EDIT del 2 marzo 2021: Abbiamo appena saputo che Alfredo Micheletti, primo storico pilota del Levi Dart, è venuto a mancare poco più di un mese fa all’età di 90 anni. Ci sembrava giusto ricordarlo, perché queste sono storie sì di cavalli, ma prima di tutto degli uomini che questi cavalli, chi più, chi meno, li imbrigliano.
Visto che su Rollingsteel finora avete letto di terra e di aria, di auto e di aerei, ora è il momento di leggere delle sfide su quello che il vecchio Pitagora classificava come il 3° elemento: l’acqua. Secondo Pitagora gli elementi che componevano l’universo sono 4: fuoco, aria, acqua e terra. Probabilmente la scienza in 2500 anni è andata avanti, si è scoperto che nell’universo ci sono altri componenti tipo il plasma, ma a noi frega niente e l’universo di Rollingsteel rimane fermo ai canonici quattro elementi. Fra questi quattro ce n’è solo uno che mette in comune aria, terra ed acqua, (leggasi aerei, auto e barche) ed è quello che Pitagora definì come il primo, quello che nella sua ziqqurat degli elementi era sopra a tutti, il fuoco. Quel fuoco che spinge i pistoni, che fuoriesce dai postbruciatori, che viene sputato dalle marmitte e, cosa più importante, che infiamma la nostra passione.
Quale migliore sintesi per iniziare a parlare di barche se non una progettata da un ingegnere aeronautico ed ex pilota RAF di Spitfire, con una forma che sembra un missile superficie/superficie con tanto di corte ali e propulsa con due pazzeschi motori Alfa Romeo? Ora immaginatevi questi sedici cilindri che urlano talmente da far intimidire persino il limitatore e che spingono questa barca come un dardo appena scoccato da una balestra. È Il dardo ciò che rappresenta meglio questa barca sia per l’aspetto che per come infilza onde ed aria. Il suo nome? “Dart” appunto (dardo per chi ha la sfiga di non capirci una mazza di inglese…). Mentre vi immaginate questa scena, con tanto di effetto doppler che vi fa sembrare che i motori girino agli improbabili regimi di una F1, facciamo però un passo indietro e capiamo come questo mostro, tanto rivoluzionario quanto inutile e tanto dannatamente efficace quanto effimero, sia stato concepito.
Il Nome “Sonny” vi dice qualcosa? Sonny era il vezzeggiativo (da son: figlio) affibbiato dalla sua governante al piccolo Renato Levi, la quale (come me) aveva serie difficoltà nel pronunciare la “ERRE” con cui iniziava proprio il nome del signorino. “Sonny” divenne poi il nome con cui si rese famoso nel mondo ed il nome di colui che rivoluzionò per sempre la nautica veloce. Renato “Sonny” Levi nacque a Karachi, Pakistan, nel 1926 da una benestante famiglia italiana che lì si era trasferita e lì aveva aperto un cantiere navale. Dopo aver prestato servizio nel primissimo dopoguerra come pilota nella RAF sugli Spitfire, studiò ingegneria aeronautica in Inghilterra ed una volta laureato tornò nel cantiere di famiglia per assumerne la direzione tecnica. Tornato in Italia nel 1961, costruì una barca che nonostante l’aspetto pacioso, lo pose nell’olimpo della motonautica e per dieci lunghi anni le sue creature furono la spina nel fianco di chiunque volesse cimentarsi nella motonautica d’altura. Questi dieci anni rivoluzionarono questo mondo, trasformando semplici barche da gite domenicali in feroci belve.
– La mitica “‘a Speranziella”, la barca con cui Levi ha cambiato il mondo della motonautica, grazie anche a due grossi motori Cadillac da 300 cv l’uno –
Dopo l’exploit della “Speranziella”, “Sonny” sapeva che bisognava di nuovo tirare fuori dal cappello qualcosa per rimanere sempre ai vertici. Il problema non erano i motori, le potenze c’erano, il grosso problema era come trasferire quelle potenze a quel fluido che il nostro Pitagora classificò come il 3° elemento, l’acqua. L’acqua non è come l’asfalto, sull’asfalto basta rotolarcisi sopra mentre nell’acqua bisogna avvitarcisi. Il sistema finora utilizzato erano tradizionali assi che uscivano inclinati dallo scafo, ma per via dell’inclinazione stessa e per gli attriti dell’asse e dei suoi supporti era come accelerare con il freno a mano tirato. In più si aggiungeva la rogna della cavitazione, fastidioso fenomeno che insorge se l’elica gira troppo veloce.
Cavitazione? Che roba è questa sconosciuta? La cavitazione si crea quando nella faccia in depressione della pala dell’elica, quella davanti, si crea troppa depressione e quindi l’acqua, per via del vuoto che si crea, comincia a passare dallo stato liquido a quello gassoso creando delle bolle di vapore molto rarefatto. Queste bolle riducono enormemente l’efficienza dell’elica e quando si creano, l’elica comincia a girare a vuoto, insomma come una gomma che… sgomma. Oltre a far perdere di colpo efficienza all’elica, queste bolle di vuoto poi implodono, e se implodono vicino alla pala dell’elica, l’implosione è tanto forte da riuscire a portare via molecole e molecole di bronzo o metallo che sia, formando dei buchi.
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La cavitazione sembrava un muro invalicabile o quasi. A causa di questo, per raggiungere alte velocità bisognava attingere a potenze che solo i motori aeronautici potevano offrire ma che, visti i consumi ed i pesi, mal si adattavano alle gare d’altura.
“Sonny” aveva già visto che ridurre l’attrito degli assi e dei braccetti era un’ottima soluzione, calcolò persino che il solo attrito di un asse a 50 nodi si mangiasse la bellezza di 150 cavalli, mica poco! Già sue diverse barche avevano la particolarità di avere due motori collegati ad un solo asse, questo per limitare al massimo l’attrito. Con il “Bill Bull”, barca da corsa costruita per il Conte Agusta (sì, quello degli elicotteri) si spinse al limite di dove potevano arrivare due motori collegati ad un’elica tradizionale, ma per andare oltre ci voleva un colpo di genio.
– La bellissima Bill Bull per il Conte Agusta, 800 cv generati da due possenti BPM Vulcano da 400 cv l’uno, immagini tratte dal libro “Milestones in My Designs” di Sonny Levi –
Il colpo di genio arrivò quando Sonny, a conoscenza degli studi di inizio secolo di un certo Albert Hickman (un geniale canadese che a causa del suo pessimo carattere, tante ne inventò e tante ne inventarono gli altri per non avere a che fare con le sue invenzioni e con il suo carattere) pensò di perfezionare le idee di quel burbero canadese e di creare la prima vera elica di superficie, con la cui formula sia il problema della cavitazione che quello dell’attrito venivano fatti sparire come in un gioco di prestigio.
Uovo di Colombo? Si! Infatti immergendo in acqua (in assetto di planata) solo la parte inferiore del disco dell’elica non solo si toglieva l’attrito di asse e braccetto, ma ad ogni giro che l’elica compiva, le pale passavano in aria sopra la superficie e quando si rituffavano in acqua portavano con loro tante bolle d’aria che andavano a saturare le bolle di vuoto, annullando di fatto la cavitazione. Quindi l’elica doveva lavorare ad altissima velocità e spingeva la barca solo con le facce poppiere delle pale, quelle in pressione.
ra proprio una idea fighissima e cazzutissima (apprezzate il mio modo di essere gender correct), ma per mettere in pratica quella idea ci voleva una barca altrettanto figa (la barca è donna, quindi è solo figa) con molte altre innovazioni, non bisognava solo fare, si doveva strafare, così nacque il Dart 38.
Il Dart nacque da una felice combinazione di fantastiche occasioni: un’idea geniale, un cantiere che voleva cimentarsi nella costruzione di una barca allo stato dell’arte della tecnologia ed un team della Madonna (da cui nacque un vero ferro del dio). A questo tris si aggiunse un’altra carta: quella carta che ad un tavolo da gioco fa la differenza fra il tris ed il poker. Questa carta si chiama Carlo Chiti. Qui su RS non ho bisogno di presentarlo troppo (abbiamo già parlato di lui e del suo Motori Moderni Subaru), dico solo che se la Ferrari è la Ferrari e l’Alfa Romeo è l’alfa Romeo, in gran parte lo dobbiamo a questo ingegnere (aeronautico anche lui) toscano, sua è l’auto più figa (D’Annunzio ha sancito che l’auto è donna, quindi anche l’auto è figa) che l’asfalto abbia mai visto, l’Alfa Romeo 33 stradale.
– come dice? Due V8 per una barca da corsa? Bene, bene, dovrei aver qualcosa qui dietro all’Autodelta. –
Quindi cosa c’entra un’auto fighissima come la 33 stradale con il nostro Dart? Semplice: il motore, anzi, i motori. Infatti qualche tempo prima, Chiti aveva chiamato “Sonny” dicendogli che da lui, all’Autodelta, avevano un motore derivato dalla 33 che poteva andare benissimo per un offshore. Si trattava proprio di quel… scusate ma non trovo l’aggettivo adeguato, quindi passiamo oltre… motore che spingeva la 33 stradale a velocità impensabili per i suoi soli 2 litri di cilindrata e per gli anni ’60 in cui si trovava. Quel motore che equipaggiava una macchina che costava molto ma molto di più di qualsiasi altra auto sportiva dell’epoca e che nella sua versione dedicata alla nautica era addirittura passato dai 2 litri originari ai 4 litri e da 250 a 500 cavalli tirati fuori a 8.200 giri. Stiamo parlando di 125 cavalli/litro sviluppati da un V8 aspirato (aspirato!!!!) di soli 200 kg di peso, un motore sviluppato per la Alfa Romeo 33/4 del campionato CanAM, un vero mostro.
L’idea geniale fu buttata giù su carta già nel ’68 (con il progetto che Levi chiamò Ramcraft 32) e nel ‘71 divenne definitiva con il nome di Dart 38. Le innovazioni erano fin troppe, era stretto e lungo come nessun altro scafo di allora, 8:1 il rapporto lunghezza larghezza, le altre barche al confronto sembravano casi umani del dottor Nowzaradan. La prua era affilata come un dardo di Gugliemo Tell, così affilato perché non doveva solcare le onde ma trapassarle, proprio come il dardo trapassava la famosa mela. Si trattava di una prua che da allora definiamo “wave piercing”, una forma che permetteva di navigare senza che le onde variassero continuamente l’assetto longitudinale.
– Schizzi del Ramcraft 32, una bomba –
A rendere ancora più aerospaziale la forma dello scafo, ci pensavano due appuntite e corte ali che ricordavano più un sidewinder che un dardo medioevale. Da patito di aerei (come noi), le due ali a diedro positivo erano state ideate da “Sonny” per aumentare la stabilità sia aerodinamica che idrodinamica e di smorzare quello che in gergo aeronautico si chiama Dutch Roll, ovvero il rollio ritmico. Per riuscire a far stare i motori in uno scafo così stretto, questi vennero piazzati uno davanti all’altro disassati, entrambi vicino alla linea di mezzeria.
– trasparenza del Dart 38, prego notare i due possenti V8 Alfa Romeo montati disassati –
La coperta era un vero tripudio di enormi prese d’aria, tante e tali da far passare il cofano di un ferro da rally degli anni ’90 come un esempio di razionalismo e pulizia estetica. L’equipaggio? Quale posto migliore per i piloti se non la poppa, ma qui sono tanto dietro che sembrano seduti sul sedile della suocera di una autovettura boat-tail degli anni ’20, addirittura a sbalzo sullo specchio di poppa. Questa soluzione permetteva di spostare più a poppa possibile il baricentro della barca oltre che dare maggiore confort a chi era ai comandi in quanto più indietro si va e minori sono le accelerazioni verticali, quindi idea per niente stupida ma che……(non spoilero, quindi continuate a leggere).
– prego notare la posizione dell’equipaggio e le prese d’aria per alimentare i V8 Alfa Romeo –
Lo scafo venne costruito dal cantiere milanese Vega con delle speciali resine di tale raffinatezza che fino ad allora nessuno aveva mai utilizzato nella nautica, il mondo ne fu tanto impressionato da far nascere la leggenda metropolitana (però smentita dallo stesso “Sonny”) che si fosse utilizzato addirittura il carbonio (sarebbe stato come se oggi costruissimo una barca in grafene). Infine, a poppa spiccava lo step drive, da poco ideato, ovvero la moderna elica di superficie, ovvero l’unico sistema per andare davvero forte sull’acqua.
Il Dart 38 era un vero prototipo, un laboratorio galleggiante, una sintesi di avanguardia e prestazioni, un vaso di Pandora pieno di aspettative e sogni di un dream team nato apposta per l’occasione. Dart venne presentato, fra l’incredulità del pubblico, al Salone Nautico di Genova del 1972, quell’unico anno dove di saloni di Genova ce ne furono addirittura due.
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Nelle prime prove in mare il Dart si dimostrò impressionante, un vero puledro da corsa con i suoi nobili motori Alfa Romeo. Proprio come i migliori destrieri, anche il Dart 38 era una barca difficilissima, ma una volta domata impressionò per la velocità, 87,1 mph, leggasi 75,7 nodi e non mettetevi a disquisire che 140 km/h sono pochi visto che siete abituati ad auto che vanno ad oltre 300 km/h ed aerei che superano mach 3, perché tirare i 140 km/h sull’acqua non è roba da tutti. Centoquarantachilometriallora sull’acqua erano tantissimi e sono tanti ancora oggi, quindi non rompete il belino (come diciamo dalle mie parti) perché all’epoca era forse (dico forse perché so che ci sarà sicuramente qualcuno che alzerà la mano per cercare di contraddirmi) l’offshore più veloce al mondo.
– Alfa Romeo: e basta. –
Il suo problema? È che quando si cercava di superare il muro delle 90 miglia orarie (144 km/h), appariva il problema del porpoising, ovvero l’instabilità longitudinale, stesso problema di manovrabilità che ebbero i piloti dei primi caccia a reazione se provavano a superare con lunghe picchiate la barriera del suono (su questo argomento sta arrivando un articolo bombissima, ma se vi interessa l’argomento intanto beccatevi QUESTO).
Ad ogni modo nel 1973 il Dart 38 venne iscritto ad un paio di gare: nella prima ruppe la ruota del timone e si dovette ritirare, nella seconda, durante le prove, il copilota si accartocciò su un’onda e ridotto ad una fisarmonica non poté partecipare alla gara. Nonostante questo la barca si presentò lo stesso al via ma con un solo membro dell’equipaggio. Subito velocissima ed imprendibile, quando la barca si trovò con il mare in poppa iniziarono i problemi: all’equilibrio generale della barca mancavano gli 80-90 kg (quelli del copilota) piazzati due metri a sbalzo dietro lo specchio di poppa, quei chili indispensabili per abbassare la poppa ed ad alzare la prua. L’epilogo? La barca era sì pensata per essere wave piercing, ma non era pensata per essere trasformata in un u-boote tedesco in rapida immersione… infatti entrò dritta in un’onda e le tante (troppe?) prese d’aria che dovevano servire a far respirare i due magnifici motori convogliarono tanta e tale massa d’acqua all’interno del vano motore che la pressione fece esplodere il portello della sala macchine (cofano per gli amanti dei ferri) dritto in faccia al povero timoniere, rompendo in maniera lieve la protezione del cockpit ma demolendo in maniera totale il morale del dream-team che tanto aveva creduto ed investito nell’impresa.
– opsino –
Dopo questa esperienza traumatica il Dart 38 venne accantonato e poi demolito ma rimase il primo vero laboratorio navigante per testare tutte le innovazioni che si portava a bordo. Le eliche di superficie diverranno in seguito la scelta obbligata per andare forte sull’acqua, gli scafi degli offshore si faranno stretti e lunghi ispirandosi al Dart e gli scafi disegnati per passare dentro le onde saranno in seguito realtà.
P.S. Carlo Chiti ammise infine che i motori in effetti non necessitavano di tutta quell’aria, quindi tale tripudio di prese d’aria manco fosse un MiG, il nostro “Sonny” poteva evitarsele. Del senno di poi le latrine ne sono piene, però se il grande Chiti non si fosse sbagliato, ora il Dart 38 non sarebbe celebrato come un purosangue senza gloria, perché di premi ne avrebbe sicuramente vinti tanti.
Torneranno ancora questi progettisti a creare il futuro?
Grazie l ho trovato molto interessante
Raccontato con entusiasmo, sembra esserci! Complimenti
Articolo veramente appassionante
Articolo bellissimo. Ottimamente documentato. Tutto vero!! Conoscevo Chiti. E cercando un motore 33 8 cilindri trovai invece un 33 4000. A Milano 25 anni fa non era così difficile
Allora:
durante le prove della Bastia Viareggio fu deciso li per li di allungare il gradino per i suddetti problemi di beccheggio e mentre i dart era sollevato io ebbi la pessima idea di passare quasi sotto il gradino e mi cadde qualche goccia calda degli scambiatori sul braccio.
Questo me lo ricordo.
il fattaccio avvenne durante le prove dove chiesero a mio padre si sostituire il secondo ma lui giustamente appese l ombrello , quindi Alfredo Micheletti riprese il largo da solo e s’ infilò nell’ onda se ne accorse subito mio fratello che era a prua della “barca appoggio” del Chiti.
Non so se il peso di un uomo avrebbe potuto cambiare le cose.
Micheletti aveva un segno scuro sul casco, lo buttarono in acqua per farlo riprendere un po’, comunque l avventura Dart finì così.
Da rilevare fu un podio, se ricordo bene, in classe 3 del Tibidabo scuderia UFO equipaggiato, sempre dal Chiti , con 2 motori Alfetta.
Ricordo sempre di Sonny Levi uno dei primi catamarani, l’Arcidiavolo, e poi ancora il plotone di cigarette di Bonomi, Balestrieri (black tornado) , e quello di De Angelis (padre)
Dovevo avere intorno ai 7 anni .
Enrico Surace
Saluti a tutti.
Ancora “eruditamente APPASSIONANTE”: quello che si può definire “un varo PROFESSORE” che sa trasferire le proprie “conoscenze SCIENTIFICHE” coinvolgendo l’uditorio! Ancora grazieeeee “P”rof!!! ✌️