 k euro, l unica cosa é che il proprietario l aveva riverniciata in nero, e sempre se non sbaglio mamma Honda le fece tutte rosse. Ps: la chicca del cavalletto non la sapevo, spaziale!
Ce ne é (era?) una nella hall di un’albergo di Diano Marina in Liguria. La leggenda (il proprietario dell’albergo e della motocicletta) che fine anni 90 venne in vacanza un gruppetto di giapponesi appartenenti al mondo delle corse proprio in Honda, racconto che letteralmente trasalirono a vedere quell’esemplare visto che é piu rara del santo Graal, oltretutto messa come mobile in una hall di albergo.
La decisione di prendere una VRF 750 FM Rossa con cerchi bianchi mi venne dopo l’innamoramento per la NR. Ma pure la VFR alla fine non era nulla di speciale, una moto altera ed algida, bellissima ma fredda altezzosa e nemmeno granche’ a letto, pardon in strada.
Pero’ aveva il monobraccio, lo scarico abbassabile per far posto alle valigie, la distribuzione a cascata di ingranaggi… e si, il cavalletto laterale carenato !
Ricordo i disegni su Motosprint che leggevo avidamente,erano proprio disegni manuali e poi impaginati,con questi pistoni ovali e le valvole che non si sapeva se fossero 6 oppure 8,e mi chiedevo il lavoro terribile che avrebbero dovuto fare le fasce elastiche ovali…e poi l’esordio in pista,sigh…tanti anni fa,ma erano anni fantastici,vedevo correre il Graziano (Rossi) alla 200 miglia di Imola…