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3 moto da mettere in salotto (e usare)

In breve: cosa comperare se hai 3 posti in salotto per le moto.

Iniziamo con un paio di premesse: uno, il mondo del collezionismo ha regole tutte sue che non capisce nessuno, neanche i collezionisti e due, in questo articolo descrivo 3 modelli che potrebbero entrarvi in salotto (se siete dotati di moglie/fidanzata misericordiosa).

– se ci sta questa, ci stanno anche 3 moto –

Le moto che finiranno in salotto devono avere tre caratteristiche: a) essere fruibili giornalmente, b) non costare uno sproposito, sia di acquisto che di manutenzione, c) con buone chance di una rivalutazione in futuro. Quindi niente Honda CB 750 Four (bellissima, già carissima, e dura da guidare che neanche una Munch), varie moto inglesi (tutte belle, ma con le loro terrificanti fantastiche vibrazioni sono più i bulloni che lasciate per strada che quelli che vi restano attaccati), oppure Ducati Scrambler (costa, non va un tubo e ha una manutenzione da Bentley anni ’40), etc ect.

– quando ti avanza un motore di una NSU 1200 e non sai dove metterlo –

Ah, è poi c’è un’altra condizione: queste piacciono a me, e siccome l’articolo lo scrivo io, ci metto quello che mi pare. Però, se la Redazione non mi sbatte fuori, potrebbe essere che in futuro nella mia wish list ne metta qualcuna che vorrete segnalarmi voi, e ci rifaccia un articolo.

Veniamo al concetto di collezionismo. Vi sono varie tipologie di malati del passato che si dedicano a questa nobile arte. I primi sono quelli di alto profilo, dotati di tutte le caratteristiche necessarie: hanno un pacco di grana, un castello o uno stabilimento ove mettere le creature, e infine una cultura enciclopedica sui mezzi che posseggono. Si contano sulle dita della mano.

Dall’altro lato della barricata ci sono gli accumulatori seriali. Gente che in preda a un disturbo compulsivo non fa altro che infilare – spesso uno sopra l’altro – mezzi che non hanno nessuna ragione di coesistere nella stessa collezione (anzi, spesso nella stessa cantina). Famosa la storia dei fondatori di una nota radio privata milanese, con una “collezione” situata in un enorme capannone vicino a Pavia; quando nel 2004 fu sequestrata dalla Guardia di Finanza (per altri reati) vi erano oltre 1.600 moto, 5 aerei, decine di ambulanze (!?!?) e un paio di centinaio di auto. Probabilmente nessuno di questi mezzi era mai più stato acceso dal momento dell’acquisto da parte dei famelici fratelli.

– io ho visto cose che voi umani… –

In mezzo vengono i collezionisti “umani”, quelli che nel corso della loro vita sono riusciti a mettere su una collezione misurata, fatta di passione e conoscenza. Non importa se possiedono 1, 5 o 25 mezzi: li amano tutti. E di tutti sanno vita, morte e miracoli. Magari li hanno acquistati perché il papà ci portava in vacanza tutta la famiglia, oppure perché il vicino di casa ne aveva una e loro hanno passato l’infanzia a fantasticare che, una volta diventati adulti e in grado di permettersela, se la sarebbero comperata. Oppure hanno iniziato ad affezionarsi al marchio o al mezzo leggendo articoli come questo. Quindi chiariamo: se amato, qualsiasi mezzo meccanico è degno di essere collezionato, qualsiasi cilindrata abbia, di qualsiasi potenza goda, a qualsiasi anno appartenga e qualunque sia il suo valore.

Partiamo con un 125 2 tempi: il mitico Zündapp da strada, e la sua derivazione Laverda. La Zündapp è una casa che nasce nel pieno della Grande Guerra ma a produrre motociclette non ci pensa proprio: ha l’obbiettivo di produrre munizioni a più non posso, supponendo che, al termine del conflitto e con la vittoria in pugno, troverà un posto tra le grandi industrie dell’Impero Austroungarico. Invece i crucchi gli austroungarici perdono sia la guerra che l’Impero. Al che i nostri decidono di riconvertire la produzione di munizioni prima in parti meccaniche, poi assemblando auto e moto per arrivare nel 1940, quando quella testa malata del caporale boemo si mette a riattaccare briga. A quel punto a Zündapp e BMW viene chiesto di produrre un mezzo adatto alle imprese belliche e ne escono quei capolavori della KS 750 e BMW R75.


– sembrano uguali, ma non lo sono –

Finita la seconda guerra con la seconda batosta, la casa vivacchia con modelli poco apprezzati all’estero sino a quando non inizia a produrre moto da fuoristrada a 2 tempi. Nascono così le mitiche GS, che nel periodo ‘60-’70 vincono tutto quello che c’è da vincere nella Regolarità.

– un grosso grazie alla Bibbia, Motociclismo –

Qua va aperta una parentesi per coloro che negli anni ’70 non avevano neanche pensato di venire al mondo. Durante quel periodo, i 16enni, target dei 125, andavano in giro con le moto da Regolarità, sia per una questione di status symbol, sia perché le prestazioni delle 125 da strada erano lontane anni luce da quelle con le gomme tassellate: arrivavano di fatto tutte del decennio prima, quando la moto di piccola cilindrata era pensata soprattutto come strumento di trasporto, spesso surrogato all’auto che non tutti potevano permettersi. Quando nel 1971 irrompe la Zündapp KS 125 da strada, traccia un solco.

– roba fatta bene –

Anche perché entro 2 anni si evolve con tanto di freno a disco anteriore, per arrivare addirittura al raffreddamento ad acqua nel 1976.

– qua la 175, ma è identica alla 125; una vera moto –

– con un cruscotto da vera moto –

Comoda come una vera moto, con tanto di cupolino, parte al primo colpo (cosa non scontata in quegli anni…) è silenziosa e fila come un missile: 120 Km/h. L’importatore italiano, il grande Perere, intuisce immediatamente la validità del ferro e si strumenta per venderne una caterva. La Bibbia (Motociclismo) la prova prima nel ‘76 e poi nel ‘78; la prima versione, con freno a tamburo, raggiunge i 123 km/h, la seconda, raffreddata ad acqua, 1 km/h meno. Il motore è un vero gioiellino, tanto che i fratelli Laverda (quelli della Laverda, appunto…) intuito il momento favorevole per le piccole cilindrate “premium” invece che lanciarsi nella ciclopica impresa di mettersi a progettare un motore ex novo, decidono di usarne uno già fatto. E qui va citato un episodio d’altri tempi. Piero e Massimo Laverda, mentre tornano da un viaggio in Europa, decidono di fermarsi – senza preavvisare – a Monaco, sede della Zündapp. Entrati negli uffici, chiedono di parlare con il direttore commerciale, che li ascolta; a metà li ferma e va a chiamare Neumayer, il Presidente. Finisce che i 2 fratelli veneti se ne tornano a Breganze con un motore nel baule della macchina e l’accordo di distribuzione siglato da una stretta di mano. Nasce così la Laverda LZ (Laverda Zündapp), che darà del filo da torcere anche alla progenitrice, sia in fatto di vendite – costava circa 300.000 mila lire in meno, ovvero circa 1.300.000 lire contro le 1.600.000 della Zündapp – e anche in fatto di prestazioni, non tanto velocistiche, quanto di tenuta di strada.

– qualità tedesca, design italiano –

QUALE PRENDEREI IO: tutte e 2 ovviamente, con la predilezione per la Zündapp nella versione ad acqua penultima serie (dal ’78 all‘81) perché è la più equilibrata, e per la Laverda la “Elegant” dell’81.

COSA OSSERVARE: il cambio ha innesti lunghissimi – va alzato il piede dalla pedana per salire di marcia anche se avete il numero di piede di Shaquille O’Neal – e se non gratta, il cambio è a posto. La frizione è sempre stata un po’ legnosa. Gli ammo posteriori facevano schifo allora – sia per la KS che montava i Koni, sia per quelli della LZ – figuriamoci dopo 40 anni; prevedetene la sostituzione. Meglio sempre un mezzo ben tenuto, perché anche se è un 125, metterci le mani pesantemente potrebbe costarvi caro.

QUANTO PAGARLA. Motociclismo d’Epoca indica 2.200 euro per la Zündapp e 1.700 per la Laverda; sono cifre oggettivamente basse; se volete un ferro degno di essere messo in salotto, direi che siamo più sui 4.000 (KS) e 3.000 (LZ).

(Nota di Colore 1) In famiglia abbiamo avuto una Laverda Zündapp; era di mia sorella. Siccome i nostri non erano d’accordo e ai tempi la sorella era minorenne, la comperai a mio nome. Quando andammo a ritirarla, da Cinque Anelli (negli anni ‘70 era un posto che aveva sempre le vetrine piene di bava dei 16enni di allora; credo sia l’ultimo negozio dei tempi rimasto in attività – anche se ora vende abbigliamento e accessori … – se però volete andare in via Novara a sbavargli sulle vetrine, non penso se la prendano più di tanto…) l’addetto ci spiegò come accenderla, come mettere le marce, etc, etc.. al momento di consegnarla, visto che ci stava salendo lei, chiese -: Patente ? tutto a posto ?.. – al che la sorella lo guarda come si guarda uno che ti ha appena chiesto spiegazioni sulla teoria dei Quanti… rimane muta per qualche istante per poi uscirsene con un -: Patente ? ma perché, ci vuole la patente?? Con il Peugeot (un cinquantino) mica me l’ha mai chiesta nessuno…… – Finì che la moto la portai a casa io e la sorella ci mise le chiappe sopra un mese dopo (non chiedete come ottenne il documento di guida, non chiedete….). La usò per un paio d’anni, seminando il terrore tra Milano e il Tigullio, sino a quando non decise di piantarla nella fiancata di un autobus in centro a Milano. Siccome era una personcina prudente, già aveva fatto suo il motto del grande Nico Cereghini “luci accese a casco ben allacciato. Sempre”. Le luci erano effettivamente accese, e anche il caso era ben allacciato. Al portapacchi posteriore però. Totale del danno: 3 giorni di coma. Moto venduta.

(NdC2). Mentre mi accingevo a scrivere l’articolo, mi chiama un amico di infanzia chiedendomi di andare a vedere un paio di mezzi che si era dimenticato nelle stalle per capire se “valessero qualcosa o fosse il caso di demolirli”..…. Uno è quello qua sotto

– è stato come scoprire il Santo Graal –

– è pure tutta intera… –

– …con pochi chilometri… –

– …e c’ha pure il motore!! – 

– gli chiedo cosa ci fosse sotto il secondo telo verde e se ne esce con questo: non c’entra con l’articolo, però mi sono commosso 2 volte –

Risultato: portate a casa entrambe.

Passiamo ad una motorona, nel senso dell’esagerazione motoristica: Honda CBX 1.000 6 cilindri.

– bella, possente, veloce, elegante: serve altro? –

Nel 1959 Soichiro Honda aveva già deciso di diventare leader nel mondo delle 2 ruote; scatena i suoi ingegneri nelle moto da GP, e arriva a creare degli articoli da orologeria svizzera nel 1964 come la 250 6 cilindri (un affare da oltre 20.000 giri…).

– gira come un frullatore, ma ha tutto un altro suono –

Non pago, nel 1977 decide di affidare a Soichiro Irimajiri (che sarà anche il padre della Gold Wing e della sfortunata NR500 a pistoni ovali da GP) il progetto per – continuare a – stupire il mondo, una 1.000 a 6 cilindri in linea. In realtà 5 anni prima la Benelli di De Tomaso aveva già presentato una 6 cilindri, la 750, ma a chi ha avuto l’onore – o l’ardire – di provarla come il sottoscritto, ha lasciato una pessima impressione (migliorerà, ma non tantissimo, nel ‘79 con la 900).

– l’idea non era per nulla male…neanche l’estetica a dire il vero… però il risultato su strada lasciava ampi margini di miglioramento –

L’ing. Irimajiri si mette subito al lavoro per creare una moto fruibile da gran turismo, con una coppia da Caterpillar (non l’avrà) e un handling simile alla CB 750 Four (anche se questa non è che ne avesse molto ehh…).

– una scultura, decisamente –

Il Motore è un’opera di ingegneria: un 6 cilindri largo solo 5 cm in più del 4 della CB 750, doppio albero a camme in testa, 4 valvole per cilindro, 6 carburatori disposti a freccia (per diminuirne la larghezza complessiva), 105 cv (tanti per l’epoca) a 9.000 giri, mentre la ciclistica avrebbe meritato maggior attenzione, soprattutto per le ruote scomponibili Comstar (non che io le ami moltissimo… flettono giusto un pelo..) e la forcella anteriore da 35mm, che risulterà un po’ sottodimensionata. Però la moto è comodissima, viaggia da 1.000 giri sino ai 9.000 in 5° in assoluta souplesse e frena anche il dovuto. E nonostante i 270 kg sulla bilancia è anche relativamente maneggevole. Per la moto che è (non esattamente a buon mercato), è un successo di vendita.

– ma chi era il creativo?? –

– come snaturare la bellezza pura –

QUALE PRENDEREI IO: ci sono 4 serie, ma di fatto 2 versioni; la prima dal ’78 all‘80, una “nuda” con gli ammortizzatori posteriori e la seconda, dal ‘81 all’83, con un cupolone/carenatura e il Pro Link al posteriore. Io prenderei la prima versione, no way. Oltre ad essere più gradevole sotto l’aspetto estetico, ha anche un futuro valore collezionistico migliore, anche se è quella prodotta nel maggior numero di esemplari (34.400 su un totale di 41.200). Di questa, preferirei la prima serie denominata Z; la seconda, sempre “nuda, avrà 5 cv in meno.

COSA OSSERVARE: come molti prodotti jap sono robuste e di sana costituzione; il problema principale potrebbe arrivare dalla batteria dei 6 carburatori Keihin da 28, non tanto perché siano 6, quanto perché le membrane interne, dopo anni – magari di inutilizzo – potrebbero seccarsi. E ancora più seccante sarebbe metterci le mani. Se però il mezzo parte, tiene il minino e sgasando non si spegne o resta accelerata, direi che siamo a posto. Altro elemento critico è la frizione, che spesso dopo un uso intenso iniziava a strappare.

– qua bisogna trovare un carburatorista con i controc… –

QUANTO PAGARLA: la Bibbia riporta una quotazione di 7.500 euro, e qui non siamo molto distanti dal valore di un modello ben tenuto. E che sia ben tenuto è d’obbligo, perché qui non si tratta di mettere le mani su un monocilindrico 2 tempi, ma su un motore complicato che richiede una expertise assoluta; direi quindi che siamo sugli 8-10.000 euro per un prodotto senza difetti.

– ancora oggi saprebbe dare del filo da torcere a tante hypersport moderne –

L’ultima della lista è Yamaha FZR 1000 EXUP. Non è esattamente una moto daily user, e non perché non sia affidabile, ma perché è una di quelle che oggi definiremmo hyper sport, anche se è un’ipersportiva fine anni ’80, ergo comunque più tranquilla dei mostri di oggi da 220 cv. Di cavalli per l’epoca ne aveva tanti, 145, che la ponevano ai vertici della categoria.

– la prima versione, senza valvola Ex-Up –

La 1000 EXUP nasce come evoluzione della FXR 1000 Genesis (135 cv) nata nel 1986 in diretta concorrenza con un altro bel ferro dell’epoca, la Suzuki GSX 1100 R, una sorta di race replica delle moto da Endurance di allora, una roba da veri uomini (o vere donne): “solo” 116 cv ma erogati con brutalità e una semplicità di guida simile alle Laverda SFC 750 (per fare i tornanti dovevi buttare l’ancora…)

– una vera race-replica da Endurance… –

Sin dall’inizio la Yamaha chiarisce che con lei le cose sono diverse; dotata di 5 valvole per cilindro, fluida, e grazie al telaio Deltabox – già usato nelle corse ma mai nelle moto di serie – decisamente più guidabile della principale concorrente.

– …ma anche lei non è da meno –

Nell’88 Yamaha fa un balzo in avanti e presenta la FZR Ex-Up, ovvero la 1.000 dotata di una valvola elettromeccanica allo scarico governata dalla centralina di accensione che consente di variare le onde di pressione all’interno dell’impianto di scarico, consentendo un miglioramento dell’erogazione ai bassi e medi regimi (pippotto tecnico finito). Il mezzo si rivela il più veloce di tutte le concorrenti, con 270 km/h di velocità effettiva e diventa leader nelle vendite nel suo settore. La produzione terminerà nel ’95, anche se nel ‘90 abbandonerà i sensuali doppi fari tondi per un – anonimo – faro trapezoidale.

la linea rimane, ma puoi mettere ‘sto fanale ??

QUALE PRENDEREI IO, sicuramente la prima serie ExUp che va dall’88 al ’90; quei 2 fari davanti fanno troppo Bol d’Or anni ‘70 e ‘80.
…non c’è competizione

COSA OSSERVARE: il funzionamento della valvola Ex-Up

QUANTO PAGARLA: anche qui vale il discorso della moto ben tenuta versus rottame. Sul web di belle se ne trovano dai 4 ai 6.000 euro, e se sono belle anche dentro, sono soldi ben spesi. Da evitare moto acciaccate, vissute o mal tenute. Costeranno anche poco, ma il rischio di non finire mai di sistemarle è forte.

Ps. Avvertenza per coloro che non hanno mai guidato moto di 30 o 40 anni fa: teniamo presente che handling, frenata e tenuta NON sono paragonabili alle moto odierne; evitate di staccare dove lo fareste con una Aprilia RSV: saggiare la rigidità di un guard rail potrebbe non rientrare tra i ricordi piacevoli.

E ora vi saluto; ho 2 creature salvate da un fienile (era una stalla) da curare e accudire.

Articolo di Marco Cesare Canella, che sin dalla nascita viene educato a suon di Motociclismo e Quattroruote e non si riprenderà più; resterà un petrolhead per tutta la vita.

Articolo del 13 Dicembre 2021 / a cura di La redazione

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  • Flavio

    Quanti ricordi….mio cuggggino aveva la zundapp, lui era il “gallo” della borgata, all epoca ero piccolo ma vederlo su quella moto mi faceva sognare me al suo posto!
    Le mie preferite sono la cagiva mito, la suzuki srad, quella col codone, e la zzr che aveva mio zio(il padre del gallo), era veloce e comoda, ogni tanto ne vedo ancora qualcuno, credo perche ben fatta.
    Complimenti per l articolo!!!

    • L'Autore

      Caro Flavio,
      grazie per i complimenti. Anche la Mito ha il suo perchè: ferro di gran qualità.

  • Michele

    Grazie per questo meraviglioso viaggio nella mia adolescenza avanzata…. Honda CB 6 cilindri, primo giro da passeggero della mia vita, 150 all’ora senza casco (allora non era obbligatorio…), mi ha segnato per sempre . Coi 125, al mio paese regnavano i Morini e i Benelli, le Zündapp erano guardate con sospetto
    La ExUp…..che je vòi di’……

    • L'Autore

      Caro Michele,
      grazie a te per l’apprezzamento. Anche ai miei tempi si andava in giro senza casco…. e le emozioni a testa nuda sono effettivamente indimentiucabili (ma adesso non riuscirei a fare 10 metri senza…).

  • Bigliettaio

    Allora: io sono del ’54 e giocoforza il decennio ’70 lo ricordo bene. Dove mettiamo le (parto dalle “piccole”): Guazzoni Matta, Matacross, Regolarità Competizione? E poi: dove le Gilera Regolarità Casa e Regolarità Competizione? E poi le Müller? Complimenti e ciao

    • L'Autore

      Caro Bigliettaio,
      Grazie per i complimenti. Anch’io ricordo perfettamente il Guazzoni Matta (aveva addirittura l’ammissione a disco rotante… roba che avremmo trovato nelle altre 20 anni dopo); se parliamo poi di Gilera Casa e Regolarità Competizione…mi si stampa un sorriso… Ma è sentendo il nome Muller che mi si apre il cuore. La mia prima moto “seria” è stato un Muller Zundapp 50 (II serie). Indimenticabile.

      • Bigliettaio

        Io ho avuto un padre strano, nei confronti delle due ruote: a fatica riuscii (tra gli “spigliati” ero rimasto l’ultimo senza, in classe) a spuntare nel ’69 il cinquantino, approdando infine ad un -ottimo, devo dire- Corsarino Scrambler 50 1a serie; il Genitore apparteneva alla generazione che -grazie ad un’adolescenza indipendente e di certo non latina, ma anche a causa della guerra- sapeva mettere le mani con cognizione di causa ovunque, motori e ciclistica inclusi. Servendo da ufficiale inferiore nella Flak (Luftwaffe antiaerea-anticarro, per semplificare) ed avendo in gruppo batterie sempre da una a due Zundapp KS750, ebbe modo, anche a distanza di anni, di parlarne con ammirazione riguardo la meccanica (pur ritenendola difficoltosa se non pericolosa in sidecar).
        Episodio: proprio riguardo una scorrazzata non autorizzata con una KS e relativo incidente e messa fuori uso del mezzo (dovevano badarvi molto, non come gli americani), nel ’44 un Gefreiter (caporale) si beccò da lui una settimana di arresti in fortezza a Verona!

  • Tommaso

    Stupendo quel fantic

    • L'Autore

      Caro Tommaso,
      si, lo è davvero. E riesce difficile pensare che sia stato acceso l’ultima volta 40 anni fa (ma adesso lo coccolerò a dovere e tornerà a giare come quando era nuovo…)

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