Premessa storica e strategica: la comparsa della mitragliatrice sui campi di battaglia portò una rivoluzione nelle tattiche di combattimento che l’umanità non aveva mai sperimentato prima.
Fin dagli antichi Egizi, ma soprattutto nel Medioevo e fino a Napoleone l’arma assoluta sul campo di battaglia era la cavalleria. Nulla poteva opporsi a una carica di cavalleria, nemmeno i cannoni, come dimostrarono eroicamente gli inglesi a Balaklava dove 600 cavalieri travolsero, pur subendo gravissime perdite, l’artiglieria russa che anche sparando a mitraglia ed alzo zero non riuscì a fermarne l’impeto.
Ma poi arrivarono prima Gatling e poi Maxim con le loro mitragliatrici. Al ritmo di 600 colpi al minuto continuativi ad infinito, basta avere munizioni a iosa (e acqua per il raffreddamento per le Maxim), non c’era cavalleria che tenesse. Una dozzina di mitragliatrici ed una trentina di mitraglieri e serventi potevano annichilire qualsiasi carica e tenere testa ad una divisione di fanteria.
Una Maxim su affusto ruotato, notare la canna raffreddata ad acqua
Nella Prima Guerra Mondiale, dopo un inizio velocissimo dell’esercito tedesco che in pochi giorni attraversò l’Olanda e il Belgio puntando cattivo su Parigi (la prima messa in opera della teoria della Blitzkrieg di Alfred von Schlieffen), tutto si immobilizzò sulla Somme, alle porte di Parigi, trasformandosi in una logorante, sanguinosissima e soprattutto irrisolvibile guerra di postazione.
il campo di battaglia dove, fuori dalle trincee, era impossibile trovare riparo
impressionante immagine di una parte dei colpi di artiglieria usati la settimana prima della battaglia
ancora oggi, dopo oltre cento anni, sono ben visibili sul terreno i segni dello scontro
Scavate le trincee, messi giù gli sbarramenti di filo spinato e piazzate in campo le mitragliatrici, nessun soldato poteva più muoversi senza essere inesorabilmente falciato. Inutili gli assalti suicidi di massa, i lunghissimi cannoneggiamenti, l’uso di gas asfissianti… niente. La linea del fronte restava ferma e i morti si contavano a milioni.
Da tempo si pensava, negli Alti Comandi, a un mezzo che potesse muoversi sul campo di battaglia, capace di travolgere e superare ostacoli e trincee, invulnerabile al fuoco nemico e potentemente armato, “l’incrociatore di terra” di Jules Verne, la nuova cavalleria. Ma le proposte erano o enormi lentissimi catafalchi basati sui trattori di artiglieria (sovente a vapore) o vulnerabili veicoli leggeri basati si autovetture non adatti ad operare su terreno vario. Poi arrivò lui: il Mark I.
Un Mark I “Male” sul campo di battaglia
Il Tank Mark I è stato il primo carro armato al mondo, armato e corazzato, ad entrare in combattimento. Il nome “tank” era stato attribuito come nome in codice per mantenere la segretezza e mascherare il suo vero scopo facendolo sembrare un veicolo per il trasporto d’acqua per le truppe in prima linea.
Nel 1915 per rompere lo stallo della guerra di trincea gli inglesi si videro sottoporre uno strano veicolo. Aveva un’insolita forma romboidale con cingoli avvolgenti. L’alta parete di arrampicata del cingolo era progettata per attraversare le ampie e profonde trincee prevalenti sui campi di battaglia del fronte occidentale.
A causa dell’altezza necessaria per questa forma e dato che una torretta armata avrebbe reso il veicolo troppo alto e instabile, l’armamento principale era disposto in gondole poste sul lato del veicolo. Il prototipo, denominato Mother , montava un cannone 6 libbre da 57 mm e una mitragliatrice Hotchkiss su ogni lato.
La sua corazza lo rendeva immune alle mitragliatrici e al fuoco delle armi leggere dell’epoca. Poteva viaggiare su terreni difficili, travolgere il filo spinato e attraversare le trincee per attaccare posizioni nemiche, anche fortificate, grazie ai suoi potenti armamenti. Poteva anche trasportare occasionalmente rifornimenti e truppe.
Quando fu arruolato, il modello di serie era quasi identico al prototipo del Mother, se si eccettua la costruzione non più in lamiere per caldaie ma in piastre da corazza (lamiere scudo) indurite superficialmente e un armamento potenziato. Furono previste due varianti: Male e Female (maschio e femmina), prodotte in egual numero.
Il Male conservò i due cannoni Hotchkiss 57 mm e i tre mitragliatori Hotchkiss da .303, cui ne fu aggiunto un quarto impiegabile da una postazione frontale. I cannoni da 57/40 (o QF 6 pounder secondo la denominazione inglese) erano del tipo navale, a tiro rapido. La gittata utile raggiungeva i 1.800 metri e la celerità i venti colpi al minuto. Il congegno di puntamento, a cannocchiale, consentiva solo il tiro diretto.
Il Female poteva invece contare su quattro mitragliatrici Vickers raffreddate ad acqua (due in ciascuna gondola) più due Hotchkiss e risultò più leggero di circa una tonnellata. La casamatta in cui era sistemato il pezzo con il suo scudo semicircolare consentiva un brandeggio di 120° ed una elevazione assai limitata. Nelle fiancate e nella sezione inferiore delle gondole erano ricavate le riservette (332 granate esplosive da 57 mm e 6.272 cartucce nei carri maschi, 30.080 cartucce nei carri femmina). Entrambi i modelli di carri dovevano essere privati delle gondole per il trasporto ferroviario, e quest’operazione richiedeva parecchie ore di lavoro da parte dell’equipaggio.
Una delle cose che rivoluzionò l’adozione del carro armato fu la mobilità, ossia la sua capacità di andare dovunque, non fermarsi per niente, superare tutto. A questo serviva la forma romboidale, le dimensioni in lunghezza ed i cingoli avvolgenti. La lunghezza permetteva di superare le trincee più strette, la struttura dei cingoli avvolgenti insieme alla forma romboidale, permetteva di scendere nei fossati e buche più larghe e risalire dall’altra parte, nonché scalare muraglie di notevole altezza.
Un Mark I pronto a essere caricato su un vagone ferroviario. Notare l’ampissimo angolo di attacco e l’assenza delle gondole. Fun fact: le scritte in cirillico erano false e fatte per sviare eventuali spioni
Per sterzare, oltre a dispositivi meccanici di blocco di uno dei cingoli (ATTENZIONE azionabili solo a carro fermo) era presente nei primi modelli una coppia di enormi ruote metalliche posteriori che dovevano aiutare a “spostare” la parte posteriore nelle svolte. Tali ruote, a raggi e del diametro di 135 cm, venivano adoperate per le sterzate leggere in movimento e sollevate idraulicamente in occasione delle virate strette.
il meccanismo idraulico per il sollevamento delle ruote posteriori
Esse potevano essere orientate, come il timone di una barca, per mezzo di un volante che le comandava mediante cavi. Gli inconvenienti continui che si registravano a causa dell’allungamento dei cavi o della loro sfuggita fecero sì che verso la fine del 1916 tale apparecchiatura venisse smontata, anche se ciò comportava una diminuzione della capacità di attraversamento di trincee e fossati.
I cingoli erano costituiti da 90 maglie larghe 53 cm, ognuna dotata di due giunti rivettati e collegata alle adiacenti con un perno ovale assicurato da una coppiglia divaricabile. Per condizioni di terreno pesante (normale sul fronte) si potevano montare estensioni sulle piastre per aumentare la superficie della piastra del cingolo e scaricare il peso del carro su una superficie maggiore e “galleggiare” sul fango.
composizione dei cingoli del Mark 1
Nella parte superiore del carro il cingolo scorreva su due lunghe rotaie e dieci rulli di bronzo; inferiormente su ventisei paia di rulli (uno su tre flangiato). Ovviamente, la sospensione era rigida. Le ruote motrici erano quelle posteriori, quelle anteriori di rinvio erano provviste di tendi cingolo.
Il motore era un sei cilindri British Foster-Daimler, con valvole a fodero (come il tremendo Napier Sabre dell’Hawker Typhoon) sistema Knight di 13 litri di cilindrata, raffreddato ad acqua e capace di 100 cv a 1000 giri/min. Il radiatore era interno (per motivi di vulnerabilità) ed era di tipo tubolare con ventola che prendeva aria dall’esterno tramite una piccola griglia ricavata a sinistra della lamiera posteriore dello scafo.
Il motore infine era collegato mediante un albero alla scatola cambio; sopra di questo si trovava la manovella d’avviamento e, sotto, una cassetta per attrezzi. Posteriormente, la dinamo per le luci.
La trasmissione Wilsons era costituita da una scatola cambio che azionava altre due scatole ingranaggi, collegate con un differenziale e manovrate ciascuna mediante leve da due uomini. Lungo la parte posteriore di ognuna delle due fiancate passava la catena di trasmissione che collegava la ruota dentata di ogni cambio secondario all’ingranaggio della ruota motrice.
Il Mark I aveva lo scarico libero a camino verticale con piccoli deflettori a forma di tetto per impedire che entrassero fango e polvere, quindi faceva un fracasso infernale e la cosa era ritenuta positiva perché aumentava il terrore che incuteva il suo arrivo sul nemico, sputando fuoco e fumo. Drakaris!
Un tetto in rete metallica appoggiata su un telaio di legno (aggiunta da campo e non da officina) impediva che bombe a mano finissero sul tetto piatto e danneggiassero il carro esplodendo
Mark 1 “Female”, è ben visibile il tendalino in rete metallica anti granate
Tra il motore interno e lo scarico libero, più le cannonate, era impossibile parlare e il capocarro comunicava con il resto dell’equipaggio battendo dei colpi sul cofano motore e poi con gesti concordati.
Quanto a comunicare con gli altri carri e soprattutto con il comando… niente. Si parte e si va, quando (e se) torniamo vi raccontiamo tutto. La radio non era solo un lusso, era inconcepibile per le sue dimensioni, la portata e la sua fragilità (valvole eh!? Non transistor). Si usavano talvolta piccioni per mandare messaggi al comando sperando sempre che non finissero sullo spiedo di qualche soldato.
L’equipaggio era numeroso, non c’erano meccanismi automatici, tutto andava fatto a mano e quindi due soldati ai cannoni per caricare e puntare (non si potevano quindi utilizzare contemporaneamente i due cannoni sui due lati). Altri due, uno per lato, ad azionare freni e frizioni di ogni cingolo per sterzare, un motorista e un meccanico (che non si sa mai) considerati sacri. Un capocarro, un pilota. Otto persone in tutto.
Oltre a fumo, rumore e botte varie c’era il pericolo di prendersi qualche scheggia per questo gli occupanti del carro indossavano delle maschere protettive in maglia metallica
A disposizione del capocarro (ufficiale) e del pilota c’erano due portelli sollevabili. Sempre dinanzi all’ufficiale c’erano un portacarte ed un sostegno per il mitragliatore. A fianco del pilota si trovavano le leve di comando. La sterzatura era un lavoro di gruppo, faticoso e complicato. I due addetti al cambio azionavano gli ingranaggi relativi a ciascun cingolo, che dovevano essere innestati ogni volta che era richiesto un cambiamento di direzione.
Il carro non sterzava in movimento anche perché il rischio di scingolare facendo uscire il cingolo dalle guide era molto alta e la procedura era piuttosto complessa e lunga. La trasmissione Wilson richiedeva che la manovra venisse eseguita cosi: ricevuto l’ordine, il servente del lato esterno della curva doveva innestare la marcia (alta o bassa) mentre l’altro, sul lato interno metteva in folle. Il pilota doveva quindi bloccare il differenziale ed accelerare, mentre il capocarro metteva i freni al cingolo in folle, ed il carro finalmente prendeva la direzione desiderata. Naturalmente tutto questo processo doveva essere invertito se si voleva sterzare nella direzione opposta.
Riassumiamo qualche dato su come era fatto questo incredibile “ferro” perché di ferro si tratta e tanto!!
Lunghezza 9,9 m. con ruote posteriori 8,5 m. senza
Larghezza 4,17 m
Altezza 2,44 m
Peso 28 t (versione male)
27 t (versione female)
Capacità combustibile 230 l
Motore Daimler, 6 cilindri a benzina da 16 litri con valvola a fodero
Potenza 105 hp (78 kW)
Rapporto peso/potenza “male”: 3,7 hp/t
“female”: 3,9 hp/t
Sospensione rigida, 26 rulli non sospesi
Velocità 3,2 km/h
Velocità max 6 km/h
Autonomia 36 km
Corazzatura 6 -12 mm
Alcuni numeri oggi ci fanno ridere… ma come 3,2 km/h e 36 km di autonomia? Beh non ridete! Pensate ad un carro di accompagnamento fanteria, che deve stare loro a fianco, proteggerla e colpire i punti di fuoco nemico. Beh a quanto pensate voi potreste correre su un terreno devastato da bombe e filo spinato e magari pure ammollato dalla pioggia? Con uno zaino, scarponi, elmetto e un fucile lungo quasi due metri…. Più di 3,2 km/h??? Allora andate alle Olimpiadi!
Di conseguenza il carro a piena potenza e giri non ne deve fare di più o si lascia dietro la fanteria.
Secondo, autonomia di 32 km. Ridicola? Quanto pensate di poter camminare in un giorno? Piu di 32 km? Allora siete proprio da Olimpiadi. Il carro ha l’autonomia necessaria per accompagnare la fanteria per un giorno intero a 3,2 km/h, sono 10 ore di attività. Dopo 10 ore di guerra vi garantisco che vi fermate anche se siete Schwarzenegger.
Bene, motore con 100 cv. Pochi? Siamo nel 1915, quel motore era il massimo della tecnologia. Il Barone Rosso andava in giro per i cieli con 120 Hp e dominava. Voce corazzatura: 6/12 mm. Sufficienti a fermare i proiettili da 7 mm della fucileria e delle Maxim.
Quando i tedeschi, superato lo shock, usarono i proiettili perforanti K con anima in tungsteno e soprattutto il nuovissimo fucile anticarro Mauser T-1918, i Mark I non furono più invulnerabili, fu necessario evolversi e diventare Mark IV e Mark V… ma è un’altra storia.
Soldati inglesi mostrano un fucile anticarro (il primo della storia) tedesco Mauser Tankgewehr M1918 calibro 13.2×92 mm
Contro i pezzi campali da 75 mm non c’era comunque storia e questo valeva ancora nella Seconda Guerra MOndiale dove il Pak 40 da 75 mm (montato anche sul Panther e il Panzer IV) non ha mai avuto problemi a perforare carri alleati.
Il Mark I si trasformò quindi in Mark V. La sua evoluzione consisteva in serbatoio benzina blindato, non più interno e collocato tra le “corna” posteriori. Gondole laterali rientranti per diminuire l’ingombro nel trasporto stradale e ferroviario (in precedenza si dovevano smontare e trasportare separatamente).
Aggiungiamo catena di riduzione finale coperta da un carter per evitare infiltrazioni di fango, migliore sistemazione dell’equipaggio e del suo equipaggiamento con cassette per razioni viveri ed acqua potabile. Rotaia per trave da disincaglio, strumentazione più completa (bussola e segnali luminosi tra pilota ed addetti al cambio). Abbiamo poi cannoni più corti (al posto dei navali da 57/40) e mitragliatrici Lewis (e non Vickers) per non farli impigliare nei crateri o nel filo spinato, un silenziatore con un lungo tubo di scarico ed una cassetta superiore, scoperta, per il caricamento esterno sul tetto posteriore dello scafo e soprattutto maggiore corazzatura.
Un Mark V “Female” in azione, si notano la rotaia sul tetto con la trave di disincaglio e l’assenza delle ruote posteriori
15 Settembre 1916 – Fronte Occidentale — Battaglia di Flers-Courcellette
Un episodio dei tanti della Prima Guerra Mondiale, secondario e poco rilevante per molti ma di storica importanza per noi modellisti (almeno per quelli che amano i carri armati). Per la prima volta vengono impiegati in una azione di attacco i “nuovissimi” carri inglesi Mark I. Un impiego improvvisato e stupido perché rivelò prematuramente ai tedeschi la presenza di un nuovo attore sulla scena della guerra, un Impiego basato su un uso errato del carro, sia per l’esiguo numero che per il ruolo assegnato. Un impiego che può definirsi a posteriori un insuccesso clamoroso malgrado chi volesse poteva già allora intravedere negli eventi il vero ruolo che il carro armato avrebbe avuto nella guerra nel futuro.
Fabbrica per la produzione del Mark IV, una volta capite le potenzialità del carro armato ogni esercito voleva dotarsene
Sul momento i generali definirono bonariamente il carro armato “un utile accessorio per la fanteria” non comprendendo il potere di rottura insito nel suo impiego concentrato ed in massa e ci vollero quasi due anni perché questo concetto si facesse strada e mettesse fine alla interminabile e logorante guerra di trincea.
Se il fronte un giorno si sbloccò mettendo fine al conflitto è anche (e forse solo) per l’impiego da parte degli Alleati di carri armati, utilizzati in massa come elementi di punta per l’apertura di varchi nelle barriere di filo spinato, neutralizzazione delle postazioni di mitragliatrici ed attacco alle trincee nonché l’inseguimento del nemico in rotta impedendogli di riorganizzarsi. Una cosa che fino ad allora era stata realizzata (ed era sempre fallita) solo con il sacrificio di migliaia di vite umane scagliate in massa contro le postazioni nemiche.
Il carro uccise molti soldati nemici ma non dobbiamo dimenticare che salvò la vita ad un numero di fanti alleati forse dieci volte superiore. È assodato che da quando vennero impiegati in numero elevato le perdite della fanteria calarono di un fattore dieci e il morale dei fanti si risollevò perché non più costretti ad assalti suicidi carne contro piombo ma sempre scortati e protetti dai “fratelloni d’acciaio”.
Nell’azione di Flers-Courcellette, la Heavy Section MGC ricevette il battesimo del fuoco in un clima di improvvisazione, impreparazione e disorganizzazione. Non c’erano i carri ferroviari per il trasporto dei carri in prima linea, le radio che avrebbero dovuto essere montate su alcuni carri comando non vennero distribuite e finirono disperse, non erano state preparate le munizioni a shrapnel e c’erano solo proiettili ad alto esplosivo poco efficaci contro le truppe. Alla fine 49 carri furono trasportati a Bray-sur-Somme e poi dovettero raggiungere il fronte di notte e con i loro mezzi.
Quattro carri Mark 1 fanno rifornimento prima di prendere parte alla battaglia
Senza una adeguata conoscenza del terreno diversi carri finirono in fossi, canali, buche e solo 32 arrivarono a destinazione. Alle sei del mattino del 15 Settembre un fragore assordante svegliò i mitraglieri e i fanti tedeschi che si videro piombare addosso tra il fumo e la nebbia dell’alba un mostro d’acciaio che sputava fuoco e fiamme da cannoni e mitragliatrici.
I fanti di prima linea furono colti da uno shock tremendo, i mitraglieri dopo aver visto i loro colpi rimbalzare sulle corazze si arresero. Poi un cannone tedesco infilò un colpo fortunato su una torre laterale del carro D1 del capitano H.W.Mortimore e lo immobilizzò. Il primo carro armato colpito in azione della storia.
Un Mark 1 abbandonato sul campo di battaglia
Dei 32 carri arrivati al fronte nove non riuscirono ad avviarsi per noie meccaniche e rimasero dov’erano. altri nove persero la battuta e furono sopravanzati dalla fanteria e non furono di nessun aiuto. Cinque si impantanarono e non proseguirono oltre. Solo nove arrivarono all’abitato di Flers.
Uno dei carri della compagnia D, il D5 del tenente Blowers conquistò una posizione di artiglieria nemica mettendo in fuga gli artiglieri ma non c’era fanteria dietro di lui a rilevare la posizione e dopo ore di attesa tenendo a bada gli artiglieri fuggiti dovette ripiegare e allora gli artiglieri tornarono ai pezzi e lo colpirono posteriormente dove c’era il serbatoio ed il carro si incendiò ed esplose.
Il villaggio venne comunque conquistato ed un pilota che sorvolava il fronte lanciò un messaggio sul Quartier Generale che è rimasto famoso: “Un carro avanza nella strada principale con la fanteria inglese che gli cammina a fianco”. L’obiettivo assegnato alla compagnia C era l’appoggio alla fanteria canadese del 31st (Alberta) Battalion per la conquista della Fabbrica di Zucchero di Courcellette e delle relative trincee (Sugar Trench e Candy Trench).
La compagnia C insieme ad uno dei Mark 1
I carri della Compagnia C erano battezzati con nomi di bevande francesi che iniziavano con la lettera “C”, tre Male armati con il cannone e tre Female armati di mitragliatrici. I loro nomi erano: C1 “Champagne” (No 721 Male), C2 “Cognac” (No 522 Female), C3 “Chartreuse” (No 701 Male), C4 “Chablis” (No 503 Female), C5 “Crème de Menthe” (No 721 Male) e C6 “Cordon Rouge” (No 504 Female).
C1 si impantanò subito, non riuscì a disincagliarsi e venne abbandonato, C2 finì in un cratere di proiettile e non si mosse più, C3 colpito da schegge e con il meccanismo di sterzo danneggiato fini in una buca profonda e fu immobilizzato, C4 si ritrovò con i cingoli allentati che alle fine uscirono dalle guide immobilizzandolo. Il C5 “Creme de Menthe” che era a capo del gruppo di carri con C3 e C4 si ritrovò solo.
Proseguì fino al punto assegnato, non trovò nessuno e allora ripiegò verso il fronte. Arrivò così dalla direzione opposta nel bel mezzo della battaglia che si svolgeva attorno al Mulino della fabbrica di Zucchero dove i canadesi stavano soccombendo al fuoco dei tedeschi. L’arrivo di “Creme de Menthe” fu come l’arrivo della cavalleria: il carro arrivò a tutto gas alle spalle delle postazioni tedesche travolgendole e sparando con tutte le sue armi. L’intervento fu risolutivo, la vittoria andò agli alleati e la posizione venne conquistata. Purtroppo l’intervento di “Creme de Menthe” non riuscì ad evitare che 388 di 722 uomini del 31 Battaglione Canadese non rispondessero all’appello serale, il peggior bilancio dell’intera azione.
il carro “Creme de Menthe” all’attacco
“Creme de Menthe” ritornò nelle linee amiche per essere rifornito e in seguito il Capitano Arthur M. Inglis per l’azione di Coucellette ricevette la Distinguished Service Order (DSO) for “reaching his objective and manoeuvring throughout the whole operation”. Questa è stata in assoluto la prima decorazione assegnata al Royal Tank Corp. Anche C6 “Cordon Rouge” raggiunse gli obiettivi assegnati in questa azione, attaccò lateralmente Candy Trench mettendo in fuga gli occupanti e procurò al suo comandante il tenente John Allan la Military Cross.
L’unico carro Mark 1 “Male” arrivato ai giorni nostri, restaurato e visibile al Bovington Tank Museum
Articolo del maestro Sandro Degiani
Se siete bravi a cercare, procuratevi il fumetto di Sergio Toppi “Cronache d’armi” dove potrete leggere la storia “Il giorno che vennero i carri armati”. Toppi era un disegnatore originalissimo e un raccontatore ispirato. I suoi disegni dedicati alle storie della Grande Guerra sono più eloquenti di pagine intere di descrizione.
Grazie ragazzi, sempre molto interessanti i vostri articoli!
Splendida narrazione, fotografie drammaticamente belle, sono entrato in un film per un quarto d’ora !
> Nulla poteva opporsi a una carica di cavalleria, nemmeno i cannoni
Infatti bastavano una picca e una formazione circolare tipo schiltron scozzesi. Più o meno dal 1300 quindi.
Fra’ Umbertone il Bosso racconta che Wallace copiò l’idea dai Celtici Meridionali, gli eroici combattenti della Lega Piccante a Legnano, ma il cronista non è dei più affidabili.