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Ariel Atom, storia di una delle auto più toste di sempre

Ci sono macchine “imbarazzanti” – come dicono i gggiovani – perché vanno forte e ci sono macchine “imbarazzanti” semplicemente perché fanno cagare perché i designer che le concepiscono ormai li fanno in serie; ma in fondo non è colpa dei designer, dato che oggi non si fa quasi più nulla perché ci si crede ma solo perché vende. Però poi ci sono realtà come quella di Ariel Motor, che produce auto “imbarazzanti” perché vanno FORTISSIMO, perché sono originali e inconfondibili e perché una Atom non potete guidarla senza mutande, giacché il telaio tubolare esposto non cela né il bigul né la pelush (se invece siete “fluidi” optate per altro, il telaio non è a tenuta stagna).

Se non conoscete Ariel, cercate il primo spigolo e prendetelo a calci per una mezz’ora finché non espiate il vostro peccato, dopodiché tornate qui che ve ne raccontiamo la storia. Ma prima vediamo l’ultima nata, perché è cosa recente: si chiama Ariel Atom 4R ed è la consueta “piùpiù” rispetto alle precedenti, ma la differenza è che la Ariel 3.5 era già estrema, come estrema era la prima della stirpe; invece questi inglesi non si accontentano mai e ce la ripropongono con un peso di poco meno di 600 kg (una Elise prima serie pesava oltre 100 kg in più, tanto per dire) e il caro, vecchio Honda K20 turbizzato di 2 litri della Civic Type R che parte da 320 cv e 420 Nm di coppia e può arrivare facilmente a 350 cv (che è la potenza di una Exige V6 prima serie, che però pesa il doppio…). È imbarazzante? Eccome: 0-100 in 2.8″, 0-160 km/h in 6.5″ e sfiora i 280 orari.

– La Atom 4R, ultima della stirpe –

Ma l’accelerazione e la velocità di punta sono roba che stimola davvero solo chi poi le curve non le fa, quando invece quel che conta è che Ariel ha introdotto ammortizzatori Ohlins TTX36; un nuovo cambio sequenziale Quaife a dir poco veloce (dicono che infila cinque marce in meno di un secondo, ma non credo ci sia essere umano in grado di muovere un paddle tanto velocemente e, soprattutto, che farlo abbia utilità alcuna; la regolazione della pressione del turbo su tre livelli e dell’ABS su dodici (tutto disattivabile all’occorrenza, mica è una Mustang Macché…);

Impianto frenante AP Racing a quattro pistoncini e dischi carboceramici, che consentono un risparmio di peso di 25 kg (sono masse non sospese, buttali via…). Il resto era già leggero, ma c’è carbonio per airbox, fari, parafanghi e pannelli vari, oltre che per un nuovo pacchetto aerodinamico sviluppato con TotalSim, che di fluidodinamica qualcosa mastica.

Quanto costa il giochino? Sempre salato, ma dopotutto ve la fanno a mano: vi chiederanno 64.950 sterline (circa 75.000 euro, iva esclusa).

La saga della Atom comincia nel 1996, con la LSC – che sta per Lightweight Sports Car, giusto per fugare ogni dubbio. L’idea del suo papà Simon Saunders era di costruire una vera erede della Lotus Seven (un sogno condiviso da tanti, compreso un certo Donkervoort). La LSC era figlia delle competenze di ingegnere di Saunders, della sua esperienza accumulata in General Motors, Aston Martin e Porsche e di Niki Smart, ma anche del supporto di nomi importanti come Stewart GP (che poi divenne una certa Red Bull Racing), Ford, la stessa Aston Martin;

– La LSC, il ritorno di Ariel nonché la mamma della Atom –

insomma, il suo aspetto sconvolgente – praticamente un telaio spogliato della carrozzeria, che esponeva TUTTO, sedili, motore e sospensioni – non doveva essere frainteso per l’ingenuo tentativo di un manipolo di principianti, quelli facevano sul serio e fecero bene: al British Motor Show del 1996 ricevette l’attenzione che si meritava.

– Ariel Atom –

Però dovemmo attendere il 2000 per vederla su strada: all’epoca, la Atom montava un Rover Serie K da 120 cv (Elise, ne sai qualcosa?), ma anche da 160 e 190 cv e cambio manuale 5 marce.

L’Atom è bassissima, il che consente al fondo piatto di creare un discreto effetto suolo. Il telaio ha un aspetto tanto scheletrico che ti porta a chiederti che ne sarà di te al primo incidente, ma è in acciaio saldato a TIG e studiato per garantire l’adeguata protezione sia in caso di impatto laterale/frontale che in caso di ribaltamento.

La “carrozzeria” è fatta di pannelli striminziti come un tanga. I sedili, ultra-contenitivi, dispongono di cinture a quattro punti di serie. Sospensioni a doppi bracci oscillanti, ammortizzatori regolabili così come l’altezza da terra, sistema di polarizzazione dei freni (ma niente servofreno!).

I motori Honda e il sei marce arrivano solo nel 2003 con la Atom 2, con i 220 cv gentilmente donati dalla Civic Type R;

– Ariel Atom 2 –

La versione Supercharged del 2005 è ancora più figa, con 275 cv, quel miagolìo inconfondibile dietro la schiena e la faccia di Jeremy Clarkson deformata dall’aria come quella di un boxer con il muso fuori dal finestrino – a cui Ariel deve il vero decollo dell’attività, considerato che da quella puntata di Top Gear il telefono non ha più smesso di squillare.

– Ariel Atom 3 (trova le differenze) –

Anno 2007, tocca alla Atom 3: c’è sempre un Honda dietro la schiena, ma stavolta è un K20Z4, ci sono 245 cv aspirati o 300 compressorati e il telaio è stato aggiornato, anche se quasi non si nota. Così come sono stati aggiornati sospensioni e carrozzeria (sì… beh… quei due pannelli che si ritrova).

– Ariel Atom Mugen(ph. Autocar) –

Fra l’altro, di questa serie esistono anche 10 rarissimi esemplari di Atom Mugen, con il motore maneggiato nel 2011 da Mugen che eroga 280 cv senza sovralimentazione e gira a 8600 giri al minuto.

Nel 2013 ha debuttato la Atom 3.5, che ha ereditato l’esperienza della V8 (sì, c’è anche una V8, adesso ci arrivo) e che era una versione rivista e corretta della 3, con modifiche a motore e sospensioni, sterzo e tanti altri dettagli piccoli e grandi, potenza di 245 cv aspirati o 310 cv con compressore volumetrico e soprattutto la 3.5R con sequenziale Sadev che toccava quota 350 cv che dovevano spingere solo 550 kg, praticamente quelli di una Caterham.

– Sopra: la Atom 3.5 e più sotto la 3.5R provata da EVO UK –

Nel 2018, invece, ecco la Ariel 4, con 2 litri K20C turbocompresso da 320 cv.

– La Atom 4 (beh, dai, i fari son diversi) –

Curiosità: nel 2014, la Polizia del Somerset ha ricevuto in dotazione una Atom, rinominata per l’occasione in “Atom PL1”, destinata agli inseguimenti ad alta velocità.

– Quell’improvviso desiderio di delinquere per vedere che effetto fa farsi inseguire da una Atom coi lampeggianti –

La più folle delle Atom? Certamente la Atom 500, o “Atom V8”. C’è un video del buon Tiff Needell che la strapazza in una gara in salita, date un’occhiata:

Perché suona come una moto? Beh, perché il suo motore è quello di una moto. O meglio, sono due motori Suzuki Hayabusa fusi insieme. Va fortino, perché eroga una potenza massima di 500 cv e deve spostare 550 kg, il che significa un rapporto peso/potenza di 1,1 kg/cv e infatti l’accelerazione è di 2,3″ nello 0-100. Con un limitatore a 10.300 giri/min e un numero di esemplari di 25 unità, è piuttosto rara e ricercata.

A proposito di moto: a un certo punto, in Ariel devono essersi fermati ad osservare il telaio con più attenzione e devono aver pensato “cacchio, ma sembra quello di una moto”, perché nel 2014 una moto l’hanno fatta sul serio: si chiama Ariel Ace, monta anche lei un Honda – il V4 della VFR1200 – e un avantreno assurdo a parallelogramma che quanto ad originalità e ignoranza tiene testa a quello di una Bimota Tesi 3D (ma volendo c’è l’alternativa tradizionale a steli rovesciati).

Poi, nel 2015 la Atom scopre di avere un lato selvaggio che nemmeno lei conosceva. Ben prima delle Lamborghini Sterrato (non che sia una concorrente diretta, beninteso) e di altri giochini da nababbi del deserto, la Atom si è vestita (si fa per dire) di un rollbar completo, di pneumatici maggiorati e si è presentata all’AutoSport International con il nome di Ariel Nomad.

Dietro la schiena c’è sempre l’Honda K24 da 240 cv e 300 Nm di coppia, più che sufficienti per uscire dall’asfalto e sfogare ogni genere di nefandezze che ti passano per la testa con un attrezzo che conserva la follia della Atom ma tradotta in fuoristrada. Se poi non ti basta, c’è anche la compressorata da 320 cv, o addirittura la Nomad R da 350 cv con il consueto Sadev e lì, beh… che cosa vuoi di più? Un Lucano?

Ariel, oggi, è guidata da due Saunders, padre e figlio, che danno lavoro a 30 persone per un totale di un centinaio di esemplari l’anno di Atom e circa un terzo di Ace. Fra l’altro, proprio con le moto era partita e parecchio in là nel tempo: Ariel è nata nel 1871 e faceva biciclette.

– Questa è la prima bicicletta (velocipede!) di Ariel, nonché la prima bicicletta prodotta in serie a livello commerciale! Per non parlare del brevetto dei raggi metallici in tensione e le gomme: prima, c’erano solo ruote in metallo e legno… –

Poi passò alle moto, la più famosa delle quali fu la Square Four. Fu assorbita da BSA nel 1951 e da lì l’oblìo fino a tempi relativamente recenti, quando proprio Simon Saunders decise di buttarsi con la LSC, che voleva sì la purezza della guida, ma con tanta affidabilità.

– La Ariel Square Four. Il nome deriva dalla particolare disposizione dei quattro cilindri, che formano un quadrato. È stata prodotta dal 1932 (quello sopra è uno dei primi esemplari) al 1959 –

Nel futuro di Ariel non sappiamo ancora bene che cosa ci sia, ma loro sono coraggiosi e si stanno già buttando nella mischia senza paracadute: nel 2024 dovrebbe debuttare la Ariel Hipercar, che a giudicare dalle prime immagini diffuse è una sorta di parodia della Batmobile di Michael Keaton. Però al volante si riderà sicuramente meno, perché si parla di 1200 cv e oltre 1800 Nm di coppia forniti da quattro motori elettrici e un pacco batterie da 62,2 kWh, oltre ad una turbina aggiuntiva alimentata a carburante tradizionale che fornisce ulteriori 50 cv e fa da range extender.

 

– So quello che state pensando, ma no, non è imparentata con la Frangivento – 

– …però questo dettaglio da wannabe-SR-71 è piuttosto succulento –

Considerato il progetto parliamo di qualcosa che ha davvero poco a che fare con quel che abbiamo visto finora. A partire dal prezzo: si parla di oltre un milione di euro per un aggeggio elettrico che farà anche da 0 a 100 km/h in 2″ o poco più, ma che con la purezza della guida di una Atom ha poco da spartire.

Il punto di forza di Ariel, infatti, la caratteristica principale che la rende tanto affascinante e rara, è la sua totale dedizione alla Guida e al rapporto con la clientela.

– Papà Saunders e figlio (ph. Hagerty)

Ariel è piccola e felice di essere piccola, quel che cerca di fare è di mantenersi abbastanza grande da sopravvivere senza tirare a campare (cosa sempre più difficile, dato che fra guerra in Ucraina e Brexit i costi e i prezzi sono schizzati alle stelle e in determinati paesi è un casino immatricolarle), ma non troppo grande da perdere di vista il rapporto umano: “Dare alla gente ciò di cui ha bisogno, non ciò che ritiene di aver bisogno” è il motto di Saunders, vale a dire che definirli i peggiori venditori di sempre è paradossalmente un complimento. Perché Ariel ai suoi clienti ci tiene: le auto sono fatte a mano da uno e un solo artigiano (che poi provvede ad apporci tanto di firma)

e sono ben assemblate e solide; il motore Honda stesso è sinonimo di affidabilità, dato che in pista ci si va per guidare, non per riparare l’auto.

Guidare una Ariel Atom è una faccenda speciale. Innanzitutto perché, appena ci cadi dentro (portiere non ce ne sono, vé) e ti accomodi sul super-avvolgente sedile, ti rendi conto che questa non è mica tanto un’auto stradale: per arrivare a una vettura da corsa manca tanto così.

– Gli “interni” della Atom 4. Un po’ più rifinita e con la dashboard digitale, ma nel tempo non è cambiata molto –

Anche una Lotus Exige è estrema, ma in confronto a questa è una berlina. Le prime Atom erano anche più aggressive e scorbutiche e nonostante negli anni il mezzo sia stato rifinito e infiocchettato, resta intimidatorio sulle prime; ci vuole un po’ per entrare in sintonia, ma quando cominci a capirla ti accorgi che è direttissima e precisa e ultrafarcita di feedback come un quarto di libbra con formaggio.

(ph. Autocar)

Ma oltre che loquace, quest’auto è efficace: niente sottosterzo o quasi in ingresso, uscita da applausi con grande trazione (quando le gomme entrano in temperatura, cosa non sempre facile da ottenere), telaio rigidissimo e lavoro di sospensioni egregio. Comunque impegnativa: lo sterzo è estremamente diretto, il che significa che devi essere costantemente sul pezzo; assordante e strapazzante, letteralmente dalla testa ai piedi, cosa che implica l’uso del casco durante un lungo trasferimento, se non vuoi impazzire o fare indigestione di detriti e insetti; quelle con il compressore volumetrico aggiungono una nota di terrore galvanizzante, tipo F-16 che ti insegue in galleria, ma sono tutte fisiche come delle moto, con vibrazioni, scompensi e ogni genere di asperità trasmessa attraverso le sospensioni, lo sterzo e via lungo le braccia e il busto e il tuo cervello che viene immerso in tale brodo di giuggiole per non dire orgia di sensazioni.

– Quel che conta davvero alla Guida: un sorriso così (ph. Evo UK) –

Speriamo che Ariel possa continuare indisturbata a deliziarci con i suoi mezzi spettacolari e soprattutto a tenere viva la passione. Tutto dipende da cosa accadrà in futuro: l’elettrico è praticamente scontato e così la scomparsa del motore a combustione, ma se, come sembra, verranno stabilite deroghe per i piccoli produttori, aziende come Ariel potranno sopravvivere. Incrociamo le dita…

Articolo del 25 Luglio 2023 / a cura di Davide Saporiti

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  • Massimo Casini

    Ferrari gli chiamava “garagisti”
    Però i telai li sapevano fare.
    Quello che, intelligentemente, Dallara capi e’ che li facevano così, ad occhio.
    Andate a farvi un giro sulla Stradale e scoprite che oltre al motore c’è di più… si chiama aerodinamica, baby !

  • Roberto

    che sborata! la hypercar è difficile da guardare, ma che sborata!

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